venerdì 21 dicembre 2007

Augurissimi

Natale 2007

A tutti gli amici e non un caro augurio di buon Natale, con l’auspicio che il Salvatore si ricordi delle sofferenze del mondo.

P.S. sarò assente fino al 14 gennaio.

lunedì 17 dicembre 2007

L’ENCICLICA “SPE SALVI” E IL FANTASMA DELL'ANTICRISTO

In tema di aspre critiche ed attacchi dissennati alla Chiesa, accusata di frequenti irruzioni in questioni terrene, sarà il caso cominciare a porci qualche domanda di ordine valoriale. Cerchiamo quindi di fare luce sulla questione, tentando di andare al fondo dei fatti che giorno dopo giorno stanno rendendo rovente il clima sociale del nostro Paese. Al di là di certe sterili e pretestuose polemiche che alcuni tentano di attizzare, emergono sempre più insistenti richieste di maggiori tutele per la riaffermazione dei valori identitari della nostra comunità. E’ il mondo di coloro che sono nauseati dagli intrugli proposti dalla vulgata marxista, peraltro penetrata anche in certi settori del clero, (a partire dalla teologia della liberazione, dalla fissa psicoanalitica, alla gnosi di un certo ecumenismo conciliare, fino all’esegesi storico-critica volta allo svuotamento del messaggio evangelico), nel chiaro tentativo di ricacciare in soffitta le migliori espressioni dell’animo umano; quella ricerca di equilibri che una millenaria civiltà ha costruito: la ricerca degli equilibri tra il bello e l’utile, nell’arte, nei comportamenti sociali, nella scienza, in tutti i campi dello scibile umano. Tutti valori che, si creda o meno, promanano da una proposta presente nel messaggio evangelico.

Consapevole di essere nuovamente al centro di una fase delicata della nostra storia, anche per l'arrivo massiccio di elementi di religione diversa dal cristianesimo, Benedetto XVI, conscio di attirarsi accuse di ingerenza nei fatti del mondo, ha accelerato le riflessioni pastorali con l’ultima Enciclica, “Spe Salvi”. Questa seconda Enciclica, ponendo l’accento sulla crisi del mondo contemporaneo scaturito dall’ateismo modernista e dallo sfrenato consumismo è stata aspramente criticata per essere troppo razionale senza capire che, diversamente dalla prima, “Amore e carità”, si prefigge di raggiungere il cuore e la mente degli uomini di potere. Pochi si sono accorti che col solito piglio da grande teologo del nostro tempo ripropone a tutti gli uomini di buona volontà una riflessione sulle grandi questioni su cui si fonda il benessere ed il progresso civile e morale di una società: dalla libertà, alla famiglia - quale prima cellula di perpetuazione umana –, dalla fede alla ragione, dai diritti ai doveri verso il prossimo, tutte protese a dare un senso alla nostra esistenza.La Sue considerazioni di ampio respiro ecumenico, ripresentando alle coscienze di uomini civili gli eterni valori, fanno da contraltare al relativismo valoriale che ha finito per dilagare finanche nei vertici decisionali del Pianeta.

Rileggendo alcuni passi del Suo magistero si ha la certezza che sul mondo Occidentale si aggiri un fantasma che si propone di ricacciare la Chiesa nelle catacombe e vederla ridotta al silenzio. Quel “silenzio” che nel secolo scorso vide la Russia dei soviet trucidare centinaia di migliaia di prelati e di religiosi. Nell’indifferenza collettiva, siamo arrivati finanche alle accuse di ingerenza, sferrate dai fiancheggiatori dell’islamismo radicale che di frammistione tra fede e politica sono maestri! Non molto tempo addietro, in uno dei tanti articoli apparsi su un diffusissimo sito web musulmano, l’autore invita a “denunciare” il Cardinale Biffi per aver inviato una raccomandazione al Governo intesa ad adottare maggiori controlli sugli immigrati e di far rispettare il giusto principio della reciprocità!Strategia della tensione? Macchè, è strategia adottata per intimidire e svuotare il senso del messaggio biblico. I musulmani conoscono il cristianesimo attraverso il Corano e nel Corano si profetizza la venuta di Maometto, ultimo e definitivo profeta della salvezza dell’uomo. La Bibbia non la conoscono né la riconoscono. Per i dotti islamici Gesù è la riduzione a profeta di Maometto, per tal ragione essi ritengono la loro fede superiore alla nostra. Da qui la presunta superiorità di razza, autodefinendosi i detentori della verità rivelata in cui si invera il compimento del vero monoteismo preconizzato da Abramo all’inizio dei tempi; per cui Il resto del mondo vivendo nell’errore va redento a qualunque costo. A priori essi ritengono di essere nel giusto perché si autodefiniscono i perfetti, i veri amanti di un Dio e per Esso sempre pronti all’estremo sacrificio fino al martirio e noi, gli infedeli, debosciati da combattere con ogni mezzo. Un tempo con la spada, oggi con la parola. Provate a dialogare con un imam, scoprirete che vi osserverà dall’alto al basso con quell’aria di falso vittimismo, di sufficienza, apparentemente distratta ma pronto a rimbeccarvi e a stravolgere la realtà dei fatti, molto simile a certi signori della sinistra, sicuri di possedere la verità. Ciononostante al musulmano va riconosciuto il senso della grandezza di Dio.

Noi invece, abbagliati dal frastuono dell’idiozia mediatica, stiamo cadendo in balia dei moderni satrapi. Sui temi dell’evoluzionismo, come sui temi della manipolazione genetica, i media trattano un cristianesimo a buon mercato, ideologizzandolo: per i mestatori degli intrugli ogni occasione è buona per screditare la Chiesa. Cosa nascondono questi inopinati attacchi se non una forma di cristianofobia che da molti lustri imperversa tra le pieghe del pensiero illuminista, oggi riesumato in maniera maldestra da sedicenti intellettuali che, talvolta, fortunatamente vengono smascherati?

Eppure qualcuno aveva già previsto il degrado dell’Occidente. Sono Vladimir Soloviev, e Robert Benson tra i maggiori filosofi europei del fine ‘800 i quali fin da allora predissero l’avanzata “anticristica” ovvero dei trafficanti della parola di Dio per proprio vantaggio . Soloviev, che preconizzò la futura Unione Europa, leggendo i segni del tempo, accusava le nascenti filosofie (relativistico-nietzschiane, l’evoluzionismo darwiniano e il torbido irrazionalismo romantico) di voler “rovesciare contro Cristo e il cristianesimo una valanga di accuse, perché la legge dell’amore del prossimo ostacolerebbe la naturale selezione, possibile solo senza l’ostacolo della morale cristiana che difende i deboli a danno dell’ essere superiore che vuole invece affermarsi nella pienezza della sua volontà di potenza”. In una famosa parabola, allegata a “I tre dialoghi” (edizioni Marietti, 1996), Soloviev descrive l’Anticristo non come un malfattore, ma come un convinto spiritualista che crede nel bene e perfino in Dio, un ammirevole filantropo, un pacifista impegnato e solerte che vuole abolire la guerra. Ma per raggiungere questi obiettivi bisognava ridurre la Chiesa al silenzio. Soprattutto, da eccellente dissimulatore “si dimostrerà un grande ecumenista", capace di dialogare "con parole piene di dolcezza, saggezza ed eloquenza”. Robert Benson nel 1907 in piena “Belle Epoque” in cui nulla faceva presagire il peggio, pubblicò un romanzo di straordinaria attualità perchè descrive il mondo d’oggi, con le sue realtà e le sue inquietanti ipotesi, “Lord of the World” (Il Padrone del Mondo, Jaca Book,1987).

Nel suo romanzo fantascientifico Robert Benson, parlando agli uomini del suo tempo, prevedeva eutanasia legalizzata e assistita, attentati a catena con attentatori kamikaze, il crollo dell’impero russo, la minaccia di una guerra mondiale con scontri tra America, Russia e Cina, un papa di nome Giovanni dopo cinque secoli, la crisi delle religioni e, sotto l'avanzare di una nuova religione universale stile New Age, preti che lasciano il ministero. Fatti che si susseguono sotto i nostri occhi! Che cosa infatti si chiede ai cattolici se non la riduzione del cristianesimo ad una semplice morale personale separata da ogni metafisica e da ogni teologia, capace di raggiungere l’universalità e fondare una società giusta? In sostanza entrambi gli autori avevano preconizzato l’apostasia anticristica, non attraverso una cruenta persecuzione ma con lo sviluppo di una nuova ideologia: l’umanitarismo dell’anticristo dal volto umano. Nel loro “magistero” profetico, la militanza di fede è ridotta mera filantropia, il messaggio evangelico è identificato nel confronto irenico con tutte le filosofie e con tutte le religioni e la Chiesa di Dio è scambiata per un’organizzazione di promozione sociale. Siamo sicuri ch’essi non abbiano davvero previsto ciò che effettivamente sta avvenendo e che non sia proprio questa oggi l’insidia più pericolosa per la "comunità redenta dalla croce e dal sangue di Cristo”? si domanda il Cadinale Giacomo Biffi. E’ un interrogativo inquietante che non dovrebbe essere eluso.

Francesco Pugliarello

domenica 16 dicembre 2007

Il difficile "DIALOGO" con l'islam e la tenacia di Benedetto XVI

Le ideologie del secolo scorso culminate con la shohà hanno scosso le coscienze degli europei assumendo su di sé un senso di colpa collettiva accompagnata da un diffuso affievolimento spirituale. L’arricchimento dei “signori del petrolio” e la tecnologia hanno finito per spazzare via quel residuo di valori che nel tempo si erano radicati nella coscienza delle nostre comunità, al punto da far esprimere l’Islam: avete visto? Voi siete i corrotti; noi siamo i migliori; ora dovete venire a patti con noi perché siamo noi che conserviamo il significato religioso dell’esistenza; voi siete gli infedeli e noi vi correggeremo. Rendendolo laico, questo potrebbe essere sostanzialmente il pensiero Papa Benedetto XVI, quando parlando di relativismo valoriale ci richiama al rispetto della tradizione e alla difesa della nostra identità cristiana. Lo ribadisce in ogni occasione: in particolare ricordiamo quanto affermò, nel corso dell'udienza in Vaticano ai Capi di Stato al congresso per i 50 anni dei Trattati di Roma sul tema “Valori e prospettive per l'Europa di domani'', che l’Europa sarebbe destinata ad uscire dalla storia se dimentica le sue radici cristiane. Questo forte monito deve farci riflettere proprio alla vigilia del Santo Natale. Ratzinger è un uomo di fede che vive intensamente il nostro tempo per cui, nella sua missione apostolica, riesce a coglierne intimamente i risvolti. Il Suo “manifesto pontificale” era già tracciato da tempo e reso pubblico, sia in una intervista con Peter Seewald, pubblicata per le Edizioni San Paolo: “Il sale della terra, cristianesimo e Chiesa cattolica nel XXI secolo”, sia nel convegno di Cracovia sulla “Nuova evangelizzazione” (2005).
Le Sue direttrici pastorali sono chiaramente definite: da un lato difendere il messaggio evangelico e dall’altro, cercare di proseguire l’edificazione di quel ponte di dialogo che Papa Giovanni Paolo II aveva intrapreso col mondo islamico. Un mondo diviso in mille correnti e fazioni, ideologicamente e politicamente contrapposte, in cui è impossibile individuare un referente unico. E’ appena il caso citare la corrente maggioritaria riferita all’organizzazione dei Fratelli Musulmani capeggiata da Al-Qaradawi: rappresentante “spirituale” delle masse diseredate sparse tra il miliardo e più di musulmani. Ma questo è l’islam fondamentalista, secondo Magdi Allam molto vicino al terrorismo internazionale. Nei due tracciati si inseriscono alcuni contrasti interni che provengono dalla difficile convivenza delle gerarchie ecclesiastiche in quei Paesi dove la recrudescenza islamica è più attiva. Si tratta di una sfida complessa, difficile e molto diversificata perché riferita a religioni in concorrenza tra loro che, per effetto della globalizzazione, ognuna ha la pretesa di validità sull’altra. La minaccia di una guerra fra civiltà ed il proseguimento di un’intesa senza cedimenti è irreversibile ed impellente.
Dalle Sue esternazioni più recenti, compresa le lectio di Ratisbona, e la “Spe salvi” traspaiono nettamente le differenze di visione di due civiltà perfettamente contrapposte. Sebbene da qualche parte viene criticato di non riuscire ancora a parlare al cuore dei cattolici come il Suo predecessore, Benedetto XVI, con la saldezza del teutonico, ci ripropone un Dio stimolante che si rivela all’uomo con le sue stesse debolezze in attesa di essere scoperto usando la ragione e l’amore, contrapposto alla visione musulmana di un Dio occulto ma incombente, riconosciuto solo attraverso le scritture con il quale il singolo non può e non sa dialogare perché lontano e invisibile. La loro religione ci appare ermetica, di difficile interpretazione, comprensibile solo a pochi eletti: è sì un linguaggio poetico, ma mitologico e pervasivo che impregna di sé tutta la sfera vitale della umma. Un linguaggio zeppo di contraddizioni, fermo nel tempo e “non sorprende, che per il rischio di ricatti o di minacce, alcuni commenti testuali sono pubblicati sotto degli pseudonimi” (Gorge Pell). Nonostante l’islam sia una religione viva e molto seguita, Papa Ratzinger non crede nel suo rinnovamento in funzione del fatto che la Parola che Dio ha dato a Maometto è parola eterna, mentre la nostra è diversa in quanto è Dio che si serve degli uomini per diffondere il Verbo interpretandolo e adattandolo alle mutate situazioni. Maometto o meglio "i nuovi profeti" quelli che hanno rispolverato il Corano e lo hanno riscritto a proprio uso e consumo, hanno fatto sì che venisse dichiarata l'universalità e l'immutabilità di Allah, dimenticando che se è universale, è soggetta alle leggi dell'universo, che sono state create in divenire e non statiche. Va inoltre ricordato che la rigidità lessicale coranica è quella che ha forgiato la taqiyya, la dissimulazione o del doppio linguaggio, uno per l’interno della congrega, un altro per l’esterno, col preciso scopo di poter penetrare “dolcemente” in territori altrui; questo pone la difficile ricerca di interlocutori con cui instaurare un dialogo concreto; una trappola collaudata nei secoli dalla corrente sciita.
Posto in questi termini è difficile, per non dire impossibile, intavolare un dialogo con le Istituzioni islamiche, ma Ratzinger ci prova, rischiando di persona: si presenta in casa loro (ad Istambul) con l’umiltà dell’uomo di fede.
Il Papa non demorde, usando i media come il Suo predecessore, ripresenta la Sua teologia in maniera sempre più incalzante e concreta che a molti può apparire conservatrice. Così dev’essere se si vuole spezzare quel muro di buonismo e di lassismo dilagante nel vecchio Continente e se si vuole veicolare un dialogo con quel mondo fluido, sfuggente che dice e non dice e se dice subito smentisce. Purtroppo quello islamico non è il mondo laico, razionale, dubbioso, ma macchinoso, machiavellico ancorché fantasioso che schiva e teme la verità. Chi ha vissuto tra loro, sa bene che non è un mondo del si o del no, ma del ni perché insicuro, timido al dialogo concreto, suscettibile alla critica. Il Papa sa benissimo che la prima condizione per trovare dei punti di intesa col diverso è il rafforzamento delle propria identità da svelare all’altro, anche se può disturbarlo. Perciò ridurre lo spessore della propria fede per non offendere l’altro non farebbe che confermare nell’altro la nostra insicurezza: “per i seguaci di Maometto questo significherebbe una sorta di resa, di abdicazione alla propria fede ed un implicito riconoscimento della superiorità dell’Islam” (Samir Khalil).
Se solo pensassimo alle umiliazioni ed alle torture subite durante la conquista dei popoli iberici e balcanici (avvenuta non sempre con la spada), ridotti a dhimmitudine e con quale e quanta arroganza trattano i nostri rappresentanti istituzionali, poco avremmo da consolarci sul nostro futuro. Al momento non abbiamo che da affidarci alla secolare saggezza della nostra Chiesa. Se viceversa accettassimo il principio della legge islamica secondo cui è impedito di pronunciarci sulla sharia, “allora saremo davvero sulla strada che ci condurrà verso la loro sottomissione” (Daniel Pipes): questo potrà avvenire fintanto che in Occidente continueremo a non mostrare compattezza.

Francesco Pugliarello

giovedì 13 dicembre 2007

La Toscana è in mano all'UCOII !?

C’era da spettarselo…!
La m***a covava da tempo ma non ancora era emerso in tutto il suo putrido fetore, finchè un padre ed una madre un giorno, per “ripulire” la mortificazione subìta in classe dal figlioletto da parte di un’insegnate arrogante, non la espongono in piazza.
Preferisco raccontare gli eventi di cronaca nella loro crudità lasciando a voi, amici che seguite questo blog, il giudizio su quanto in brevissimo tempo questa mefitica giunta di sinistra ha fatto precipitare nel baratro della vergogna nazionale una Regione che fu la culla della cività e del rinascimento nel mondo occidentale, in balia di una politica arrogante e superciliosa.

Antefatto: l’altro giorno come qualcuno saprà, si è tenuto al Mandela Forun forentino un Meeting dal titolo “La Libertà religiosa” al quale hanno partecipato migliaia di ragazzi, bambini ed insegnanti di tutte le scuole di ordine e grado con dibattiti diversi compresi il vescovo, il rabbino e l’imam. In quell’occasione è stato distribuita una corposa pubblicazione di oltre seimila copie (a nostre spese, 40.000 Euro) a tutti i presenti.
Giusto per capire quale aria tirava in quella manifestazione, l’assessore “al perdono e alla riconciliazione” (questa è la esatta dizione!), Massimo Toschi, sposa subito le accuse che sono piovute dalla Turchia sulla squadra dell’Inter per quella maglia con la croce rossa in campo bianco, copia della originale al tempo della fondazione della squadra 1908 (ispirata al simbolo di Milano) reputata troppo simile a quella dei tempi dei crociati.
Il predetto al cospetto di migliaia di astanti fa risuonare le seguenti frasi: “sarebbe stato meglio, in tempi come questi, evitare delle provocazioni!”.
A giustificare, camuffando contorcimenti dialettici, in quel contesto pronta la voce di Martini (presidente della regione Toscana, presente per l’occasione): “la libertà religiosa è una delle libertà fondamentali, uno dei basilari diritti dell’uomo moderno, quindi dobbiamo fare il possibile di instaurare un DIA-LO-GO per aprire una breccia in tutte le società, anche le più chiuse”.

Ma la pantomima non finisce qua.
In quella pubblicazione il sociologo dell’Università di Siena, Fabio Berti, si cimenta, tra l’altro, a dimostrare che sulla contestata vicenda della moschea di Colle Valdelsa non bisogna essere contrari ma guardare alla sua positività “…in quanto, chi è contrario è colpevole delle false rappresentazioni della realtà, di ostinazioni, di interessi, di non voler capire nel tentativo di trarre vantaggi politici”. “…il diniego alla sua costruzione è stato strumentalizzato da giornalisti e da politici per trarre un proprio tornaconto”.
Non è finita. (scusate la lunghezza)
Si legge inoltre in questo bestiario di nefandezze contro le nostre tradizioni e la nostra cultura di uomini liberi, che “l’esposizione del crocefisso nelle aule scolastiche, in nome della “neutralità” di un luogo pubblico, non andrebbe esposto”. In questo dossier per le scuole secondarie,(magari i bimbi non sapessero ancora interpretare il pensiero dell’autore), figura un eloquente messaggio iconografico: su dieci foto, quattro rappresentano donne velate, su una delle quali c’è la seguente scritta: “la libertà religiosa come diritto”.
Indovinate cari amici chi è stato invitato a parlare di libertà religiosa? l’imam di Firenze, attuale portavoce nazionale dell’UCOII, Elzir Izzedim che da grande dissimulatore ha la foia, la faccia di bronzo, di criticare alcuni Paesi islamici perché dice: “…sono lontani dal Corano, in quanto in esso si parla di libertà religiosa!”.

E’ quanto basta per scatenare l’euforia di qualche ivasata tanto che stamane 12/07/2007 appare in prima pagina su “Il Giornale” e su “La Nazione” una lettera di un genitore indignato per aver saputo che al proprio figlio, l’insegnate di disegno della scuola elementare Villani, dopo che aveva programmato per queste feste natalizie di addobbare con disegni le pareti della classe, ha impedito ad un alunno, mentre disegnava, di raffigurare il Bambin Gesù.
Alle richieste della mamma di ottenere spiegazioni per quel gesto di diniego che aveva “amareggiato” il figlioletto di 9 anni, ha risposto che
sarebbe una scemenza voler rappresentare la nascita di Gesù Cristo ed associarla al Natale perché in tal modo rischierebbe di offendere il sentimento religioso di chi non è cristiano!” (sic),(conferma ricevuta dalla stessa contattata telefonicamente).
Alla richiesta di conoscere a quale norma facesse riferimento, “l’insegnante mi ha girato le spalle e se n’è andata senza neppure salutarmi”.
Nello specifico il direttore didattico, come minimo, dovrebbe affrontare questa dipendente arrogante, censurarla per il comportamento ignobile verso una mamma e obbligarla ad una pubblica scusa. Staremo avedere.
Dal canto suo il direttore didattico, Marco Panti, (che conosco personalmente per essere stato insegnate di mio figlio), ci informa che emanerà una circolare che presepi ed altre manifestazioni natalizie nelle sue scuole sono non solo consentite, ma sollecitate “senza timore di scontentare qualcuno, anche nella regione più laicista d’Italia”.
Questa la cronaca dei fatti nudi e crudi.
Personalmente resto in attesa di una presa di posizione pubblica da parte del cardinale Antonelli da me umilmente contattato via e-mail.
So già che finirà tutto nel nulla perchè la chiesa fiorentina non è quella di Bologna: è da tempo ad essere accusata di essersi addormentata.
Lascio a voi i commenti.

mercoledì 5 dicembre 2007

La risposta del Pontefice alla lettera-appello dei 138 saggi islamici chiarisce che non ci saranno sconti con chi pratica il terrorismo

Avevano speso fiumi di inchiostro per citare versetti del Corano, dei Vangeli e della Bibbia da cui trarre il fondamento della comunanza tra i seguaci di Maometto e di Gesù sulla base dell’amore per l’unico Dio e per il prossimo che legittimerebbe la nascita di un’alleanza privilegiata tra musulmani e cristiani per realizzare la pace nel mondo, e si sono ritrovati in cambio una secca nota di Benedetto XVI che, pur apprezzando il gesto di tendere la mano e la volontà del dialogo, premette che non si possono «ignorare o sminuire le nostre differenze» e considera «l’effettivo rispetto della dignità di ogni persona umana» come la condizione per creare un rapporto costruttivo tra le due maggiori religioni mondiali.

È possibile che non saranno del tutto soddisfatte le 138 «guide religiose musulmane» che il 13 ottobre scorso avevano inviato una sterminata «Lettera aperta e appello» al Papa e altri leader religiosi cristiani, facendo leva su una dissertazione teologica e filosofica che decontestualizza il discorso religioso e dissimula la realtà, rifuggendo dal confronto diretto ed esplicito con le questioni che concretamente e oggettivamente rendono oggi l’islam e i musulmani un fattore di preoccupazione e di destabilizzazione nel mondo. Per contro la risposta del Papa, contenuta nella nota che reca la firma del segretario di Stato cardinale Tarcisio Bertone, è un’affermazione netta del primato del sodalizio indissolubile tra fede e ragione, il cardine del pensiero ratzingeriano, che si coniuga con la certezza che i valori trascendenti sul piano della spiritualità non possono non essere condivisi dall’umanità e assumere assoluti e universali sul piano della laicità. Ecco perché, come ha affermato ieri in un’intervista a l’Avvenire il cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso, il dialogo con l’islam «ora viene rilanciato su nuove basi». Evidenziando che «con l’islam che predica e pratica il terrorismo — che non è un islam autentico ma una perversione dell’islam —non è possibile alcun dialogo». Bene ha fatto quindi il Papa ad assumere un atteggiamento di cautela, dato che sussistono perplessità sulla condivisione della sacralità della vita di tanti firmatari dell’Appello, dal momento che negano il diritto all’esistenza di Israele e legittimano il terrorismo palestinese.

Ma c’è dell’altro. La risposta del Papa va letta e interpretata non solo in relazione alle 138 «guide religiose musulmane», ma anche alla sconcertante iniziativa del «Centro Fede e Cultura » dell’università di Yale di raccogliere le firme di 300 esponenti cristiani, in prevalenza accademici americani, in calce al manifesto «Amando sia Dio sia il prossimo», pubblicato sul New York Times del 18 novembre scorso. Nell’avvallare entusiasticamente la proposta di un asse mondiale tra musulmani e cristiani, si legge: «Vogliamo premettere riconoscendo che in passato (ad esempio nelle crociate) e nel presente (ad esempio negli eccessi della "guerra al terrorismo"), molti cristiani si sono macchiati di colpe contro i nostri vicini musulmani. Prima di "stringervi la mano" in risposta alla vostra lettera, noi chiediamo perdono all’unico Misericordioso e alla comunità islamica in tutto il mondo».
MAGDI ALLAM

Ebbene come non rilevare la differenza di fondo tra l’atteggiamento del Papa che, pur nell’apertura al dialogo, non fa sconti sui valori assoluti, universali e trascendenti e l’atteggiamento dei 300 cristiani che, in preda al relativismo etico, sposano la tesi dei dissimulatori islamici revisionando arbitrariamente la storia, attribuendo a Bush, non a Bin Laden, la responsabilità del terrorismo, escludendo totalmente gli ebrei e tacendo sulla negazione di Israele. Piaccia o meno ma c’è rimasto Benedetto XVI a difendere quei valori cristiani e laici che sono il fondamento della comune civiltà dell’uomo.
01.12.2007

Vedi mio commento alla lettera del 01.11.2007 in: http://francoazzurro-politicaeconomia.blogspot.com/search/label/lettera%20dei%20138%20musulmani

Appello urgente per il giovane iraniano Makwan

Iran: giovanissimo gay condannato a morte

Il gruppo Everyone chiede l'intervento immediato del Governo italiano e del Parlamento europeo, nonchè di tutta la società civile, e lancia la campagna Cuori per la vita di Makwan. "Abbiamo poche ore per salvargli la vita"

4 dicembre 2007
Makwan Moloudzadeh ha ventun anni (è nato il 31 marzo 1986) ed è stato condannato a morte per il reato di "lavat" (letteralmente, sodomia)secondo il Codice Penale iraniano, che prevede la pena capitale. Stando alla motivazione addotta dal Governo Iraniano, il giovane, all'età di 13 anni, avrebbe intrattenuto rapporti sessuali con un altro ragazzo.
Makwan, che era stato oggetto della campagna internazionale "Fiori per la vita in Iran" lanciata dal Gruppo EveryOne (ww.everyonegroup.com) – con centinaia di rose bianche e rosse inviate al presidente Ahmadinejad e la mobilitazione del mondo islamico liberale e progressista –, aveva ottenuto, il 15 novembre scorso, la sospensione della sentenza di morte dal capo del Dipartimento di Giustizia iraniano, l'Ayatollah Seyed Mahmoud Hashemi Shahrudi. Il giudice aveva definito la sentenza – emessa in prima istanza il 7 giugno scorso dalla prima camera del tribunale penale di Kermanshah, nell'Iran dell'ovest, e successivamente confermata l'1 agosto – "una violazione dei precetti islamici e delle leggi morali terrene".

Nella serata di oggi 3 dicembre la famiglia di Makwan ha contattato telefonicamente Ahmad Rafat, giornalista di AKI – ADN Kronos International e membro del Gruppo EveryOne, dando l'allarme: il caso di Makwan è stato riesaminato dall'Autorità Giudiziaria di Teheran, e ieri, domenica 2 dicembre, è arrivata la drammatica sentenza presso il carcere di Kermanshah, dove il giovane è detenuto da tempo.

"E' necessaria un'azione internazionale di protesta immediata, che coinvolga il Governo Italiano, il Parlamento Europeo e tutta la società civile. Dobbiamo far sentire in Iran le nostre voci e chiedere che Makwan viva. Makwan è innocente e la colpa per cui è stato condannato è la sua omosessualità". E'l'appello lanciato da Roberto Malini, Matteo Pegoraro e Dario Picciau, i leader del Gruppo EveryOne, che si è battuto, nei mesi scorsi, per impedire la deportazione dal Regno Unito della lesbica iraniana Pegah Emambakhsh. "Abbiamo sperato che l'Iran avesse mostrato compassione per Makwan" continuano "ma la campagna per la vita di Makwan condotta da migliaia di attivisti GLBT in tutto il mondo è rimasta inascoltata. Ci si stupisce inoltre di come qualcuno, anche sulla stampa internazionale, abbia definito 'child offender' Makwan, che era egli stesso un bambino quando amò un coetaneo."

"I familiari di Makwan sono sconvolti" afferma Ahmad Rafat di EveryOne.
"Da oggi, ogni giorno potrebbe essere l'ultimo, per Makwan, perché i giudici iraniani comunicano alla famiglia il luogo e il momento del'esecuzione solo la sera prima della stessa."

Il Gruppo EveryOne chiede a tutti di inviare cartoline, lettere ed e-mail al Ministro della Giustizia e al Presidente dell'Iran. Su ogni cartolina va disegnato un cuore e scritto "Noi amiamo Makwan. Makwan è innocente e deve vivere". Una campagna d'amore, quella rilanciata da EveryOne, perché in Iran chi ama in modo diverso – i gay e le lesbiche – è considerato un criminale e subisce le pene più terribili, fino a quella di morte.

"Abbiamo pochissimo tempo" concludono i leader di EveryOne Malini, Pegoraro e Picciau. "Agite subito, chiedete ad amici e conoscenti di inviare alle autorità iraniane quante più lettere e cartoline possibile, perché i giudici e il presidente della Repubblica Islamica devono sapere che uccidono un innocente, che ogni anno imprigionano, torturano e uccidono migliaia di innocenti."


Per il Gruppo EveryOne : Roberto Malini, Matteo Pegoraro, Dario Picciau, Ahmad Rafat, Glenys Robinson, Arsham Parsi, Christos Papaioannou, Steed Gamero, Fabio Patronelli, Laura Todisco, Alessandro Matta


Per maggiori informazioni:

Gruppo EveryOne

(+ 39) 334-8429527

http://www.everyonegroup.com/ :: info@everyonegroup.com


Ecco a chi inviare cartoline, lettere, fax ed e-mail:


Head of the Judiciary

His Excellency Ayatollah Mahmoud Hashemi Shahroudi

Ministry of Justice, Panzdah Khordad (Ark) Square, Tehran, Islamic Republic
of Iran

Email: http://webmail.radicali.it/webmail/src/compose.php?send_to=info%40dadgostary-tehran.ir

(In the subject line: FAO Ayatollah Shahroudi)

Fax: 011 98 21 3390 4986

(If the call is not answered first time, please keep trying. When it is
answered, say "fax please".)


Leader of the Islamic Republic

His Excellency Ayatollah Sayed Ali Khamenei, The Office of the Supreme
Leader Islamic Republic Shahid Keshvar Doust Street, Tehran, Islamic
Republic of Iran

Email: info@leader.ir



President His Excellency Mahmoud Ahmadinejad – The Presidency

Palestine Avenue, Azerbaijan Intersection, Tehran, Islamic Republic of Iran

Fax: 011 98 21 6 649 5880

Email: http://webmail.radicali.it/webmail/src/compose.php?send_to=dr-ahmadinejad%40president.ir

E-mail: via web: http://www.president.ir/email/



Speaker of Parliament

His Excellency Gholamali Haddad Adel Majles-e Shoura-ye Eslami

Baharestan Square, Tehran, Islamic Republic of Iran

Fax: 011 98 21 3355 6408

Email: hadadadel@majlis.ir



Presidente del Majlis-e Shoura-e Islami (Assemblea consultiva islamica):
http://webmail.radicali.it/webmail/src/compose.php?send_to=hadadadel%40majlis.ir

Embassy of Iran in UK

info@iran-embassy.org.uk



Ambassy of Iran in Turkey

Tehran Street, No.10 Davaklidere, Ankara - Turkey P.O.Box: 33

Fax +90-312 4632823

Email: http://webmail.radicali.it/webmail/src/compose.php?send_to=iranembassy%40hotmail.com e info@iran-embassy.org.uk



Ambasciata Iran in Italia

Via Nomentana, 361-363

00162 Roma (RM)

Fax. 06 86328492

martedì 4 dicembre 2007

Il primo "sessantotto": amore e femminismo

Ulteriori riflessioni e nuovi contributi

Posso solo immaginare quali sensazioni ha potuto suscitare nella gente veder sfilare migliaia di donne e qualche uomo nella tanto discussa manifestazione di Roma contro la violenza alle donne. Credo che in alcuni ha evocato squarci di vita vissuta di un’epoca che, per ragioni anagrafiche, quei giovani partecipanti non conoscono direttamente ma noto sotto i termini di “contestazione sessantottina”. Per me, che nell’autunno del fatidico 1968 ero studente-lavoratore, la sensazione immediata è stata la lunga occupazione dell’Ateneo che mi costrinse a ritardare di un anno la discussione della tesi. Ma il tempo ha sanato i fatti sgradevoli lasciando riaffiorare i momenti più gratificanti.

Ricordo che nell’atrio dell’ateneo era stato portato un vecchio ciclostile attorno al quale gruppi di colleghi, rigorosamente in eskimo e scarponcini, a turno, preparavano “l’arma segreta dell’agitazione” stampando migliaia di volantini che successivamente servirono a redigere le famose “tesi” da distribuire in piazza, poi riportate in parte nei famosi “Quaderni Piacentini”. Questo compito meramente esecutivo, ma gratificante, venne affidato alle donne: le eroine del ’68 che coralmente chiamammo “gli angeli del ciclostile”. Ai piani superiori si tenevano assemblee fiume in cui si parlava dell’universo mondo: passi ripresi a memoria da alcuni testi della scuola di Francoforte e dell’idolo del momento, Herbert Marcuse, “l’uomo a una dimensione”, in cui si metteva sotto accusa la società… mai letti integralmente. Ricordo tanto esercizio di retorica e di enfasi in quelle frasi sconnesse, espresse con veemenza, talvolta con rabbia, infarcite da migliaia di "cioè" che incitavano alla violenza, alla prevaricazione, alla conquista del mondo, della femmina, della strada, della libertà. Un puro e semplice antagonismo contro le strutture sociali dei decenni precedenti che, secondo molti osservatori, si serviva delle rielaborazioni di vecchie ideologie ottocentesche, perciò prive di nuove proposte politiche. Ciononostante è stato un periodo esaltante per chiunque, anche per chi non l’ha vissuto dall’interno quel movimento, tanto da marcare profondamente la storia politica e sociale successiva.

Di seguito la testimonianza di una “vecchia” compagna, Rossella: “Abbiamo sognato e la forza del sogno ci è rimasta dentro, anche ora che siamo svegli. Abbiamo avuto il coraggio di abbandonare la strada vecchia senza sapere minimamente come costruire la nuova, ma ci abbiamo provato ed ancora non ci siamo rassegnate”. “…abbiamo vissuto la primavera del cuore ed abbiamo sfidato il mondo a viso aperto. Ho scoperto, avendo un figlio di 20 anni, quanto è difficile raccontare il 68 a chi non lo ha vissuto”. “I fatti sono poca cosa in confronto ai sentimenti, le emozioni, l'esaltazione e la paura, la grinta e l'istinto di sopravvivenza. Noi donne dovevamo combattere su più fronti, spesso al fianco e contro i nostri stessi compagni”. “Ogni giorno, andando in facoltà, avevi la consapevolezza che potevi non tornare a casa, potevi passare la notte in galera o in un ospedale. Eppure ti armavi di coraggio e andavi a combattere la tua guerra, sapendo di essere nell'ombelico del mondo e che stavi scrivendo una pagina della storia, non solo italiana, ma universale. Sapevi di far parte di un girotondo planetario e le tue mani si univano aquelle di tutti i ragazzi del mondo. Come si fa a spiegare tutto questo ai nostri figli?”

Successivamente, nel 1976, in memoria di quei giorni, Marco Lombardo Radice e Lidia Ravera, due giovani intellettuali di sinistra, pubblicano per la Savelli un libro provocatorio a sfondo sessuo-politico dal titolo “Porci con le ali”: una sorta di diario a quattro mani di due adolescenti che si incontrano, si amano, poi si lasciano per ritrovarsi in una delle tante manifestazioni “di sangue” negli anni settanta, divenuto immediatamente un caso letterario e cinematografico, apprezzato dai giovani dell'epoca e salutato con entusiasmo dai critici. Oggi l’autrice giudica il suo romanzo “una prova dei nervi e dell'equilibrio, del tasso di autostima, della modestia e dell'ambizione”, sensazioni di onnipotenza e di debolezza che sorreggevano noi giovani di quell’epoca. Alcuni sostengono che questo è un libro che abbatte i miti: “in primis, quello del maschio forte a tutti i costi, che non potrebbe star male per una donna che lo rifiuta, ma anche quello del femminismo esasperato, che in realtà genera egocentrismo e soprattutto solitudine”. Probabilmente è quanto è successo nella manifestazione di quel sabato di novembre a Roma in cui convivevano istinto e sentimenti nobili, gli stessi che provammo noi genitori in quel lontano millenovecentosessantotto. Taluni vedono quel periodo come un tragico imbroglio, tal’altri la vera liberazione dallo schiavismo politico e sociale, io lo vedo come il momento più esaltante della nostra esistenza che nel tempo è degenerato in vecchi rottami che si riparano sotto la lugubre ombra dell’integralismo islamico: estremo, sanguinario rifugio di tutte le ideologie dell’odio e della massificazione.

A quel tempo mi interessava solo crescere e in fretta, studiare, scoprire la mia identità, trovare il mio equilibrio nel rapporto con chi dell’altro sesso volesse condividere l’angoscia adolescenziale. Il primo interesse degli “arringatori di turno” era farsi notare dalle ragazze per fare “movimento”. Fuori, sotto le finestre dell’università le mattine seguenti, si potevano rinvenire decine di preservativi, simboli delle notti d’amore trascorse dai compagni asserragliati all’interno dell’ateneo. Inizialmente per molti di noi era questo il miglior diletto e lo scopo del movimento, dove, “fare movimento”, almeno a Napoli, si intende fare all’amore. Un’orgia di sesso e di idee in cui il maschio e la femmina denudavano la loro anima al cospetto dell’altro/a, non solo per la ricerca del piacere ma principalmente per conoscersi, per scoprire che in fondo cercavamo la stessa cosa: liberarci dal giogo che la famiglia e la società ci avevano cucito addosso. In quel tripudio giovanile scoprimmo che la donna era allo stesso tempo Angelo e Demonio e l’equilibrio poteva ritrovarsi unicamente nell’armonia dei contrasti. Oggi però i termini equilibrio e “identità” sono parole che a molti non piacciono, soprattutto a coloro che di quel periodo hanno assorbito la mentalità del pensiero debole, secondo cui “non bisogna parlare né di identità dell’io o del soggetto umano, né di identità italiana, né di identità europea o di identità occidentale, né di identità cristiana, né di qualsivoglia identità”.

Di quelle gratificanti esperienze sono rimaste le ambizioni di certe femministe che, appiattite su istanze antagoniste hanno ridotto la figura femminile a mero oggetto di seduzione. Al rapporto impostato sul consenso in quel movimento studentesco, è subentrato quello fondato sulla violenza e sulla prevaricazione: più o meno quanto in certi momenti abbiamo rivissuto in quel pomeriggio di sabato 24 novembre. Una manifestazione femminista, bella, pacifica, gioiosa ed anche commovente, che certi post-sessantottini, oggi al potere, nel tentativo di oscurare la rinascita di un movimento più maturo e con la complicità dei giornali e della TV hanno tentato cinicamente di "mettere il cappello" su una tematica che nel tempo avevano fatto incancrenire, avallando un’immagine distorta della realtà femminile. Quel gesto, tipico di certe culture minoritarie estreme, ha rivelato tutto il bagaglio autoritario che, come afferma Lidia Ravera, già serpeggiava nel coacervo di emozioni viscerali dei giovani del 68, poi incarnato in un femminismo sfrenato che intende riaffermare l’emarginazione sessista e la differenza di genere.

Francesco Pugliarello

domenica 2 dicembre 2007

Il mio, il nostro '68: la ricerca dell'identità con gli angeli del cosclostile

Riflessioni sulla manifestazione femminista di Roma 24 novembre 2007

La tanto discussa manifestazione delle donne a Roma contro la violenza su di loro, credo abbia evocato in alcuni osservatori squarci di vita vissuta di un’epoca particolare che, per ragioni anagrafiche, la nuova generazione non conosce direttamente e che va sotto il nome di contestazione sessantottina Nell’autunno del fatidico 1968 ero studente-lavoratore all’Università, quella che veniva accusata di essere “uno strumento di classe”. La mia, come tante facoltà, restò occupata a lungo costringendomi a ritardare di un anno la discussione della tesi. Ricordo che nell’atrio dell’ateneo era stato portato un vecchio ciclostile attorno al quale gruppi di colleghi, rigorosamente in eskimo e scarponcini, a turno, preparavano “l’arma segreta dell’agitazione” stampando migliaia di volantini che successivamente servirono a redigere le famose “tesi”, poi riportate in parte nei famosi “Quaderni Piacentini”. Questo compito meramente esecutivo, ma gratificante, venne affidato alle donne: le eroine del ’68 che coralmente chiamammo “gli angeli del ciclostile”. Ai piani superiori si tenevano assemblee fiume in cui si parlava dell’universo mondo: passi "rimasticati" da alcuni testi della scuola di Francoforte e dell’idolo del momento, Herbert Marcuse, “L’uomo a una dimensione”, in cui si metteva sotto accusa la società. Mai letti integralmente.

Ricordo frasi fumose, retoriche, totalizzanti, espresse con veemenza, talvolta con rabbia, infarcite da migliaia di "cioè" che incitavano alla violenza, alla prevaricazione, alla conquista del mondo, della femmina, della strada, della libertà. Un puro e semplice antagonismo radicale contro tutte le strutture sociali elaborate nei decenni precedenti che, secondo molti osservatori, si serviva delle rielaborazioni delle vecchie ideologie ottocentesche, perciò prive di nuove proposte politiche. Tutti riconoscono però essere stato un periodo fantastico, un vorticoso movimento di energia vitale e di grande creatività.

Alcuni anni dopo (nel 1976), in ricordo di quei giorni Marco Lombardo Radice e Lidia Ravera, due giovani intellettuali di sinistra, pubblicano per la Savelli un libro provocatorio a sfondo sessuo-politico dal titolo “Porci con le ali”: una sorta di diario scritto a quattro mani da due adolescenti, che si incontrano, si amano, poi si lasciano per ritrovarsi in una delle tante manifestazioni "di sangue" degli anni settanta, divenuto immediatamente un vero e proprio caso letterario, apprezzato”in modo quasi plebiscitario dai giovani dell'epoca” e salutato con entusiasmo dai critici da cui venne tratto anche in film. Oggi l’autrice giudica il suo romanzo “una prova dei nervi e dell'equilibrio, del tasso di autostima, della modestia e dell'ambizione”,sensazioni di onnipotenza e di debolezza che sorreggevano tutti i giovani di quell’epoca. Alcuni sostengono che questo è un libro che abbatte i miti: “in primis, quello del maschio forte a tutti i costi, che non potrebbe star male per una donna che lo rifiuta, ma anche quello del femminismo esasperato, che in realtà genera egocentrismo e soprattutto solitudine”. Probabilmente è quanto è successo nella manifestazione di quel sabato di novembre a Roma in cui germinavano inconsciamente istinto e sentimenti nobili, gli stessi che provavamo noi padri in quel non troppo lontano 1968. Taluni vedono quel periodo come un tragico imbroglio, tal’altri la vera liberazione dallo schiavismo politico e sociale, io preferisco vederlo come il momento più esaltante della nostra esistenza che nel tempo è degenerato in vecchi rottami che si riparano sotto la lugubre ombra dell’integralismo islamico: estremo, sanguinario rifugio di tutte le ideologie dell’odio e della massificazione.

A quel tempo mi interessava solo crescere e in fretta, studiare, scoprire la mia identità, trovare il mio equilibrio nel rapporto con chi dell’altro sesso volesse condividere l’angoscia esistenziale del vivere quotidiano. Il primo interesse degli “arringatori di turno” era farsi notare dalle ragazze per fare “movimento”. Fuori, sotto le finestre dell’università le mattine seguenti, si potevano rinvenire decine di preservativi, simboli delle notti d’amore trascorse dai compagni asserragliati all’interno dell’ateneo. Inizialmente per molti di noi era questo il miglior diletto e lo scopo del movimento, dove, “fare movimento”, almeno a Napoli, si intende fare all’amore. Un’orgia di sesso e di idee in cui il maschio e la femmina denudavamo la loro anima al cospetto dell’altro/a, non solo per la ricerca del piacere ma principalmente per conoscerci, per misurarci con l'altro da sè, ma che in fondo cercavamo la stessa cosa: liberarci dal giogo che la famiglia e la società ci avevano cucito addosso. In quel tripudio giovanile scoprimmo che la donna era allo stesso tempo Angelo e Demonio e che l’equilibrio doveva essere ricercato nell’armonia dei contrasti. Oggi però i termini equilibrio e identità sono parole che a molti non piace, soprattutto a coloro che di quel periodo hanno assorbito la mentalità del pensiero debole, secondo cui “non bisogna parlare né di identità dell’io o del soggetto umano, né di identità italiana, né di identità europea o di identità occidentale, né di identità cristiana, né di qualsivoglia identità”.

Fu proprio durante queste occupazioni che vennero inventate le tecniche di organizzazione collettiva e i modi di azione politica che avrebbero fatto scuola e che abbiamo rivissuto sabato 24 novembre in quella manifestazione femminista, bella, pacifica, gioiosa ed anche commovente, ma che i vecchi sessantottini, oggi al potere, con la connivenza dei giornali e della TV hanno cinicamente tentato di "mettere il cappello" su una tematica che nel tempo avevano fatto incancrenire oscurando la rinascita di un movimento oramai più maturo. Questo tentativo è l’espressione di un “politico” che ancora non ha trovato la sua vera dimensione nel servizio e nella mediazione delle istanze popolari. Allora si sosteneva che “il privato è politico”, ma era l’entusiasmo della prima volta, dello "stato nascente”. Con quel gesto la “politica”, quella del Palazzo, ha rivelato tutto il suo armamentario ideologico, autoritario, incapace di cogliere l’essenza delle rivendicazioni, di entrare in sintonia col popolo; un “politico” avulso dalla realtà, teso a controllare con il suo potere tutti gli spazi anche quelli privati che è tipico di certe culture minoritarie, estreme filiazioni degeneri degli anni successivi a quel mitico ‘68, che vorrebbero restaurare l’emarginazione sessista e la differenza di genere.

Francesco Pugliarello

mercoledì 28 novembre 2007

NUOVO CONVEGNO SULLA MOSCHEA A BOLOGNA

Pubblicato il 27/11/07 alle 20:34:37 GMT da LISISTRATA.COM
Saranno presenti Bossi e Maroni.

MOSCHEA? NO GRAZIE ! – Siete tutti invitati: A Bologna il 30.11.07 si terrà un convegno, articolato in due fasi ben distinte, per ribadire il no dei cittadini alla nuova moschea che sindaco e giunta pretendono di imporre alla cittadinanza, nonostante le chiare e legittime motivazioni del dissenso. La manifestazione è stata promossa dalla LEGA ANTIDIFFAMAZIONE CRISTIANA, presso il Savoia Hotel Regency - Via Del Pilastro, 2 - 40127 Bologna – ITALIA, con il seguente programma. Qui le indicazioni per vedere il luogo preciso del convegno http://www.mbetravel.com/bologna-hotels/hotel/savoia_hotel_regency/map.php
PROGRAMMA 17.00 Inizio presentazione della giornata e degli ospiti presenti, a cura di Adriana Bolchini Gaigher nonché dei messaggi inviati dagli ospiti non presenti gemellati con il progetto di difesa dei valori occidentali, dall’Inghilterra, dalla Germania e dall’italia. 17.10 - il primo intervento Adriana Bolchini – presidente nazionale O.D.D.I.I. – dir. resp.le Lisistrata, che trasmetterà. alcuni spezzoni del film documentario "Il mercante di Pietre" che il regista e produttore Renzo Martinelli ha dato facoltà di presentare al posto suo che si associa virtualmente alla manifestazione. una serie di filmati brevi e fotografie che mostrano l’islam integralista nel mondo e le problematiche che crea in ogni paese in cui si insedia la legge coraniCa della shariah
17.40 – I Responsabili C.V.F. Centre Vigilant Freedom in Europa – Gran Bretagna – che interverranno con un filmato e spiegheranno come è nato il gruppo e cosa si propone, nonché le legittime preoccupazioni sull’avanzata islamista in Europa e la regressione delle tradizioni occidentali a favore di quelle islamiche, cosa che complica la vita dei cittadini autoctoni. 18.10 - Avv. Antonia Parisotto - responsabile ufficio legale O.D.D.I.I. che interverrà sulle prospettive e possibilità legali di fermare la costruzione di nuove moschee anche in relazione al fatto che i progetti hanno come “padrini” i rappresentanti di associazioni integraliste come l’Ucoii. 18.30 - Mohammed Ahmed – giornalista italo-egiziano, conduttore di La9 La8 di Padova che rilascerà una breve relazione sulle sue esperienze da testimone e giornalista islamico liberale e moderato. 18.40 - Vito Punzi – giornalista redattore di Tempi esprimerà la sua posizione e le sue testimoniante.
19.00/19.40 - Enzo Ballaman - Ospite speciale che trasmetterà il film "submission" e parlerà dell’integralismo islamico come dell’assassinio del regista Vincent van Gogh, che lo ha realizzato. Ore 20 Breve pausa ore
20,30 inizia l’incontro fra i due leader della Lega Nord Umberto Bossi e Roberto Maroni, che spiegheranno le motivazioni politiche e quale strategia desiderano adottare. Presenti anche gli ospiti-relatori che sono intervenuti nel pomeriggio dei lavori, per testimoniare, se fosse necessario quanto sia doveroso pretendere il rispetto delle nostre leggi e della nostra costituzione, nonché una reciprocità con la “casa madre” dell’islam wahabita che ha sede a La Mecca in Arabia Saudita, ove ogni libertà di culto è proibita e perseguitata.
Ore 22 – Cena conviviale per la quale è obbligatoria la prenotazione, (costo € 35,00) al numero +39 347/.05.04.244

martedì 27 novembre 2007

La marcia delle "centomila": squarci di esperienza sessantottina! (?)

Ero all’università, dopo aver solcato gli oceani per qualche anno, lavorando e studiando. La mia, come tante facoltà, restò occupata a lungo (credo tre mesi) costringendomi a tardare di un anno la discussione della tesi.

Ricordo che nell’atrio dell’ateneo era stato portato un vecchio ciclostile e gruppi di colleghi, rigorosamente in eskimo, a turno, predisponevano ciclostili che ciascuno preparava alle macchine da scrivere prelevate dalla segreteria. Assemblee fiume in cui si parlava dell’universo mondo: frasi ripetute a memoria tratte dai testi dell’idolo del momento, Herbert Marcuse, “l’uomo a una dimensione”. Mai letti. A quel tempo mi interessava solo studiare e scoprire la mia dimensione attraverso l’altro di me: ragazze che, come me, volevano liberarsi dalla cappa asfissiante della famiglia, che, tutto sommato, gravava anche su noi maschi. Il maggiore interesse degli “oratori” era proprio questo, farsi notare dalle ragazze per fare “movimento”. Era il tempo della Lidia Ravera che scrisse “Porci con le ali” (chi lo ricorda?).

Fuori, sotto le finestre dell’università il mattino seguente, si potevano rinvenire decine di preservativi della notte trascorsa dai compagni asserragliati nell’ateneo. Forse era questo per noi giovani il miglior diletto e lo scopo del movimento, dove, per “fare movimento”, almeno a Napoli, si intendeva … fare all’amore. Un’orgia di sesso e di idee in cui maschio-femmina si confidavano denudando la loro anima al cospetto dell’altro/a, non solo per la ricerca del piacere ma principalmente per conoscersi, per scoprire che in fondo eravamo uguali. Ma nell’intimo non tutti eravamo uguali, ma simili, come non tutte erano uguali in quella controversa manifestazione del 24 a Roma.Ricordo tante frasi ridondanti e intercalate da migliaia di “CIOE‘“che incitavano alla violenza, alla prevaricazione, alla conquista del mondo, della femmina, della strada, della libertà…

Questo stile venne successivamente ripreso nei corsi abilitanti del 1975. Chi lo ricorda? Corsi abilitanti all’insegnamento (della durata di un anno) in cui si contestava i docenti per ottenere, come poi avvenne in molte sedi, l’autogestione.Quel periodo mi fu utile per capire dal di dentro la donna e me stesso con tutti gli umori buoni e cattivi che ci ribollono dentro. Ma ancor più, socialmente parlando, con chi avremmo avuto a che fare in futuro: minoranze esaltate che avrebbero diffuso in ogni ganglio dell’esistenza odio e invidia. E che purtroppo nessun colletivo fino ad ora ha avuto il coraggio di condannare pubblicamente!

Oggi tutto è politicizzato. Allora si diceva “…il privato è politico”, ma era l’entusiasmo della prima volta, del “politico” nascente…/ Il politico attuale è sclerotizzato, decadente, marcio, brutale, con mille distinguo e mille reticenze, del profitto, del consumismo, altrettanto asfissiante come è diventata per molte donne, ed anche per certi uomini, la vita relegata in famiglia…

Francesco Pugliarello

lunedì 26 novembre 2007

Se queste sono... le"salvatrici" delle donne!

Col senno di poi, molti commentatori sulla manifestazione di Roma contro la violenza alle donne affermano che se lo aspettavano perchè le organizzatrici erano pilotate da una parte politica; io invece, da inveterato ottimista, sono rimasto deluso: pensavo che il tempo le avesse rese un pò più sagge.
Purtroppo devo riconoscere che la storia si ripete - a suon della grancassa sessantottina -. E’ bastato un manipolo di masochiste esasperate, tronfie di odio, per rovinare tutto, come una noce bacata che in un sacco rovina le noci buone.
Sono queste le donne che dovrebbero tutelare l'incolumità delle altre donne?
Hanno miseramente fallito. Dopo aver espulso altre donne e giornalisti a loro non graditi, sol perchè rappresentavano altri partiti politici o altre opinioni ma convinti non violenti, hanno provato a giustificarsi : “Non volevamo essere strumentalizzate..." . Oh schiave della vostra boria, con la vostra sicumera avete bruciato una grande opportunità; vi siete fatte giocare da certi signori che sputano veleno attraverso il pimbo dei loro articoli intrisi di odio sociale!

L’idea della manifestazione è stata nostra” afferma con arroganza una delle organizzatrici del collettivo di via dei Volsci (e subito dopo, ecco il solito minestrone ideologico trito e ritrito): “non vogliamo cappelli politici...", e non vogliamo uomini, abbiamo fatto una scelta sessista e separatista perché in questo modo si capisca che il problema in Italia è di tipo culturale e serve a scardinare una società di tipo patriarcale…”. Bella l’idea, ma suicida la prassi.
Queste frasi spifferate all'opinione pubblica, sicuramente odiose e pesanti come macigni, mi hanno evocato un momento di intimità della mia govinezza, quando in terra d’Africa una somala mi sussurrava, magari scherzando: “Tu, uomo, mio schiavo…”
Chissà cosa ne pensa il resto delle signore e delle ragazze che, ignare del raggiro politico di quattro scalmanate hanno aderito a quella abbuffata di masochismo!?

Francesco Pugliarello

sabato 24 novembre 2007

Sostegno alla manifestazione a favore delle donne

Finalmente qualcosa si muove a favore della difesa del mondo femminile.
La mia adesione alla manifestazione del 24 novembre a Roma a sostegno della non discriminazione delle donne è piena ed incondizionata perchè, come intelligentemente afferma la Souad Sbai, "...a prescindere dagli organizzatori" il problema della presenza femminile, in un mondo globalizzato che soffre di squilibri, può assumere un grande valore di temperanza che andrebbe rivisitato dalle origini.

Da un punto di vista escatologico, si assume la donna nel senso di nuova Eva, madre di tutti i viventi. L’essenza di Maria è la "Ma-donna", quel ruolo che l’islam vorrebbe oscurare anche da noi e relegare ad essere inferiore. Un ruolo che nella storia del mondo è stato sempre al centro di continue attenzioni ed anche di numerose interpretazioni.

Difatti, storicamante, nelle culture orientali, quelle persiane e assiro-babilonesi in particolare, sono le uniche ad inserila a pieno titolo nella società. Va ricordato infine che per la prima volta è la Bibbia ad affiancarla all’uomo per poi essere riscattata, nella sua equiparazione completa dal cristianesimo.
Ma col tempo, l’oscurantismo barbarico prima e la successiva Inquisizione, ne hanno peggiorato la sua condizione: cose che la Chiesa moderna ha definitivamente condannato, ma che ancora resiste in una certa visione di matrice vetero-libertaria.

Ricordiamo a certi "intellettuali nazi-islamici" che è in Occidente che la presenza attiva della donna nel mondo viene definitivamente ratificata nelle dichiarazioni dei Diritti Umani.
Per queste semplici ragioni, concordo sulla necessità di censurare senza-se e-senza-ma certe frange radicali (purtroppo ancora presenti nel nostro Paese) che vorrebbero ricacciare la nostra civiltà nel tunnel dei “secoli bui”, saldandosi con lo spirito misogino impresso in certe mentalità arabo-islamiche.
Sono certo che queste problematiche emergeranno nell'incontro-dibattito al Centro Averroè il 27 c.m.

Francesco Pugliarello

venerdì 23 novembre 2007

La rossa Toscana non si smentisce

C'è poco da fare, il "buonismo" della rossa toscana non si smentisce neanche davanti all'evidenza dei fatti: chissene frega di quello che succede fuori delle nostre mura? pare in sostanza essere il filo conduttore della pubblicazione "L'immigrazione in Toscana nel 2007" realizzata dalle prefetture della Regione che ieri ed oggi viene presentato nel corso di un convegno a palazzo Medici Riccardi alla presenza del sottosegretario all'Interno Marcella Lucidi.
Un libro ricerca-propositivo che traccia la filosofia toscana del MULTICULTURALISMO presente e futuro in questa Regione.
Diviso in 4 capitoli tratta di: a) istruzione di minori e b)adulti stranieri (ma non legge da chi verranno istruiti...; c) come agevolare l'occupazione e in quali settori (noncurante dei cittadini locali in cerca di prima occupazione); d) dell'assistenza medica e ospedaliera anche per chi è sfornito di permesso di soggiorno. Tra l'altro si legge nel dossier che attualmente la Toscana ha il più alto tasso di matrimoni con un coniuge straniero (21,8%). Questo può dire poco, ma tra le pieghe si evince che nel campo religioso è data la totale libertà di professare una qualunque fede, senza alcun limite, ovunque e dovunque, perchè questo lo dice la Costituzione così come ribadito nella "Carta dei valori".
Alla fine si capisce che la Toscana vorrebbe rappresentare la Regione pilota di un nuovo sistema multiculturalista che, pel tramite del presidente dell'ANCI (Leonardo Domenici, sindaco di Firenze) e del Ministro per i rapporti col Parlamento (Vannino Chiti, anch'egli fiorentino doc), dovrebbero replicare nel nostro Paese.

In sostanza la Toscana si appresta ad essere un bacino di accoglienza di "persone vittime di violenze nei propri Paesi d'origine"; e chi ce lo dice che non siano delinquenti comuni sfuggiti alle maglie della loro ferrea giustizia? Un laboratorio di rieducazione mondiale scaricato sulla scuola e sulla sanità che farà crescere vertiginosamente i costi collettivi, già abbondantemente al di sopra della media nazionale! Ingenuità? Buonismo politico o cieca fiducia nelle nostre istituzioni, (principalmente nella forze dell'ordine e della giustizia)?
La Toscana 1^ al mondo ad aver abolito la pena di morte (1786), ora vuol contendere anche il primato della multiculturalità dove altrove è miseramente fallita!

Francesco Pugliarello

lunedì 19 novembre 2007

BERLUSCONI: la riscossa del vero statista

Dopo 13 anni di rospi ingoiati da parte delle Procure e da alcuni alleati della sua coalizione, Berlusconi torna sulla scena politica più determinato che mai. In soli tre giorni ha sbaragliato i giochi del teatrino della politica e messo a tappeto tutti gli avversari anche della sua coalizione: altro che pugile suonato per la sconfitta in Senato sulla finanziaria!

La sua mossa fulminea ricorda il duo francese De Gaulle-Sarkozy, quando, il primo, a seguito del maggio parigino (del ‘68) in cui Mitterand, coagulando su di sé l’onda rivoluzionaria del maggio francese si apprestava a cavalcare in unico fronte le lotte studentesche della sinistra antagonista, impose un referendum partecipativo dei salariati, mentre il secondo, giovane studente appoggiava questa proposta che però fallì per un pugno di voti e che portò alle preannunciate dimissioni dello stesso presidente De Gaulle. Ora il Berlusca, forte dei 7 milioni di firme raccolte in piazza, torna prepotentemente sulla scena politica da vero statista in sintonia con la sua gente, , proponendo lo scioglimento di Forza Italia in una nuova formazione politica, il Partito del Popolo della Libertà (PPL) con il quale gli amici della sua coalizione e non solo, d'ora in poi dovranno fare i conti: conti salati, perchè spinto da tanti giovani animati da una passione politica che tutti davano per morta o almeno agonizzante. Questa mossa ha un duplice effetto: restituire rappresentanza politica alla nuova generazione, desiderosa di partecipare alla vita di un Paese allo sbando, ciò che il Cavaliere sognava fin dal lontano 1994 e rimettere al centro della vita nazionale la politica con la P maiuscola .

Contrariamente a quanto vorrebbero i suoi detrattori, Berlusconi non è francese, non ha nel suo DNA il fanatismo dei capi francesi; il suo è il carattere combattivo del nostro popolo, sorretto dalla fede incondizionata di un dio di giustizia e di amore per l’uomo; è il combattente con le armi delle idee e della prassi politica, nato per guidare un popolo al riscatto dalle pastoie burocratiche di uno statalismo fuori della storia che, periodicamente e soltanto qui in Italia si riaffaccia sul palcoscenico delle clientele di partito. Berlusconi non è Veltroni, ossessivamente legato alla ricerca del consenso: per i grandi progetti occorrono generosità, lungimiranza e disinteresse, tutti elementi che Silvio ha coltivato fin da piccolo. Egli ragiona prevalentemente con l'intelligenza del cuore; sa vivere in sintonia con la gente perché proviene da un impero aziendale che ha costruito giorno dopo giorno con sacrifici e anche con il sostegno di amici fedeli. Pur sentendosi inviato dalla Provvidenza, non è il merovingio Clodoveo che agli albori del cristianesimo, sposando una cattolica, invoca opportunisticamente il Signore perché gli conceda il dominio assoluto sui franchi o il tiranno Luigi XVI (il Re Sole) che seppe cambiare la storia europea togliendo potere ai rappresentanti dei francesi in Parlamento o magari il giacobino di turno travestito da buonista. Berlusconi, al contrario, è il tipico uomo moderno, alieno da bizantinismi che sa andare diritto al cuore del problema politico per il suo innato carisma, mostrando noncuranza verso i poteri forti, alleati della sinistra antagonista che viceversa alla loro maniera lo hanno sempre disprezzato e demonizzato.

Ha molto del Sarkozy all’epoca ministro dell’interno quando, in occasione di una manifestazione di piazza ad una signora che dal balcone gli chiedeva di liberare gli abitanti delle banlieues dalle orde dei delinquenti le rispondeva: “voi ne avete abbastanza di questa banda di feccia (“racaille”), adesso ci pensiamo noi a toglierli di mezzo…!”
Con Berlusconi viene spazzato via anche il vecchio luogo comune del populismo all’italiana. No, non credo che, pur giocandosi tutto per tutto, Silvio sia il solito Cola di Rienzo che sbaraglia tutti per farsi far fuori all’indomani. Certo per molti è un ingombro perché non consente, come non ha consentito nei suoi cinque anni di governo, di farsi mettere nel sacco dai soliti mestatori invidiosi. Mettendo al centro della vita nazionale la politica, quella con la P maiuscola, può frenare lo strapotere della finanza speculatrice che d'ora in avanti dovrà venire a patti con questo nuovo Partito. Sta a lui ed ai suoi fidati amici d’infanzia gestire questa valanga di consensi.

Francesco Pugliarello
da: http://francoazzurro.wordpress.com

domenica 18 novembre 2007

Nasce il nuovo Partito del Popolo delle Libertà (PPL)

Da domani avremo un nuovo partito nato, come i DS, dalle “primarie” dei gazebo di Forza Italia, forte degli oltre sette milioni di firme: il Partito del Popolo delle libertà (PPL). é opinione diffusa che in esso confluiranno subito:

—Dc di Rotondi;
—Nuova Destra di Storace ;
—I circoli della Brambilla;
—I Circoli di Dell’Utri;
—tutti gli altri Circoli dei giovani di ispirazione azzurra;
—parte dei deputati di AN e dell’UDC come Giovanardi & Co;
—i Radicali di Capezzone
—qualche senatore fin’ora tiepidamente dissenziente tipo Fisichella & Co;
e, dulcis in fundo —il gruppo dei Diniani liberal-democratici;
semprecchè Berlusconi tenga duro e tratti a tempi brevi la riforma elettorale per quei pochi punti ch’egli ha sempre detto (voti al senato su base nazionale e preferenze).
Per il resto delle riforme ci penserà il suo nuovo governo.

Se Fini e Casini avranno resipiscenza, si aggregheranno, ma questa volta alle sue condizioni, pena il restare col culo nell’acqua.

Dico questo perchè proprio questa sera ai gazebo il popolo fiorentino, notoriamente riottoso e timoroso, ha manifestato un entusiasmo mai riscontrato in questa città, ho intervistato un senatore azzurro che mi ha confermato quanto sopra.

Ora Berlusconi dovrà gestire questa profonda transizione della politica nazionale che è simile al momento in cui nel 1968 De Gaulle in Francia, per evitare la svolta autoritaria mitterandiana (dopo i fatti del maggio francese), decise la svolta liberal-democratica rinsaldando la V^ repubblica.
E' evidente che tutto sta alla saggezza del Quirinale...

Francesco Pugliarello
http://fainotizia.radioradicale.it/user/francoazzurro

venerdì 16 novembre 2007

Forza Italia e la Montalcini: la forza di una centenaria

Forza Italia deve rincorrere l’UDC sul piano di una nuova riforma elettorale che Calderoli aveva giudicato un “porcaio”: fatto che, potrebbe prolungare la vita di questo sciagurato governo ancora per molti mesi, ciò che Berlusconi vuole scongiurare riempiendo le piazze di gazebo per la raccolta di firme “al voto subito".
Fini ingelosito spara a zero sul Cavaliere per aver tenuto a battesimo la destra di Storace e della Santanchè;
Rotondi, preso da tenerezza per Berlusconi, regala i venti minuti di dibattito del suo drappello a Forza Italia;
un senatore azzurro in aula piange per aver sbagliato a votare;
Dini, cercando di spuntare qualche ministero in caso di rimpasto a gennaio, vota a favore della legge finanziaria dopo aver sbandierato urbi et orbi contro il vituperato c/sinistra bertinottiano.


Possibile che l'Italia debba reggersi sugli umori e sui personalismi di questi signori senza valori etici che si comportano da “bottegai”?
Al cospetto, la Montalcini, senatore più anziano nella storia del parlamento repubblicano è una santa! E' pasta d'altri tempi.... Pensare che Senza i suoi voti, Romano Prodi ed il suo boccheggiante governo di sinistra ed estrema sinistra sarebbero già a casa, con immensa gioia di due italiani su tre che non vogliono più sentirne di Prodi e di comunismo.

Francesco Pugliarello

domenica 11 novembre 2007

SIAMO TUTTI SULLA STESSA BARCA

Un’esperienza di sport e divertimento accessibile a tutti

IL Circolo Velico Lucano di Policoro ha fatto salpare la Goletta della Solidarietà


A Policoro (MT), presso il Circolo Velico Lucano, quello che sembra solo un vecchio adagio popolare “essere tutti sulla stessa barca” quest’estate si è trasformato in una vacanza di avventura…. in un mare di sport.
L’esperienza, aperta a tutti, ha coinvolto anche uno dei ragazzi della Polisportiva Gioco, che ci ha raccontato la sua avventura.
Immerso nella riserva naturale del Bosco Pantano di Policoro, a pochi metri da una incontaminata spiaggia, sorge il centro turistico del Circolo Velico Lucano che propone ai ragazzi ed alle famiglie ospiti un programma ricchissimo di sport. L’attività principale delle giornate è quella della vela, suddivisa in corsi di iniziazione, perfezionamento e specializzazione. Da non sottovalutare le altre proposte: canoa. windsurf, nuoto, sci nautico, equitazione, escursioni in motobarca, calcetto, beach-volley, tiro con l’arco, educazione ambientale ed animazione serale, svolte da figure professionali altamente qualificate: assistenti, istruttori federali e insegnanti Isef.

Ma poiché la filosofia del Circolo Velico è non solo quella dell’agonismo ma anche e soprattutto quella del divertimento, c’è posto per tutti, anche per i “disabili”.
“Alle prime luci del mattino- dice Mariano uno dei due disabili presenti- prima che il sole scaldi, mentre la brezza marina s’insinua tra i “carri western” e i “tukul” immersi nella pineta attigua alla riserva naturale del bosco Pantano di Policoro, ai margini di una spiaggia attrezzata, gli amplificatori diffondono nel “campus” una gradevole melodia country per annunciare l’inizio delle attività sportive della giornata”.
“Il doversi autogestire, adeguarsi ai ritmi di una vita comunitaria in spirito di emulazione, il confrontarsi con altri coetanei normodotati, praticando di volta in volta e a propria discrezione le attività marinare predisposte con barche a vela e canoe, il doversi cimentare in semplici regate, il prendere dimestichezza con i picchi, le bome, i trinchetti, le mezzane, le sartie, i bompressi, le escursioni a cavallo e in monutain-byke nel bosco limitrofo e quant’altro, è stato sicuramente un banco di prova impegnativo, ma sicuramente positivo e capace di rafforzare l’autostima di ognuno di noi”

Nulla in questo Centro, magistralmente condotto dalla discreta e onnipresente direttori delle attività Sig. Sigismondo Mangialardi e Sig Vito Narciso, è lasciato al caso: tutto è pianificato sui ritmi del clima e del tempo meteorologico. Lo spirito di corpo che si respira nel campus, liberi dall’”assillo” dei genitori, in un’organizzazione così concepita, è certamente il modo migliore per rafforzare l’autostima dei nostri ragazzi e valorizzare la loro personalità nella pienezza dei talenti di cui sono portatori: quei sentimenti che nel quotidiano non sempre riescono a scambiare.
Per tal ragione il Circolo Velico Lucano è sicuramente un primo e significativo esempio di Accademia della solidarietà: se i nostri tour-operators ne garantissero la funzione sociale, peraltro da qualche tempo adottata in altri Paesi dell’Unione Europea come la Francia e la Gran Bretagna, il modello di turismo giovanile praticato nel Circolo Velico Lucano potrebbe rappresentare, anche per il nostro Paese, una forma di vacanza “alternativa”, dove i diversamente abili possano dimostrare quello che sono e trasmettere agli altri ragazzi una spinta di “genuina vitalità” che crea, nel confronto, una efficace e matura forma di accoglienza e rispetto reciproco.

Che ne dite? Il guanto della sfida è lanciato! Chi di voi vuole proporsi per una bella e solidale sfida sul mare, ove dimostrare a se stessi e agli altri che in fondo in fondo “siamo tutti sulla stessa barca?

Rosaria Dall’Argine
Francesco Pugliarello

da: "Sport.al" Parma - Ottobre 2007

sabato 10 novembre 2007

URGE UN NUOVO MODELLO DI SVILUPPO

Le titubanze e le divergenze interne dei paesi occidentali a fermare Teheran dalla tentazione di dotarsi di armamento nucleare, stanno legittimando una corsa generalizzata a questa fonte energetica in tutta l’area mediorientale, rendendo il mercato internazionale del petrolio altamente speculativo e rischiosamente caro.

La “corsa” annunciata è il solito bluff cui gli arabi ci hanno abituati, o esiste un fondo di verità?Dopo Marocco e Tunisia, la settimana scorsa anche Hosni Mubarak ha dichiarato di avviare la costruzione di centrali nucleari nel suo Paese. L'UE dal canto suo, mentre la Merkel vola a Washigton, come lo stesso Sarkozy, che vorrebbe proporsi quale supervisore politico sulla questione, si è astenuta dal decidere rilanciando la patata bollente all’ente preposto, l’Aiea a cui segretario pro-tempore c’è l’egiziano Mohammed El Baradei. Quest’ultimo, sostenuto da Putin e dalla Cina di Hu Jintao ritenendo pericoloso andare ad uno scontro con l’Iran, sta facendo di tutto per frenare i tentativi di Washington, Londra e Parigi chiedendo ai tre falchi di ammorbidire i toni minacciosi su Teheran, adducendo la mancanza di prove sull’utilizzo di materiale atomico a fini militari. Ora giustamente Israele ne chiede la destituzione. I massimi tecnici del settore ci dicono che “non esiste filiera di nucleare civile che non proliferi armi atomiche”!

Nel frattempo nella disputa tra nucleare civile e nucleare militare e nell’immobilismo europeo, i Paesi del Medio Oriente, forti della consueta lungimiranza e sospinti dai timori di un’egemonia politica, militare e religiosa della Repubblica sciita corrono ai ripari. Pare evidente che essi siano a conoscenza del fatto che, secondo Olivier Guitta, consulente in materia di terrorismo presso la Casa Bianca, “è da tempo che esistono accordi segreti tra Mosca e Damasco per forniture di infrastrutture per costruire centrali nucleari in luoghi segreti della Siria”. [“Plan B: Syria’s forgotten, but dangerous nuclear program”, http://www.examiner.com/printa-478177~Olivier_Guitta, 28.12.2006]. Anche questo può essere un motivo per cui negli ultimi mesi quasi tutti i paesi sunniti della regione, compresi alcuni emirati del Golfo che di petrolio abbondano, hanno annunciato l’intenzione di predisporre programmi nucleari sostenendo, candidamente, essere esclusivamente a scopo “civile”... Tutto lascia presumere che la corsa al nucleare sia inarrestabile: il che è testimoniato dal fatto che in quelle zone è missione permanente il segretario di stato americano Condoleeza Rice.

In questa ottica la visita di re d’Arabia, Abdallah bin Abdulaziz Al Saud, al Papa può rappresentare un segnale di allarme dovuto anche alla difficile situazione interna del suo regno che rischia di diventare esplosiva per il fatto che per anni proprio da quel Paese il fondamentalismo è stato lautamente foraggiato, pare strano che gli arabi ci vengano a dire che le scorte stanno esaurendosi per cui sono costretti a scendere più in profondità, superare la barriera dei 2000 metri con ulteriori aggravi di costi; che il petrolio non è più lo stesso, come qualità, di quello estratto 10 anni fa, perché in questa situazione sono poco credibili in quanto, dati alla mano riferiti al 2004, l’area del Golfo Persico possiede ancora il 65% delle riserve petrolifere dell’intero pianeta con una produzione che copre un terzo del totale mondiale, ed è quindi l’unica area in grado di soddisfare le richieste (almeno fino al 2050), comprese quelle delle “petrolofaghe” Cina e India.
Naturalmente gli arabi hanno tutto l’interesse a dimostrare il contrario. Ciononostante, resta il fatto che di risorse esauribili sul globo terracqueo ve ne sono ancora in abbondanza. La conferma ci viene da una delle massime società di consulenza sull’energia, la scozzese MacKay Consultants [articolo riportato dalla rivista di settore oil&gas «Offshore», novembre 2005], che comprova che nella sola regione del Pacifico vi sono risorse non ancora sfruttate in acque profonde, tanto che le compagnie petrolifere dell'area, in vista dei vertiginosi consumi cinesi per cui entro il 2030 saranno più che raddoppiati (“270mila cinesi andranno in auto”!), con le nuove tecnologie estrattive a disposizione, hanno deciso triplicare gli investimenti sulla ricerca, passando dai 10 del 2003 ai 31 miliardi di dollari nel 2009.

Come si vede, ancora una volta gli arabi, approfittando della debole coesione tra gli Stati dell’Unione Europea, colgono l’occasione per introdursi gradualmente in Occidente nel tentativo di metterlo in ginocchio. E’ uno dei motivi per cui stanno comprando più aziende possibili e stanno investendo in tutto ciò che possono; ancora una volta, come con la crisi energetica degli anni ’70, è sul petrolio che si sta giocando una partita pesante sulle teste degli europei, notoriamente privi di fonti primarie ad alta potenzialità industriale. Questo grazie al cinismo di certi scienziati della sinistra che da anni si sono inventati il pacifismo per eliminare le centrali nucleari dal nostro territorio, rendendoci sempre più esposti ai rischi e non ai benefici ed al ricatto dall’ incombente islamismo. Ma allora se il quadro internazionale volge al peggio, perchè non prendere di petto il problema energetico, valutando la fattibilità delle fonti rinnovabili? Se nel futuro l'economia del petrolio e del nucleare non sono più sostenibili, perché non cambiare radicalmente, e al più presto, il modello di produzione e di consumi, i concetti di benessere e di sviluppo? La risposta non può che venire dalla ricerca. Non vorremmo azzardare ipotesi, però allo stato, sembra che si aspetti che il petrolio superi la soglia psicologica dei 100 dollari a barile per poter dire: beh è il momento di metterci a discutere su costi e benefici. Solo così potremo tagliare l’erba sotto i piedi agli speculatori.
Francesco Pugliarello

mercoledì 7 novembre 2007

Islam, rischio "londonhistan" in Toscana

Pugliarello: “La moschea di Colle VElsa è il caso emblematico di una politica miope e remissiva

FRANCESCO PUGLIARELLO

La graduale penetrazione dell’Islam nel vecchio continente si esplica mantenendo, e talvolta inasprendo le tradizioni dei paesi d’origine fatte di vendette e rappresaglie in nome di ina interpretazione salafita della religione. Il suo oscuro e controverso comportamento, secondo le modalità di certi poteri occulti, sta provocando nell’organizzazione dei paesi ospitanti non pochi problemi da suscitare timori e perplessità nel tessuto sociale. Diversamente dalla altre comunità, quella musulmana pretende l’adeguamento alle sue leggi, alle sue usanze, perché le nostre le ritiene “corrotte”. E’ una strategia che di giorno in giorno rivela i suoi contorni sempre più definiti, mirati cioè al reclutamento di connazionali “sbandati” da attirare nella rete della propaganda jiahdista.
L’ennesiam testimonianza di questo perverso piano politico sta nel piccolo appartamento adibito a moschea a Ponte Felcino di Perugina. Eppure, stando alle testimonianze del posto, i responsabili di quella piccola moschea erano onesti lavoratori dalla condotta irreprensibile. Tuttavia, il rinvenimento dell’armamentario stragista e la cattura dei responsabili, rappresenta l’occasione per risvegliare nell’opinione pubblica del rischio che si corre continuando a voltare la faccia dall’altra parte. Essi chiedono l’occultamento dei simboli della nostra cultura millenaria e noi, convinti di non offenderli, accettiamo passivamente; pretendono con insistenza l’edificazione di luoghi di culto, e noi ci adeguiamo.
In alcuni casi in nome di una malaccorta libertà religiosa, siamo noi stessi a sollecitare la costruzione di moschee ad uso esclusivo di qualche centinaio di fedeli musulmani, come il caso di Colle Valdelsa suggerita dal sindaco di quel Comune, nonostante le forti contrarietà locali. Il caso più recente, peraltro ancora da definire, per la ferma opposizione degli abitanti del posto, è Bologna il cui sindaco Cofferati ha sottratto al godimento dei propri concittadini migliaia di metri quadrati di terreno per allestire un mega-centro commerciale dotatao di moschea con annessi minareti: una sorta di londonhistan casereccio.
La complessità della questione che, più che religiosa, è di ordine economico e politico, dovuta principalmente agli ambigui atteggiamenti adottati da molti di questi improvvisati imam catapultati dalla dawa (chiamata) islamica, esigono delle chiavi di lettura. Chi ha frequentato quei paesi o ha studiato qualcosa della loro storia, sa bene che il loro modo di agire, apparentemente mansueto e spesso vittimista, deriva dalla pratica della taqiyya: una sottile forma di dissimulazione che affonda le sue radici in una cultura tribale, nomade e beduina elaborata nel secoli dagli sciiti e da qualche decennio ripresa nel salafismo sunnita in perenne lotta tra loro per la conquista del califfato. Il perché di questo comportamento ce lo dice Osama Bin Laden: “l’11 settembre 2001 abbiamo dichiarato guerra all’Occidente”, “… tutto è previsto nel Corano” e quando non citato, invoca la Sunna: interpretazione di comodo che impedisce alla stragrande maggioranza dei musulmani di rifarsi una identità modernista e di integrarsi nel Paese di immigrazione. Nel loro predicare prevale una forma di supposta superiorità di razza, come una casta dall’adamantina purezza che si scaglia contro i deboli della terra che non osservano i loro dettami, quelli che don Lorenzo Milani chiamava “gli ultimi”. Dovunque essi arrivano e prevalgono, i primi esseri sacrificali ad un dio lontano e pervasivo, sono le donne ed i giovani. La notizia che i governi di alcuni Paesi magrebini a maggioranza musulmana come Marocco, Tunisia e Libia hanno di recente abrogato l’obbligo del velo islamico, ha risvegliato il fanatismo islamista locale legato ad AlQaeda pronto a combattere certe aperture laiche e democratiche. Stranamente da noi questo copricapo sarebbe riproposto quale simbolo di’identità e di appartenenza all’Islam [cfr. fathwa UCOII del 2002]. Quale efferato delitto aveva commesso Hina Saleem, la giovane pakistana da essere sgozzata e massacrata dal padre e dai parenti maschi, se non la manifesta tendenza troppo occidentale? Non è sorprendente che il ministro Giuliano Amato paragoni la violenza islamica sulle donne a quella della tradizione siciliana? Che etica è questa, se non la saga dell’ipocrisia che incoraggia alla violenza?
Un quadro decisamente preoccupante, per cui l’Italia, in questo caso, farebbe bene a guardare all’esperienza inglese dove maggiori sono stati i guasti provocati dagli eccessi del multiculturalismo e da una politica prona ai voleri islamici. E mentre l’attuale opposizione, sulla energica azione della Chiesa cattolica, cerca a fatica di porre riparo al malessere spirituale, al relativismo etico e morale, in una parola alla “questione identitaria” che dilaga in Occidente, il nostro Governo continua a tergiversare adottando la tattica dello struzzo, strizzando l’occhio al terrorismo di Hamas, rendendoci tutti in libertà condizionata. Siamo proprio certi che questa politica di appeasement ci porti alla desiderata convivenza, o piuttosto non si avveri la profezia di quel musulmano illuminato quando afferma che di questo passo nel giro di qualche decennio ci imporranno la shaari’ah riducendoci a dimmi prima che negli altri Stati del Vecchio Continente?

(Pubblicato su “Il Giornale della Toscana” il 23 Settembre 2007, pag. 4)

martedì 6 novembre 2007

lunedì 5 novembre 2007

Il Leviatano necessario

di Raffaele Iannuzzi - 3 novembre 2007 (da: ragionpolitica.it)

Un cittadino romeno, intervistato, ha candidamente confessato che lui e i suoi connazionali vengono in Italia perché sanno che da noi non andranno mai in galera. Quando si dice che ciò che conta è la chiarezza delle idee. Idee chiare e distinte. E' il clima di assoluta impunità che sta corrodendo lentamente ma sistematicamente la percezione della sicurezza dei cittadini. E di percezione si vive o si muore. Soprattutto oggi. I romeni sono, da questo punto di vista, i più fini antropologi, hanno infatti colto il clima generale di debolezza e di insicurezza ed è per loro davvero dolce naufragar in questo mare, affogando l'Italia in un mare di delitti. Impuniti. Spesso impuniti. Il tragico caso della signora Giovanna Reggiani è l'esemplare e barbaro esito di una catena di indifferenze e di ipocrisie istituzionali.

Veltroni chiede oggi espulsioni quando, da cinque anni, ha tollerato, ad uso politico interno, le baraccopoli vicine ai centri abitati. Ha tollerato l'intollerabile e oggi richiama l'attenzione polemica di Rifondazione che, con fare delirante, dà del razzista a chi pone la questione sicurezza, questione di evidente natura popolare, riguardante soprattutto le periferie tanto amate dai comunisti quando votano i loro candidati. A suo tempo, Francesco Giro, il coordinatore regionale di Forza Italia del Lazio, aveva filmato dalle finestre della sua abitazione a Trastevere il teppismo e il vandalismo dominanti nella ex capitale più sicura d'Europa. Eravamo in agosto, quando l'Italia, crisi o non crisi, emigra là dove tutto tace, che sia la memoria di vite vissute e spese per qualcosa o semplicemente luoghi balneari, soprattutto low cost. Dunque silenzio o poca attenzione.

Oggi, con il cadavere di Giovanna Reggiani di fronte agli occhi, il governo muta linea o, meglio, compie il dovere d'ufficio che avrebbe dovuto compiere a tempo debito. E' ormai universalmente nota la disposizione europea che prevede l'espulsione anche dei cittadini comunitari qualora siano delinquenti o non abbiano mezzi di sussistenza dignitosi. Per il Corriere della Sera, la signora Reggiani è «la donna», cinico epiteto che mostra imbarazzo, il solito imbarazzo dei piccolo-borghesi che affollano le centrali dei poteri bancari. Per costoro, la sicurezza è questione popolare, populistico-demagogica, di partigianeria rozza e becera, roba da taverne, non da eleganti e angelicati sushi bar. Questa è l'Italia che si appresta a proclamare defunto il governo Prodi dopo averlo sostenuto a spada tratta. Questa è l'Italia che apostrofa come razzisti migliaia di operai e cittadini che desiderano soltanto vivere tranquillamente e poter passeggiare per le strade delle loro città senza doversi sempre guardare le spalle. Altrimenti, si finisce per comprare la pistola e si fa la scelta estrema di organizzare le ronde.

La destra deve, su questo punto, essere radicalmente alternativa alla sinistra a diventare partigiana della sicurezza, con un tasso di tolleranza zero adeguato alla reale situazione. Amato, in un'intervista pubblicata questa settimana sull'Espresso, paradossalmente e - dopo il tragico assassinio di Giovanna Reggiani, evidentemente non prevedibile - quasi grottescamente dedicata al «pacchetto sicurezza», afferma che la tolleranza zero è un linguaggio che non gli appartiene. Non ne dubito. D'altra parte, non gli è appartenuta neppure l'idea di un decente «pacchetto sicurezza»; se poi pensiamo che cita Tariq Ramadan in materia di laicità dello Stato, siamo pronti a metterci la mano sul fuoco che una certa cultura non gli appartenga. Ma è questo il punto nodale. La cultura, cioè la capacità di vedere la realtà per quel che è, approntando le misure concrete adeguate a risolvere i problemi dei cittadini. Ritornare alla realtà equivale a dichiarare, sine ira ac studio, che i romeni sono un problema per il nostro Paese e che delinquono più degli altri gruppi di immigrati, perfino più degli albanesi. Certo, delinquono di più perché sono di più, 556.000 per l'esattezza, ma non è allora forse il caso di dire che sono troppi, spesso irregolari e potenzialmente criminali? Lo dicono i fatti, non l'ideologia di questo o quello. Contra factum non valet argumentum. Per noi, ma non per i pragmatici riformisti anglosassoni che abbiamo al governo, i progressisti del nuovo Pd.

Ma, a ben guardare, non dovrebbe forse essere questo il tanto sbandierato pragmatismo dei sedicenti «riformisti»? Un sano e costante ritorno alla realtà, senza troppi peli sulla lingua? Evidentemente no, anche perché l'ultima ideologia è non avere ideologie e, senza di esse, spesso neppure criteri di valutazione dello stato oggettivo delle cose. La neutralità non esiste, ma la partigianeria, così cara anche a Gramsci, padre putativo di tutti loro, dopo la creazione del pantheon veltroniano, può funzionare. Basterebbe avere qualche idea di società in testa. Chissà, forse Ferrara potrà spiegarci meglio la sintassi politica esoterica di questa nuova «follia» italiana, il Pd. Lungi dall'essere questa una sterile e inopportuna polemica politica, qui è in ballo ben altro, la sostanza del governo delle cose. Infatti, per ora, la classe dirigente della sinistra neo-dem è l'apoteosi dell'indifferenza o della reazione tardiva, a cadavere sbranato dalla violenza omicida.

Il loro problema è che sono anche «progressisti». I «progressisti», si sa, sono quelli che preferiscono che un romeno non venga incarcerato pur di salvaguardare il protocollo del «pacchetto sicurezza», dopodiché ammantano questo spirito cosiddetto garantista con razionalizzazioni giuridiche, del tipo: è lo Stato di diritto, bellezza. Amato fa sempre così. Ma non soltanto Amato. Temo che una certa subcultura cattolica, assai devota all'idolatria post-conciliare, abbia pensieri non molto dissimili. E temo anche che questa subcultura post-conciliare alligni anche tra qualche vetusta gloria dell'attuale centrodestra. E che siffatta presenza cattolica post-conciliare chiuda la bocca, con eccessi di zelo degni di miglior causa, a molti esponenti del centrodestra, rei di essere partigiani della sicurezza. Già, perché i partigiani della sicurezza sono troppo di destra. Il Leviatano va bene ma fino a un certo punto, dopo scatta la reazione pavloviana anti-fascista, anti-manganello e filo-aspersorio, quindi la devozione alla Caritas ed alla Comunità di Sant'Egidio, infine al vescovo di riferimento della propria diocesi, che ancora serve a qualcosa quando si va a votare.

Non mi illudo: se non passa la cultura weberiana, almeno weberiana, dello Stato detentore del monopolio legittimo della forza e dunque legittimato a prendere i criminali, a farli processare dai giudici, a sbatterli in galera, la destra sarà sempre culturalmente minoritaria. E non mi riferisco allo scavalcamento da sinistra da parte di Cofferati e Domenici, questa è politica da transatlantico. Anche qui è in ballo roba grossa, di sostanza. E', questo, un problema di cultura nel senso lato del termine, la cultura essendo anche una remora fin troppo appiccicaticcia quando si tratta di agire per il bene comune, tanto sbandierato anche in area non cattolica. Il bene comune oggi ha un nome specifico, essenziale, determinante: sicurezza. Con la sicurezza, la democrazia diventa un luogo di consapevolezza dei diritti e dei doveri, uno spazio comunitario vivibile, dunque non soggetto a devastanti e permanenti critiche. Tutte le critiche alle democrazie occidentali sono dettate dal deficit di sicurezza. Giuliani, a New York, l'ha compreso, come ha compreso che le democrazie, nella globalizzazione, abitano soprattutto nelle città. Grandi e piccole. Comunque nelle città. Genova è diventata una città simbolo della mancata sicurezza e dell'aggressione eversiva. Una città, un luogo antropologico, fisico, sociale e simbolico. Questa è la realtà postmoderna, che subisce aggressioni eversive-criminali e comunemente criminali. Ma sempre di violenza illegittima si tratta.

L'unico a detenere il monopolio legittimo della forza fisica è lo Stato. Il Leviatano. Il Leviatano necessario. Sarà anche sgradevole scriverlo, ma è la verità: in Svizzera, Blocher ha vinto perché ha capito che il problema numero uno è la sicurezza. E all'Italia conviene che vinca la destra, avendo una sinistra così minoritaria quando si auto-proclama riformista e rozzamente ideologica quando si fregia dell'aggettivo qualificativo passepartout «radicale». La realtà sta indicando però l'ennesima tragedia dell'indifferenza dei «progressisti» e dei «cittadini perbene», quelli di cui parlava Beppe Viola in un'altra Italia, ignara ancora del lassismo a prova di Stato di diritto.

Raffaele Iannuzzi
iannuzzi@ragionpolitica.it

domenica 4 novembre 2007

L'Islam cerca il dialogo ma non condanna il terrorismo

di Francesco Pugliarello

Nulla di particolarmente degno di interesse nella lettera dei 138 saggi musulmani del 13 ottobre indirizzata al Papa ed ai Capi cristiani diffusi nel mondo. Le solite sdolcinatezze tese alla “captatio benevolentiae”, cioè la consueta tattica del bastone e della carota in cui gli islamici sono grandi maestri. Unica nota positiva è quella di veder condivisa una prospettiva di confronto multilaterale tra sunniti, sciiti e sette di tendenze divergenti che per secoli si sono combattuti tra loro per la conquista del “Daar-al Harb”, di una civiltà come la nostra: una sorta di armistizio in una fase storica molto delicata per i destini del mondo.


Il documento, pur ispirandosi a principii di ordine religioso, assume un valore prevalentemente etico e politico dal momento che viene sottoscritto da un gran numero di studiosi e di consulenti appartenenti a ben 43 Stati a maggioranza islamica e promosso da un sovrano illuminato come il re di Giordania, alleato degli USA e di Israele. Sebbene indirizzata alla cristianità, la lettera è multifronte, nel senso che è un monito lanciato a tutti i fondamentalismi religiosi, a quelli cioè “che provano piacere nel conflitto e nella distruzione mettendo in gioco la stessa sopravvivenza del mondo”.


Non v’è dubbio che questa lettera è permeata da un malcelato timore di un incombente conflitto laddove invoca: “….facciamo almeno in modo che le nostre differenze non provochino odio e conflitti tra noi che rappresentiamo il 55% della popolazione di questa terra” (Capo III). Ma non si capisce se questo appello all’unitarietà sia indirettamente indirizzata a contrastare la corrente religiosa wahabo-salafita - quella che sparge terrore nel mondo - oppure è un messaggio trasversale rivolto all’Occidente quando denuncia che tutto potrà andare come previsto “…a condizione che i cristiani non dichiarino la guerra”.


Richiamando per analogia le citazioni degli evangelisti e delle sure coraniche del periodo meccano che figurano nella “Sura della tavola imbandita”, laddove intendono che “le nostre diversità sono volute dall’unico Dio”, essi sostengono con forza che “è possibile una convivenza nella diversità”, sottraendosi cautamente nel tracciare quanto meno delle proposte concrete. Una rivoluzione copernicana di un buonismo stucchevole che mette in guardia i nostri massimi cultori dell’islam come Magdi Allam, Lee Harris e Carlo Panella, avvertendoci che il documento può essere una “trappola” o peggio un “falso ideologico”, dal momento che tacciono sul resto dei passaggi coranici più controversi, specialmente quelli riferiti al periodo medinese, dopo l’”egira”. Difatti fra tanta deferenza stridono le firme di alcuni antisemiti come Yasser Ahmed al Tayeb, rettore dell’università al Hazar del Cairo, o come Ahmed al Kubaisi, ex consigliere di Saddam Hussein, che sostengono apertamente le azioni di martirio, tacendo che la guerra all’Occidente è già stata dichiarata dal fondamentalismo maturato in seno alla loro civiltà.


Per questa ragione i nostri critici, la considerano una spudorata dissimulazione per la retorica di cui è intrisa e per le forti ambiguità. Come ci fa notare l’arabista Samir Khalil Samir, le maggiori ambiguità si riscontrano in alcuni passi tradotti dall’arabo alle nostre lingue. Fra le tante, sicuramente la più inquietante, riscontrata peraltro anche dal rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni, mentre il testo arabo si richiama al Nuovo Testamento, nelle nostre lingue viene tradotto in “Bibbia”, lasciando intendere agli interlocutori arabi di aver escluso la realtà ebraica che in questo momento storico invece è centrale. Samir ci riferisce inoltre che nelle nostre versioni (inglese, francese, italiano e tedesco) si cita genericamente Gesù Cristo, mentre nel testo originale si insiste nel considerarLo non figlio di Dio ma il Messia, “Issa al Massih”. Stesso peso lo si riscontra nelle affermazioni “come si legge nel Vangelo…”, mentre, citando il Corano, essi scrivono “Dio ha detto …”. Infine, per sostenere l’unicità di Dio, che tale è nella visione islamica, mettono ancora una volta in discussione la validità dei testi di San Paolo allorché, introducendo la Trinità divina, avrebbe violato il messaggio originale cristiano.


Da queste brevi considerazioni, la disperata ricerca di un dialogo testimonia le insormontabili difficoltà interne in cui si dibatte l’islam a causa di elementi spuri che negli ultimi decenni, sfruttando la superstizione e la fede, dopo qualche secolo di splendore, avrebbero mutato radicalmente tutta l’impalcatura coranica su cui per millenni si è fondata una religione che, all’impatto con la modernità, non è stata in grado di trovare alcuna via d’uscita dalla tribalità in cui si era cacciata. In buona sostanza questo documento rappresenta una invocazione di aiuto, ancora una volta però privo del coraggio di denunciare i loro assassini.


Ciononostante, considerato lo sforzo profuso per un confronto, a fronte dei tanti intrapresi dalla cristianità, il documento potrebbe anche essere accolto, a condizione che si prendano di petto le questioni concrete, della libertà religiosa, del rispetto assoluto dei diritti umani, del rapporto tra religione e politica e dell’uso della violenza, non dimenticando mai le lezioni della storia e cercando si evitare atteggiamenti aggressivi che possano provocare le reazioni negative degli islamisti: la scaltrezza e la suscettibilità di quella gente non ha pari in tutto il mondo.

da: L'Occidentale.it

03 Novembre 2007 | cattolicesimo | cristianesimo | islam | occidente | wahabismo | Religione