martedì 6 ottobre 2009

C'è una donna tra i ministri dell'Iran ma vuole separare uomini e donne

La squadra di Ahmadinejad

di Francesco Pugliarello
da Marzieh Vahid Dastjerdi

A distanza di due mesi da quel fatidico 12 giugno, giorno della sua contestatissima elezione, il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad ha presentato al Parlamento i ministri del suo nuovo governo. I deputati della Majlis hanno completato l’esame della lista: hanno avuto a disposizione tre giorni, per discutere e decidere. E alla fine hanno negato la nomina solo a tre dei ventuno ministri proposti: il candidato al ministero dell’Energia e due delle tre donne proposte dal Ahmadinejad, che ha ora tre mesi di tempo per proporre i nuovi candidati ai dicasteri rimasti vacanti.
Nel frattempo il nuovo esecutivo potrà comunque insediarsi e cominciare il suo lavoro. È un governo di “fedelissimi”, quello messo a punto dal presidente iraniano, anche se non pochi candidati hanno rischiato di vedersi rifiutare il gradimento. Ahmadinejad, che ha ripetutamente difeso le scelte fatte, ha infatti dovuto affrontare le critiche sia dei conservatori che dell’ala riformista del paese. Nel mirino la candidatura di sedici dei ventuno ministri, accusati di “mancanza di esperienza” e “scarsa competenza” per i dicasteri assegnati. Tra i ventuno nomi avanzati da Ahmadinejad, quattordici non hanno precedenti esperienze di governo. Il presidente ha difeso le scelte fatte, definendole “le più pulite”, e ha respinto le accuse, secondo cui avrebbe optato per ministri “obbedienti” e fedeli alla sua linea. «Siamo impegnati a promuovere la giustizia – ha sottolineato – preservare la dignità nazionale, raggiungere il progresso e fronteggiare i prepotenti». Alcuni candidati costituiscono una vera e propria sfida al campo più conservatore dello schieramento politico, che ha immediatamente reagito con ostilità mobilitando la stampa e definendo “più debole” il nuovo esecutivo.
Tra i confermati del vecchio governo - oltre a Manucher Mottaki agli Esteri - vi sono i titolari di Industria ed Economia, Ali Akbar Mehrabian e Shamseddin Hosseini, entrambi molto criticati in occasione della loro nomina iniziale e per i quali la fiducia venne ottenuta solo di misura. Ai Servizi segreti è andato un fedele collaboratore del presidente, Heydar Moslehi, che tuttavia non è un mujtahed - ovvero un religioso in grado di interpretare la sharia, requisito che i titolari del dicastero devono rispettare per legge. Inoltre, all’importante dicastero del Petrolio – che ha un ruolo chiave in un Iran in cui il petrolio è la principale entrata economica – è andato, nonostante le durissime critiche, Massud Mir Kazemi, ministro del Commercio uscente che non ha alcuna esperienza nel settore dell’energia ma ha in compenso stretti legami con i Guardiani della Rivoluzione.
Ha avuto buon esito per il presidente anche la scelta del titolare degli Interni, Mostafa Mohammad Nadjar, addirittura pasdaran: un passo in avanti, temono i conservatori, sulla strada di una progressiva militarizzazione delle alte sfere del potere. «È un governo debole. Alcuni dei ministri proposti non hanno nessuna esperienza per quel ministero», ha accusato il parlamentare Ali Motahari. Un altro conservatore ha criticato la nomina dell'ex ministro della Difesa Najjar agli Interni. «È nell'interesse del paese nominare un militare al ministero più politico? Contribuirebbe a sanare le divisioni presenti nella società?», ha chiesto il parlamentare Ahmad Tavakoli. Unanime è stato, invece, l’accordo sulla nomina di Ahmad Vahidi, ricercato per strage dall'Interpol e designato dal presidente Ahmadinejad al ministero della Difesa.
Il parlamento ha espresso "pieno sostegno". Sono queste le parole con le quali la Majlis ha voluto sottolineare la fiducia che ripone in Vahidi, ex capo del reparto d'élite dei Guardiani della Rivoluzione "Al Quds", sul quale pende un mandato di cattura internazionale della magistratura argentina per l'attentato terroristico contro un centro di assistenza ebraico (Amia). Era il 18 luglio 1994, quando una Renault Trafic imbottita d'esplosivo saltò in aria davanti all'Associazione di mutua assistenza israelo-argentina di Buenos Aires, provocando 85 morti e 300 feriti. Per anni le indagini sono andate avanti a rilento, portando in Iran e Libano, finché nel 2006 il giudice federale Juan José Galeano venne rimosso dall'incarico. Riaperto lo scorso 28 maggio, il caso è stato affidato al procuratore Alberto Nisman, che ha immediatamente richiamato l'attenzione internazionale sulla nomina di Vahidi, definendolo «un personaggio chiave nell'organizzazione» della strage» e ricordando come sia stato «dimostrato che Vahidi approvò la decisione di attaccare l'Amia durante un incontro svoltosi in Iran il 14 agosto 1993».
Secondo i giudici argentini fu l'Iran a pianificare l'attacco, realizzato dall'Hezbollah libanese. Il mandato d'arresto è stato deciso dall'assemblea generale dell'Interpol nel novembre 2007 a Marrakesh. «La conferma della nomina - aveva detto Nisman - sarebbe molto grave poiché Vahidi è pesantemente coinvolto nell'attacco e l'Interpol ha dato la massima priorità alla sua ricerca. Quello di Teheran è un regime che non solo evita di consegnare i sospetti alla giustizia, ma li protegge e li designa ad incarichi pubblici, anche se finora mai in una funzione così rilevante». Teheran ha subito negato l'esistenza del mandato di cattura. «La nostra polizia ne sarebbe stata al corrente - ha dichiarato un portavoce di Ahmadinejad -. È l'ennesima menzogna, una cospirazione sionista».
In Vahidi, quindi, è riposta piena fiducia. L'agenzia Dpa riferisce che durante il discorso che il neo-ministro della Difesa ha pronunciato di fronte alla Maijlis per ottenere la fiducia, si è levato tra i banchi dei deputati lo slogan "Morte a Israele". Vahidi ha sottolineato che in qualità di ministro della Difesa dovrà affrontare numerose sfide, prima fra tutte quella contro Israele, e che a questo proposito l'Iran incrementerà il suo arsenale militare.
Ahmadinejad aveva presentato al Parlamento anche la candidatura di tre ministri donne: Fatemeh Ajorlou, alla quale sarebbe andato il portafoglio degli Affari Sociali, Marzieh Vahid Dastjerdi, alla Sanità e Sussan Keshavarz, candidata al ministero dell’Istruzione. Delle tre, solo la Dastjerdi ha ottenuto la sua nomina a ministro della Salute. È la prima volta nella Repubblica Islamica. La pioniera - prima e ultima donna ministro iraniana - Farrokhroo Parsa, nominata sotto lo Scià, fu fucilata dopo la rivoluzione del 1979 per aver «diffuso il vizio sulla terra e combattuto contro Dio». Le neo-ministra, neanche a dirlo, è ultraconservatrice: laureata in medicina con specializzazione in Oncologia e Ginecologia, non ha mai fatto mistero della sua preferenza nei confronti di un sistema sanitario separato, medici donne per pazienti donne, uomini per gli uomini. Alla tv, Ahmadinejad ha sottolineato la novità della presenza femminile nel governo affermando che «con le decime elezioni presidenziali siamo entrati in una nuova era, le condizioni sono completamente cambiate».
Un modo per dire: mi accusate di essere ultraconservatore e io vi sorprendo proponendo tre donne ministro. Ma ciò non basterà. Non saranno certamente queste candidature, né la nomina di una donna al governo a garantire i diritti umani e la condizione femminile in Iran. Il fumo negli occhi non può accecare la comunità internazionale. Sono troppo numerose e toppo crude le immagini che negli ultimi mesi il Paese iraniano ci ha consegnato. Basti pensare al recente e insanguinato dopo elezioni. Ai ridicoli processi-farsa. Al volto pulito della francese Clotilde Reiss, condannata per spionaggio solo per aver partecipato alle proteste post-elettorali, costretta a “confessare” per evitare il peggio. Al corpo trucidato della giovanissima Neda Soltani, uccisa nelle via di Teheran e diventata simbolo e volto delle proteste anti-regime. Ai tanti morti in carcere a causa di torture e stupri. Non sarà certamente una donna al governo a far dimenticare tutto questo.
From: LOccidentale.it
giovedì 1 ottobre 2009

La reazione di un personaggio solare

Certo rattrista sempre quando un matrimonio si scioglie,specialmente quando trattasi di una coppia di notorietà di livello internazionale che appare felice come felice appariva quello tra Al Bano e Romina. C’è poco da meravigliarsi. Forse è il destino di molte famiglie importanti… A ben vedere, come giustamente ricordava Peppino Caldarola su Il Giornale, la scena mondiale in tempi recenti è stata occupata da vicende private che hanno invaso la politica. Dalla crisi tra Hillary e Bill Clinton al divorzio di Sarkozy da Cècile al repentino matrimonio con Carla Bruni, dal disfacimento del rapporto tra Carlo d’Inghilterra e Diana che si concluse con la tragica morte di quest’ultima in una notte d’amore trascorsa con il ricco amante egiziano Dodi Al-Fayed. Altrettanto dicasi per i cattolicissimi Fini e Pierferdinando Casini che hanno esibito le proprie disavventure coniugali, mentre per le medesime ragioni la stampa di sinistra dell’epoca nascondeva pudibonda la relazione tra Nilde Jotti e Togliatti quando i comunisti predicavano ipocritamente “il privato è pubblico”.
La pudìca Miriam Bartolini non tradendo questo andazzo, non ha voluto essere da meno alla modernità del circo mediatico spiattellando alla pubblica opinione, proprio sui giornali ostili al marito, la sua insofferenza accanto all’uomo con cui ha condiviso quarant’anni della sua vita che gli ha dato tanto e, stando alle cronache, altrettanto egli mai ha preteso. Per tal ragione non possiamo sottrarci dal giudicare, anche se lo stesso Premier in un primo momento ha manifestato il desiderio di voler tenere sotto tono quando afferma che "è una vicenda che rientra nella dimensione privata, e di cui mi pare doveroso non parlare" e poi l’indomani, vista la portata internazionale del fatto, ha dovuto ripiegare affermando perentoriamente che “Veronica dovrà chiedermi scusa pubblicamente”.

Molti, troppi interrogativi suscitano questo restare nell’ombra della first lady signora Veronica Lario (in arte Miriam Bartolini), troppo estranea alla vita di un uomo pubblico. Una donna schiva e raramente sorridente che trapela una tristezza di cui non si comprende la ragione. Strano il comportamento di una signora che si è lasciata conquistare nel retro di un palco di teatro, lamamentarsi di una supposta infedeltà del suo coniuge. Perché, conoscendo il suo irresistibile fascino, non lo ha seguito nelle sue trasferte? Eppure non gli mancavano i soldi per pagare il fior fiore di baby-sitter!
Inutile nasconderlo, il legame matrimoniale è un legame non facile da sostenere e al tempo stesso delicato che presuppone un’intesa forte, oltre che di valori, di univocità di intenti rivolti al futuro si sé e della prole. Michelle Obama, Carla Bruni e tutte le altre mogli di potenti, appaiono sempre al fianco dei loro consorti. Perché lei non lo ha fatto?
Ma v’è un’altra considerazione, forse più profonda che affonda le radici alle origini di una ragazza di provincia vissuta nell’indigenza dalla perdita prematura del padre, (all’età di 13 anni) e d’improvviso catapultata in un mondo di inusitato benessere. O forse l’orgoglio ferito delle sue origini che al cospetto di un uomo solare come Silvio si è vista autocondannata al ruolo di secondo piano con chi ha fatto della propria vita lo strumento di benessere della propria famiglia e degli altri. O potrebbe essere un ritorno di fiamma per i riflettori ed i lustrini di cui si è auto-privata a lungo a spingerla verso questo passo drammatico? In ogni caso la rottura avviene sempre quando la maturazione e la crescita non seguono vie parallele. Non si spiegherebbe altrimenti l’essersi rivolta ai quotidiani ostili al marito per lanciare la sua decisione di farla finita. Forse più realisticamente sarà una rigurgito di resipiscenza che la spinge al riscatto della propria individualità nel tentativo di proteggere il frutto del suo talamo dalle “fauci” di un uomo avido di potere? C’è molto ancora, forse di più profondamente intimo che ci sfugge: “adesso e' finita, non vedo più le condizioni per andare avanti” sbotta oggi Silvio Berlusconi. Una telenovela che purtroppo per gli equilibri politici nazionali occuperà ancora e periodicamente le pagine dei quotidiani.