mercoledì 7 novembre 2007

Islam, rischio "londonhistan" in Toscana

Pugliarello: “La moschea di Colle VElsa è il caso emblematico di una politica miope e remissiva

FRANCESCO PUGLIARELLO

La graduale penetrazione dell’Islam nel vecchio continente si esplica mantenendo, e talvolta inasprendo le tradizioni dei paesi d’origine fatte di vendette e rappresaglie in nome di ina interpretazione salafita della religione. Il suo oscuro e controverso comportamento, secondo le modalità di certi poteri occulti, sta provocando nell’organizzazione dei paesi ospitanti non pochi problemi da suscitare timori e perplessità nel tessuto sociale. Diversamente dalla altre comunità, quella musulmana pretende l’adeguamento alle sue leggi, alle sue usanze, perché le nostre le ritiene “corrotte”. E’ una strategia che di giorno in giorno rivela i suoi contorni sempre più definiti, mirati cioè al reclutamento di connazionali “sbandati” da attirare nella rete della propaganda jiahdista.
L’ennesiam testimonianza di questo perverso piano politico sta nel piccolo appartamento adibito a moschea a Ponte Felcino di Perugina. Eppure, stando alle testimonianze del posto, i responsabili di quella piccola moschea erano onesti lavoratori dalla condotta irreprensibile. Tuttavia, il rinvenimento dell’armamentario stragista e la cattura dei responsabili, rappresenta l’occasione per risvegliare nell’opinione pubblica del rischio che si corre continuando a voltare la faccia dall’altra parte. Essi chiedono l’occultamento dei simboli della nostra cultura millenaria e noi, convinti di non offenderli, accettiamo passivamente; pretendono con insistenza l’edificazione di luoghi di culto, e noi ci adeguiamo.
In alcuni casi in nome di una malaccorta libertà religiosa, siamo noi stessi a sollecitare la costruzione di moschee ad uso esclusivo di qualche centinaio di fedeli musulmani, come il caso di Colle Valdelsa suggerita dal sindaco di quel Comune, nonostante le forti contrarietà locali. Il caso più recente, peraltro ancora da definire, per la ferma opposizione degli abitanti del posto, è Bologna il cui sindaco Cofferati ha sottratto al godimento dei propri concittadini migliaia di metri quadrati di terreno per allestire un mega-centro commerciale dotatao di moschea con annessi minareti: una sorta di londonhistan casereccio.
La complessità della questione che, più che religiosa, è di ordine economico e politico, dovuta principalmente agli ambigui atteggiamenti adottati da molti di questi improvvisati imam catapultati dalla dawa (chiamata) islamica, esigono delle chiavi di lettura. Chi ha frequentato quei paesi o ha studiato qualcosa della loro storia, sa bene che il loro modo di agire, apparentemente mansueto e spesso vittimista, deriva dalla pratica della taqiyya: una sottile forma di dissimulazione che affonda le sue radici in una cultura tribale, nomade e beduina elaborata nel secoli dagli sciiti e da qualche decennio ripresa nel salafismo sunnita in perenne lotta tra loro per la conquista del califfato. Il perché di questo comportamento ce lo dice Osama Bin Laden: “l’11 settembre 2001 abbiamo dichiarato guerra all’Occidente”, “… tutto è previsto nel Corano” e quando non citato, invoca la Sunna: interpretazione di comodo che impedisce alla stragrande maggioranza dei musulmani di rifarsi una identità modernista e di integrarsi nel Paese di immigrazione. Nel loro predicare prevale una forma di supposta superiorità di razza, come una casta dall’adamantina purezza che si scaglia contro i deboli della terra che non osservano i loro dettami, quelli che don Lorenzo Milani chiamava “gli ultimi”. Dovunque essi arrivano e prevalgono, i primi esseri sacrificali ad un dio lontano e pervasivo, sono le donne ed i giovani. La notizia che i governi di alcuni Paesi magrebini a maggioranza musulmana come Marocco, Tunisia e Libia hanno di recente abrogato l’obbligo del velo islamico, ha risvegliato il fanatismo islamista locale legato ad AlQaeda pronto a combattere certe aperture laiche e democratiche. Stranamente da noi questo copricapo sarebbe riproposto quale simbolo di’identità e di appartenenza all’Islam [cfr. fathwa UCOII del 2002]. Quale efferato delitto aveva commesso Hina Saleem, la giovane pakistana da essere sgozzata e massacrata dal padre e dai parenti maschi, se non la manifesta tendenza troppo occidentale? Non è sorprendente che il ministro Giuliano Amato paragoni la violenza islamica sulle donne a quella della tradizione siciliana? Che etica è questa, se non la saga dell’ipocrisia che incoraggia alla violenza?
Un quadro decisamente preoccupante, per cui l’Italia, in questo caso, farebbe bene a guardare all’esperienza inglese dove maggiori sono stati i guasti provocati dagli eccessi del multiculturalismo e da una politica prona ai voleri islamici. E mentre l’attuale opposizione, sulla energica azione della Chiesa cattolica, cerca a fatica di porre riparo al malessere spirituale, al relativismo etico e morale, in una parola alla “questione identitaria” che dilaga in Occidente, il nostro Governo continua a tergiversare adottando la tattica dello struzzo, strizzando l’occhio al terrorismo di Hamas, rendendoci tutti in libertà condizionata. Siamo proprio certi che questa politica di appeasement ci porti alla desiderata convivenza, o piuttosto non si avveri la profezia di quel musulmano illuminato quando afferma che di questo passo nel giro di qualche decennio ci imporranno la shaari’ah riducendoci a dimmi prima che negli altri Stati del Vecchio Continente?

(Pubblicato su “Il Giornale della Toscana” il 23 Settembre 2007, pag. 4)

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