mercoledì 18 febbraio 2009

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LETTERA APERTA AL CANDIDATO SINDACO PD DI FIRENZE,MATTEO RENZI

Caro Matteo Renzi

(Renzi è il più giovane presidente tra le province italiane - 33 anni - iscritto alla margherita, di recente transitato nelle fila del PD).

""Passata la sbornia della vittoria ottenuta sbaragliando i quattro big del Comitato Centrale del PD, vorrei sollecitare il candidato sindaco a mantenere la promessa di “discontinuità” con queste giunte variopinte, che hanno reso la nostra città invivibile, e a reindossare i panni del buon amministratore.

Passare quindi dalle chiacchiere, che hanno reso Firenze ridicola al cospetto del mondo, alla politica dei fatti, sarebbe un concreto segno di discontinuità.

Caro Matteo, tu che hai strombazzato ai quattroventi segnali di discontinuità nella politica di questa martoriata città, la prima mossa che ti chiedo fin d'ora è tutelare le nostre figlie, i nostri anziani, i nostri disabili in una città più sicura, e per far ciò comincia a elaborare un piano per il controllo del territorio. Inizia cioè a proporre al Prefetto locale di autorizzare l’utilizzo di giovani soldati armati di soli radiotelefoni collegati alle centrali delle forze dell’ordine, prima che si arrivi alle deprecabili ronde di comuni cittadini che può essere l'anticamera del sistema della ‘delazione’.

Ti invito pertanto a raccogliere la disponibilità del generale Camporini, allorché in un occasione simile nel maggio dell'anno scorso, promise al Ministro delle Difesa Ignazio La Russa di voler "mettere a disposizione" i suoi uomini "al servizio della patria". Questa soluzione offrirebbe a tanti giovani militari una vera gratificazione dal momento che, a detta loro, “si rompono” a fare gli attendenti ai superiori e alle loro famiglie o inutili guardianie, buone solo all’autoreferenzialità del corpo. Il costo dell’operazione sarebbe zero.""

di FRANCESCO PUGLIARELLO

http://www.ilfirenze.it (18.2.2009, pag. 9)

mercoledì 4 febbraio 2009

La verità sullo stato di ELUANA

Parla una conoscente di famiglia, la vedova di un carabiniere di Nassiria, sua coetanea.



INTERVISTA
Parla la vedova Coletta:
Vi racconto Beppino ed Eluana
Margherita Coletta
insieme al marito Giuseppe
Ha chiamato ancora papà Beppino ieri mattina poco prima delle nove: «Ma nemmeno l’hai accompagnata E­luana?», gli ha detto subito. Mar­gherita Coletta è la vedova di Giu­seppe, carabiniere assassinato a Nasiriyah il 12 novembre 2003, nel­l’attentato che spazzò la base ita­liana "Maestrale", carabiniere che non aveva mai ucciso e che sce­glieva le missioni all’estero per aiu­tare i bimbi più indifesi, quelli col­piti dalla guerra. Lo faceva per ri­trovare il sorriso di suo figlio Pao­lo, morto a sei anni stroncato dal­la leucemia: «Quando capimmo che era finita e i medici ce lo spie­garono chiaramente – racconta lei – facemmo interrompere la che­mioterapia». Margherita in questi mesi è volata dalla Sicilia a Lecco per andare a trovare Eluana, accompagnata da Beppino.

Spesso e a lungo l’ha ac­carezzata, l’ha baciata, le ha parla­to. E spesso ha parlato col papà, scontrandosi anche duramente, ma senza che mai lui le negasse il dialogo: in qualche modo for­se sono diventati amici. Ecco perché ancora ieri mattina lei gli ha telefonato dicen­dogli: «Speravo che coi gior­ni fossi rinsavito».

Cos’ha provato, Margherita, entrando nella stanza di E­luana?
La prima volta mi sono fermata sulla soglia della sua porta. Pen­savo di essere più forte. Ho re­spirato a fondo, poi sono entra­ta. Quando l’ho vista, abituata com’ero alle foto di lei ragazza, mi ha scosso, oggi è una don­na. Ma poco dopo è diventa­to tutto così normale, come fossi a trovare una persona in ospedale. Anzi, ho senti­to tanta dolcezza e nessun ribrezzo o pena. Né ho visto alcun 'sacco di patate', co­me qualcuno descrisse E­luana, ma una persona che è tutt’altro. Una persona.

La sensazione più bella?
Quando l’ho accarezzata. Con la sensazione netta, net­tissima, che lei avvertisse le carezze. Certo è che pensavo d’andare a dare io a lei, inve­ce ho ricevuto assai più di quanto le abbia dato.

Cosa?
La maggiore certezza nelle cose in cui credo. La con­sapevolezza che non si può ridurre una persona alla sua forma fisica.

Papà Beppino la accom­pagnava in quella stan­za?
Sì. La prima volta che l’ho incontrato mi ave­va fatto molta tenerez­za: pensavo a mio ma­rito Giuseppe, a quan­do è morto nostro fi­glio. E poi mi sem­brava quasi di parla­re con mio padre: mi diceva «sei una bir­ba».

Adesso è cambiato qualcosa?
Rispetto comun­que Beppino e provo sempre grande affetto per lui. Ma non è giusto quello che sta facendo. I figli non sono di nostra proprietà: ci sono soltanto affida­ti. Ci prendiamo cura di loro, li aiu­tiamo, li assistiamo e semmai li ac­compagniamo alla morte, prepa­randoli se deve accadere, anche da piccoli. Ma lui non si rende conto di tutto questo, si sente incapace di tornare indietro: credo sia so­prattutto lui in uno stato simile a quello vegetativo. Quando si risveglierà da questo torpore si renderà conto e starà male, tanto.

Lei che rapporto ha, Margherita, col papà di Eluana?
Ci siamo confrontati tante volte, ma è sempre stato cortese con me. È convinto di quanto fa, for­se perché non vede più Eluana come lui la vorrebbe. Ma a me pa­re evidente che in qualche modo sia stato plagiato da tanta gente alla quale non interessa nulla di Eluana. E lui ora è strumentaliz­zato, è finito in un vortice: ha an­che momenti nei quali io credo vorrebbe tornare indietro, perché non pare convinto fino in fondo di quanto sta facendo, ma non ne ha la forza.

Com’era trattata Eluana nella ca­sa di cura lecchese?
Come una regina. Le suore che le stanno accanto ogni giorno la cu­rano, la lavano, la profumano, la portano a spasso sulla carrozzella. Addirittura la depilano, perché E­luana come ogni ragazza non sop­portava d’avere peli sulle gambe.

E come sta?
Lei è una donna. Una donna di trentotto anni: ha la mia stessa età. Ha il ciclo mestruale come ogni donna. Apre gli occhi di giorno e li chiude la notte. Respira benissimo e da sola, serenamente. Il suo cuo­re batte da solo, tenace e forte. Ci sono momenti nei quali forse sor­ride e altri nei quali forse socchiu­de gli occhi. Ma quanti sanno dav­vero che Eluana non è attaccata a nessuna macchina? Quanti sanno che nella sua stanza non c’è un macchinario, ma due orsacchiotti di peluche sul suo letto? Che non ha una piaga da decubito? Che in di­ciassette anni non ha preso un an­tibiotico?

La notte scorsa hanno portato E­luana a morire: lei, Margherita, co­sa sta provando?
Ho un pugnale dentro. Prego, spe­ro fino all’ultimo che lui si renda conto di quel che sta facendo. Quanto sia sbagliato. Quanto non sia paterno. Quanto non sia uma­no. Io so che lui soffre dentro di sé, e tanto.

Ci ha parlato appena ieri mattina: secondo lei cosa prova Beppino?
Non so come possa vivere con un peso addosso come questo: Elua­na da diciassette anni è in quelle condizioni, ma lui fino a ieri mat­tina non si era mai svegliato sa­pendo che sua figlia sta per mori­re.

Come mai, Margherita, lei e suo marito Giuseppe decideste d’in­terrompere la chemioterapia a vo­stro figlio?
Paolo ne aveva fatti quattro cicli, ne mancavano due, ma ormai il male a­veva invaso tutto il suo corpo e i medi­ci ci spiegarono be­ne la situazione. I dolori e il vomito e tutte le devastazio­ni provocate dalla chemio a quel pun­to sì che sarebbero stati accanimento terapeutico: così ci fermammo, affi­dandoci e affidando Paoletto a Dio.

Perché invece con Eluana non ci sarebbe accanimento terapeutico?
Ma Eluana non ha una malattia, non è terminale, non ha un dolo­re, non ha un macchinario nella stanza, non c’è nulla che possa far pensare ad un accanimento per te­nerla in vita! È accudita, curata, a­mata. La si deve solamente aiuta­re a mangiare! Beppino però sostiene che la mor­te di Eluana servirà a liberarla... Liberarla da cosa? Come fa lui a sa­pere che lei è in catene? Una per­sona che soffre lo si vede. Non lo capisco proprio cosa voglia dire Beppino, cerco di sforzarmi, ma non ci arrivo.

Quella giovane donna da ieri è ri­coverata nella sezione maschile del "Reparto Alhzeimer" della cli­nica udinese "La Quiete"...
Ma si rende conto?! È lì, da sola, con nessuno che la conosce, che l’ha curata, che la ama, perché le suo­re di Lecco la amano: se sapesse ie­ri sera ( lunedì, ndr) quando ho chiamato suor Rosangela come piangeva. Anzi, mi permetta di rin­graziare proprio le suore della ca­sa di cura "Beato Talamone" e tut­te le persone che per quindici an­ni hanno avuto quella tale cura per Eluana.

Margherita, ma perché lei decise d’andare a trovarla?
Non lo so. Una sera ero a casa, ho visto la notizia al telegiornale e ne ho avuto il desiderio. So di non valere nulla, ma ho cercato il nu­mero di Beppino, perché volevo fargli sentire la mia vicinanza. L’ho chiamato, gli ho spiegato chi ero e che sarei stata felice se avessi potuto incontrare Eluana. Lui fu molto gentile, mi disse: «Signora, davanti al suo dolore m’inchino e mi fa piacere se viene». Appena poi arrivai a Lecco, mi chiese su­bito: «Margherita, tu da che par­te stai?».

Lei cosa gli rispose?
«Beppino, io non sto dalla parte di nessuno: sono venuta a trovare E­luana come se tu fossi venuto a tro­vare un mio parente caro»: andai da lei non per far cambiare idea a Beppino né per altro, solo perché mi era sembrato giusto farlo.

Come mai lei ha accetta­to di raccontare tutto que­sto solamente adesso?
Beppino sa che io non a­vrei mai detto nulla e l’ha visto finora. Però è giunto il momento di dare voce a Eluana.

Un’ultima domanda, Margherita: ha speran­ze per Eluana?
La prima volta andai a trovarla nel novem­bre scorso: le promisi che sarei tornata per Natale e Beppino, certo e tranquillo, mi disse: «A Natale non ci sarà più». Io le sussurrai nell’orec­chio sotto voce «non ti preoccupare, ci rivedia­mo» e così poi è stato.
Pino Ciociola

da http://www.avvenire.it/Cronaca/Vi+racconto+Beppino+ed+Eluana.htm