domenica 30 marzo 2008

Lettera aperta alla signora Afef Jnifen Tronchetti Provera

LETTERA APERTA ALLA SIGNORA AFEF TRONCHETTI PROVERA


Gentile signora Afef Jnifen, la mia grande stima per lei in quanto a fascino ed intelligenza non è venuta meno quando a suo tempo in TV attaccò don Gianni Baget Bozzo. Ora, dopo anni di astinenza pubblica, piomba sulla scena mediatica mettendo sotto accusa Magdi C. Allam per essersi convertito al cattolicesimo, additandolo a fautore dell’odio tra la nostra e la Sua religione. Devo ricredermi.
Può anche darsi che la Sua visione della società la faccia sentire nel giusto; mi permetterà però di dubitarne, dal momento che da noi in Occidente lei gode di una libertà insperata, anche quella di offendere impunemente chi dedica la sua esistenza a squarciare il velo di certe verità che molti come lei mettono la testa sotto la sabbia per non vedere, per non sapere. Può anche darsi che la maggioranza degli italiani siano disinteressati alla conversione di Magdi, ma le centinaia di musulmani battezzati residenti in Italia e le migliaia in Europa sicuramente no.

Vorrei pregarla di evitare certe equazioni fuorvianti prendendo a pretesto le lotte tra protestanti e cattolici paragondole alle numerose sette islamiche perennemente in conflitto tra loro, senza contare i persistenti ricatti interni che quelle comunità subiscono. Penso che lei soffra di strabismo e la capisco, ma non venga a raccontarci che Hitler e Mussolini diffondevano la loro religione (peraltro acquisita opportunisticamente) fomentando terrorismo in nome di essa. Forse non s’è accorta che comportamenti tartufeschi come il Suo sono fomentatori di odio.Quando parla di un imprescindibile dialogo interreligioso, gradirei che Lei mi illuminasse di quale dialogo parla.

Dove vede l'empasse di questi ultimi decenni? Tra la gente o nei vertici politici? Vorrà forse alludere ai 138 saggi che confondono Antico Testamento con Vangelo a seconda della lingua in cui diffondono il loro invito al dialogo? Piuttosto che accusare di insipienza e di latitanza i governanti che con i loro comportamenti miopi sbarrano il passo all’incontro culturale e religioso tra i due mondi, Lei preferisce accusare Magdi Cristiano Allam per la sua libera scelta e non condanna pubblicamente chi questo tanto invocato dialogo lo manipola, gettando nella disperazione intere comunità, seminando terrore e panico in "casa" propria ed in "casa" altrui. Lo sa bene che la Chiesa è fatta di persone che vivono nella polis - nella città degli uomini - e ogni giorno contribuiscono con le proprie scelte, le parole e le azioni a migliorarla.

Secondo la Sua logica anche il gesuita Samir Khalil, il filosofo Daniel Pipes, il Mufti del Cairo Ali Gomaa, l’Ayatollah Ali Montazeri e tanti altri sarebbero incitatori all’odio e alla conseguente pena di morte da comminare agli apostati. Fortunatamente i miei amici di famiglia originari di Marrakesh e di Susah (Tunisia) non la pensano come Lei, non si sentono vittime di alcuno. Mi vorrebbe spiegare infine perché e chi alla recente Chiesa del Qatar (peraltro ultima delle poche rimaste nel mondo islamico) ha impedito di esporre la croce sulla cattedrale e di costruire un attiguo campanile? Un po’ di conoscenza della storia recente ed un po’ di umiltà forse non impedirebbe un dialogo anche tra noi comuni esseri mortali. In attesa di Sue risposte illuminanti, la saluto cordialmente,
Francesco Pugliarello

sabato 29 marzo 2008

La figlia dell'ex-ambasciatore tunisino in Libia bolla di "apostasia" Magdi Allam

Lo stesso giorno in cui "Avvenire" mi pubblica la lettera di complimenti per la conversione a Magdi Cristiano Allam (28 c.m.) (pura coincidenza) dal titolo "Un nujovo fratello tra noi", su "La Stampa" appare una vergognosa bordata al convertito da parte della svampita Afef Jnifen (riporto integralmente qui sotto):

"Allam incita all'odio" di AFEF JNIFEN

Mi sono decisa a parlare della conversione al cristianesimo di Magdi Allam avendo letto la presa di distanza del Vaticano dai giudizi critici sull’Islam che il giornalista ha rilasciato dopo la cerimonia del battesimo nella veglia pasquale in San Pietro. Voglio precisare che non mi permetto di giudicare Papa Benedetto XVI e che al tempo stesso sono profondamente convinta che debba essere a ogni costo difesa la libertà di professare la propria religione così come di convertirsi. Ma non posso più tacere sulla disinformazione riguardo al mondo musulmano che Magdi Allam porta avanti da anni. Pur essendo italiana, le mie origini si radicano nella cultura islamica e faccio parte della comunità araba in Italia. Non sono praticante, ma per rispetto della religione musulmana, la religione dei miei genitori in cui sono cresciuta, sento di dover intervenire. Non sono interessata alla conversione di Magdi Allam, e così credo la maggioranza degli italiani, ma ho ben chiaro - e da diverso tempo - qual è il suo obiettivo. Magdi Allam grida al genocidio contro gli ebrei e i cristiani nel mondo islamico. Ci sono stati e ci sono casi, ce lo insegna la storia. Ma ci sono stati e ci sono conflitti anche all’interno di una stessa religione, tra sciiti e wahabiti, tra sunniti e sciiti, tra cattolici e protestanti. Di questo, però, Allam non scrive, come non scrive delle tante testimonianze e dei tanti sforzi per favorire il dialogo interreligioso. No, lui vuole soltanto alimentare i conflitti, infiammare lo scontro di civiltà per cercare di passare alla storia come un simbolo e una vittima di queste crisi. E’ diabolico, ma non ci riuscirà. Nei giorni scorsi in Qatar - un Paese di soli 800 mila abitanti - è stata aperta la prima chiesa cristiana e negli Emirati Arabi la quinta, mentre in Oman sono quattro quelle già presenti. Ancora, in Tunisia c’è la più vecchia sinagoga di tutta l’Africa, il Marocco ha avuto un ministro del Turismo di religione ebraica così come oggi il re ha alcuni consiglieri che professano quella fede, mentre in Libano la Costituzione dice che il presidente debba essere cristiano. Insomma, ci sono tanti esempi di tolleranza e dialogo che la gente magari non conosce, ma Allam non ne parla mai. Lui cita soltanto esempi di conflitti. Certo che nel mondo musulmano ci sono gli integralisti, chi lo nega? E in presenza di conflitti gli integralisti esasperano il fattore religioso. Ma nessuno oserebbe dire che poiché Mussolini e Hitler erano cristiani il cristianesimo sia violento. Gli articoli che da anni scrive Magdi Allam sono stati molto dannosi per la comunità arabo-musulmana in Italia. Non c’è stato alcun esponente della destra, anche la più estrema, che abbia fatto un lavoro tanto negativo. Allam ha troppo astio dentro di sé, mi auguro che ora dopo il battesimo trovi pace interiore, lo dico senza ironia. Scommetto però che arriverà invece un libro sulla sua conversione, spero soltanto che darà i soldi in beneficenza a qualche parrocchia. Ci risparmi altre lezioni di malafede tra le religioni, anche il Vaticano ha capito che crea zizzania fra due mondi che cercano un dialogo difficile, ma molto importante. Caro Magdi, alla faccia tua il dialogo continuerà.
vedi
http://wpop2.libero.it/cgi-bin/webmail.cgi?ID=IRkNSopi1moNMc0BY09Vdr4wVE55WPkRZE4T2pXvzdAr4QHLsOoz&Act_Parse=login-inbox

e la mia risposta inviata alla stessa sul quotidiano La Stampa e Avvenire.

Gentile signora Afef Jnifen,
la mia grande stima per lei in quanto a fascino ed intelligenza non è venuta meno quando a suo tempo in TV attaccò don Gianni Baget Bozzo. Ora però, dopo anni di astinenza pubblica piomba sulla scena mediatica mettendo sotto accusa Magdi Allam per essersi convertito al cattolicesimo, additandolo a fautore dell’odio tra la nostra e la Sua religione. Devo ricredermi. Può anche darsi che la Sua visione della società la faccia sentire nella ragione; mi permetterà però di dubitarne, dal momento che qui in Occidente gode della massima libertà, anche di offendere chi dedica la sua esistenza ad aprirci gli occhi. Può anche darsi che la maggioranza degli italiani siano disinteressati alla conversione di Magdi, ma le centinaia di musulmani battezzati residenti in Italia e le migliaia in Europa sicuramente no.

Vorrei pregarla di evitare certe equazioni fuorvianti prendendo a pretesto le lotte tra protestanti e cattolici per paragonarle alle numerose sette islamiche perennemente in conflitto tra loro, senza contare dei micidiali ricatti quotidiani che quelle comunità subiscono. Credo che lei soffra di strabismo e la capisco, ma non venga a lasciarci intendere che Hitler e Mussolini diffondevano la loro religione (peraltro acquisita opportunisticamente) fomentando terrorismo in nome di essa. Quando parla di un imprescindibile dialogo interreligioso, gradirei che Lei mi illuminasse di quale dialogo parla. Dove vede l'empasse di questi ultimi decenni, tra la gente o nella politica? Vorrà forse alludere ai 138 saggi che confondono antico testamento con Vangelo a seconda della lingua in cui diffondono il loro invito al dialogo? Piuttosto che accusare di insipienza e di latitanza i vertici politici che sbarrano il passo all’incontro culturale e religioso tra i due mondi, Lei preferisce accusare Magdi Cristiano Allam per la sua libera scelta e non condanna pubblicamente chi questo tanto invocato dialogo lo manipola, gettando nella disperazione intere comunità, seminando terrore e panico in "casa" propria ed in "casa" altrui.

Lo sa bene che la Chiesa è fatta di persone che vivono nella polis - nella città degli uomini - e ogni giorno contribuiscono con le proprie scelte, le parole e le azioni a migliorarla. Secondo la Sua logica anche il gesuita Samir Khalil, il filosofo Daniel Pipes, il Mufti del Cairo Ali Montazeri, l’Ayatollah Ali Montazeri e tanti altri sarebbero incitatori all’odio e alla conseguente pena di morte da comminare agli apostati. Fortunatamente i miei amici di famiglia originari di Marrakesh e di Susah (Tunisia) non la pensano come Lei, non si sentono vittime di alcuno. Mi vorrebbe spiegare infine chi e perché alla recente Chiesa del Qatar (peraltro ultima delle poche rimaste nel mondo islamico) ha impedito di esporre la croce sulla cattedrale e di costruire un attiguo campanile? Un po’ di conoscenza della storia recente ed un po’ di umiltà forse non impedirebbe un dialogo anche tra noi comuni esseri mortali.
La saluto,

FRANCESCO PUGLIARELLO

mercoledì 19 marzo 2008

L’arlecchinata veltroniana ora vuol gabbare anche il Nord-Italia

A Veltroni & company non è bastato distruggere il tessuto economico e sociale del mezzogiorno d’Italia. In poco meno di due lustri hanno messo in ginocchio Roma ed in un decennio hanno finito per riempire di vergogna al cospetto del mondo un’altra antica e gloriosa capitale della cultura come Napoli , ora vuole inquinare anche il nord?

Sostanzialmente è quanto stamani su La Stampa vorrebbe rimbriottargli, ma senza il coraggio del parlar chiaro, nientemeno che il suo compagno di partito Macaluso!Ma si sa, questi personaggi mai hanno avuto il coraggio della verità, sempre alle prese delle pastoie ideologiche ch’essi stessi si sono costruite.

“Gli strateghi del Partito democratico sono convinti che la partita elettorale si gioca tutta al Nord e anche le candidature «nuove» riguardano le circoscrizioni di quella parte del Paese: l’operaio della Thyssen a Torino, Calearo capolista a Venezia assieme ai segretari della Cgil e della Cisl, Colaninno in Lombardia, assieme a Ichino e a Veronesi ecc. Io non contesto lo sforzo che sta facendo Veltroni con le candidature, i suoi discorsi e i raduni, per dare un segno diverso alla «questione settentrionale», rispetto a quello dato da Berlusconi e Bossi.”

Un’insalata russa che sa di racido predisposta su un piatto a stellee strisce alla Obama maniera o meglio, di un’arlecchianata idonea a gabbare i gonzi, ma non certo il laboriooso popolo del Nord’Italia…

Leggere per credere.
http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=4294&ID_sezione=&sezione=

lunedì 10 marzo 2008

Impulsi ed emozioni relativi alla problematica sessuale nel ragazzo Down

Si guardò intorno e non vide che se stesso. Dapprima gridò: “Io sono”,
e poi si spaventò; poiché ognuno è atterrito quando è solo”.

da le UPANISHAD


“La sessualità è una occasione di crescita personale”, è la libertà di prendere decisioni per la propria vita. E ancora, “ la sessualità è una grande organizzatrice della vita umana; è il motore di tutte le autonomie, di tutte le abilità latenti”. Quindi “privare un essere dell’amore, vuol dire privarlo del senso della vita” (Fabio Veglia e Jole Baldaro Verde).
Senza dubbio in tema di sesso i nostri figli vivono un dramma esistenziale. Nel mondo contemporaneo, in cui la libertà sta travalicando i limiti elaborati dal buon senso comune, scivolando inesorabilmente verso il libertinaggio, non sempre ci si rende conto che il rapporto d’amore non è solo fare sesso, ma principalmente un progetto di vita con l’altro da sé, incardinato in un rapporto di mutuo scambio, di conforto, di aiuto.
Spesso la gente è scettica o incredula quando vede una coppia di ragazzi trisomici passeggiare per le strade. Ma più sconcertante è sapere che siamo noi stessi genitori a porre dei limiti a questi giovani che manifestano il loro amore per qualcuno. Il motivo sicuramente risiede nella ignoranza diffusa circa questi casi. I problemi affettivo-sessuali dei disabili sono venuti alla luce molto tardi e pertanto ci trovano tutti impreparati.
Solo verso la fine degli anni settanta una forte presa di coscienza dei diretti interessati permise che si organizzassero una serie di convegni, dove veniva denunciata la condizione d’emarginazione in cui versavano queste persone. Gli incontri, promossi dall’equipe di Rosanna Benzi e da alcuni operatori, erano però incentrati sul settore dell’handicap motorio.
Perché si possa trovare qualcosa di specifico sul versante della disabilità intellettiva, dobbiamo aspettare ancora per più di un decennio.
Solo negli anni novanta cominciano a circolare nelle sale cinematografiche dei filmati perché si possa cominciare a parlare di un certo riconoscimento alla sessualità del disabile intellettivo; tuttavia, nonostante nel 1996 un trisomico otterrà la palma d’oro a Cannes per la miglior recitazione nel cortometraggio “A proposito di sentimenti”, ancora non si può dire che la sessualità del trisomico 21 sia legittimata nel corpo sociale. La tematica resta ancora relegata nel chiuso delle associazioni o in alcune tesi di laurea di qualche giovane volenteroso.
Da più parti si sottolinea che la scarsa informazione in merito al delicato problematica, andrebbe imputata ad una resistenza da parte degli stessi genitori a causa di un elevato pudore che coinvolgerebbe emotivamente la loro stessa esistenza che, di converso, influenzerebbe il disinteresse del mondo scientifico dovuto anche alla mancanza di matrimoni fra persone affette da trisomia 21.
Il timore di un distacco e la vergogna nell’ammettere che il proprio figlio possa avere delle pulsioni sessuali giocano sicuramente un ruolo fondamentale. Difatti siamo proprio noi, con i nostri comportamenti e le nostre reticenze, a condannarli al ruolo grottesco dell’eterno bambino. Le più recenti osservazioni “sul campo”, ci dicono che gran parte dei soggetti trisomici avvertono l’esigenza di avere una vita sentimentale autonoma ed oggi come non mai, essi rivendicano il diritto a crescere “a scrollarsi di dosso lo stereotipo che lo vuole eterno Peter Pan, per raggiungere la massima autonomia possibile e diventare finalmente” “persona”, tanto che “…qualche volta essi hanno dimostrato anche la capacità di portare avanti un rapporto amoroso con un partner” (A.Mannucci, “Anch’io voglio crescere”, Pisa 1995). Tuttavia alla prova dei fatti, quest’ultima affermazione è stata smentita, restando nel limbo dei puri desideri.
Quanto osservato trova conferma in mio figlio Fabio in un passo rinvenuto tra le carte che avevo conservato. Leggo tra l’altro: “…ho impazienza a crescere perché, una volta diventato maggiorenne potrei andarmene da casa, perché così mi potrei costruire una vita da solo… una volta trovato il lavoro io mi vorrei sposare…”.

Dato che la gestione della sessualità è certamente una conquista importante che coinvolge tutta la sfera emotiva del singolo, c’è da domandarsi innanzitutto come possa una famiglia promuovere, agevolare e gestire questa integrazione e come potrebbe aiutarlo ad appropriarsi degli strumenti per acquisire una strada verso l’autonomia affettiva?
Quasi sempre il ragazzo trisomico deve elaborare tutto da sé, con un dispendio d’energie che gli procurano un accumulo di tensioni che nel tempo incidono sul suo equilibrio emotivo, sulla sua serenità, sulla sua felicità, sul suo connaturato altruismo. Ne sono pertanto inibite la disinvoltura e la capacità di approccio con l’altro sesso e quindi resta una persona dimezzata, insicura, avulsa dalla realtà, rigida, inflessibile.
Ne “L’arte di amare”, Erich Fromm sostiene che il bisogno di amare sorge dalla sensazione di solitudine o di separazione da qualche cosa o da qualcuno che ci attrae. Poiché questi ragazzi, in genere, non sono avari nel concedere il loro affetto, d’animo nobile, capaci di emozioni profonde, diventa centrale la necessità di procedere ad elidere la dipendenza psichica e fisica dalla famiglia e dal mondo degli anziani per lanciarli nel mondo dei coetanei. E quando?
Sono domande che hanno un ruolo importante sull’equilibrio finale del ragazzo e della famiglia, alle quali la letteratura in materia non ha ancora dato una risposta.
I nostri figli di abilità diversa hanno la fortuna di vivere in un Paese tra i più avanzati al mondo sul versante dell’integrazione sociale a partire da quella scolastica per finire al mondo del lavoro, con una legislazione che fa invidia a tutti i Paesi del mondo occidentale, ma, ribadisco, ancora poco o nulla sul versante affettivo-sessuale.
Ciononostante possiamo affermare che nel modo di affrontare la sessualità è possibile notare un maggior progresso di quello dei tempi dei nostri nonni, perché specialisti ed operatori ai quali compete la diffusione del sapere, ci hanno liberati dall’ignoranza presentando l’amore, l’innamoramento, il rapporto e la funzione sessuale come qualcosa tutt’altro che disonorevole o di osceno appurando che il sesso, oltre ad un fatto salutare ed igienico in sé, è una forza ispiratrice e liberatrice che porta ad un maggior senso di sicurezza personale e di equilibrio tanto che “…vige una liberazione ed un progresso come negli altri campi dell’esistenza individuale” (W.S.Kroger). Allora perché di queste conoscenze vengono ancora privati i nostri ragazzi?
Il sesso, secondo William S. Kroger, uno dei massimi ginecologi statunitensi e affermato medico psicosomatico, è un mezzo che ci offre la gioia in luogo della confusione, la speranza in luogo della disperazione della solitudine; questo avviene di solito col giusto partner e nel momento giusto. Affermazioni bellissime, ma che non si attagliano ai nostri figli e non ci offrono alcun indirizzo pratico.
Chiarito cosa si intendere per sessualità ed i suoi effetti, cerchiamo di vedere come può essere affrontato il tema in un portatore di trisomia21.
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Molte, troppe sono molte domande che attendono delle risposte di ordine neurologico e psichico prima di poter decidere se, come e quando affrontare la problematica con i nostri ragazzi.
Prima di procedere ad una rapida disamina del fenomeno, bisognerebbe fare un’ulteriore distinzione tra “fare sesso” e “amare qualcuno”. Nel primo caso la risposta si risolve in un semplice accoppiamento per il soddisfacimento di un bisogno meramente fisiologico. In questo caso non sorge alcun problema come per qualunque essere vivente, se non quello del rischio di una malattia con una prostituta. Si potrà ottenere un puro e semplice rilassamento fisico che dura poco ed il più delle volte non è gratificante.
Nell’altro caso, trattandosi di unione sessuale desiderata tra due esseri umani che si amano realmente, le cose si complicano.
Poiché l’amore verso una ragazza o un ragazzo comprende capacità complesse che coinvolgono due personalità, sé stesso e l’altro, in tal caso occorre senso di responsabilità, dedizione, comprensione, rispetto dell’emotività dell’altro, percezione della disponibilità e quant’altro possa soddisfare un bisogno di protezione, di sacrificio o magari capacità di coinvolgimento. Pertanto, la domanda da porsi è questa: è in grado una persona Down di saper controllare tutte queste emozioni? In altre parole, qual è la sessualità sostenibile?
Come sappiamo, questo soggetto non manca di sensibilità e di compenetrazione nell’altro; ma fino a che punto è in grado di controllare tutti i fattori elencati contemporaneamente? E inoltre, è in grado di affrontare con senso di responsabilità, la progettualità di un futuro insieme, per il quale, l’essere stato tenuto sotto tutela per essere considerato un “eterno bambino”, non è abituato? Quali garanzie di equilibrio può offrire una persona affetta da trisomaia21? Anche consentendogli una convivenza protetta non si sentirà, ancora una volta, una persona di serie B? Se accettasse in questo caso di essere “controllato”, sarà in grado a sua volta di gestire i “moti dell’anima” della persona amata? Come reagirà il momento che si accorgerà di non essere più riamato come immaginava? Sarà sicuramente preso dalla disperazione più di un qualunque normodotato a causa della difficoltà di elaborazione del sentimento del dolore.
Poiché nella nostra società l’amore può manifestarsi anche sotto forma di amore distorto, distruttivo, di mera conquista, di possesso, e ciò non a causa del sesso in sé, ma per un falso atteggiamento rispetto al fatto sessuale, ed essendo, come accennavo, il rapporto amoroso-sessuale un rapporto emozionale e molto soggettivo, per quel che se ne sa, essendo il trisomico un essere emotivamente fragile, potrà assorbire i colpi delle delusioni?
In tal caso bisognerebbe mostrare al proprio figlio una notevole capacità di coinvolgimento, mostrando di essere vicino ai suoi problemi. Bisognerebbe fortificarlo in modo da poter affrontare il “dolore” facendogli capire che l’amore è anche causa di molta sofferenza per chiunque, anche per i più dotati. Quando infine si riscontra che, nonostante gli sforzi, il ragazzo (o la ragazza) non riesce a realizzare il suo desiderio, bisognerebbe dirgli chiaramente che vi sono altre cose che possono dare la felicità, non necessariamente unendosi ad una donna o ad un uomo. Ciò potrà avvenire solo quando si sia prefigurato un sistema di compensazione. Questi ed altri quesiti ci deve ancora spiegare la ricerca scientifica.
Nel frattempo non resta che illuderci che questi giovani Peter Pan, possano vivere una vita che si avvicini alla normalità. Al momento, oltre ad “amoreggiare” o magari a far sesso genitalmente, in giro non vedo altro. Se però crediamo che sia gratificante mandarli “a letto” solo per offrirgli il gusto di uno sfogo, allora non stiamo trattando di sentimenti e men che meno di relazione duratura. In tal caso quale evoluzione, quale rispetto di sé, quale autostima può emergere? Solo quella di aver posseduto per un certo periodo qualcuno: cosicché la ricerca di “equilibrio” con l’altro resta un fatto squisitamente illusorio.
E allora, se un trisomico non fosse realmente in grado di affrontare l’altro da sé pena uno sconvolgimento del suo già precario equilibrio emotivo, sarà bene augurarsi che mai provi cosa significhi fare all’amore? Il fatto stesso che il corpo fisico, è un recettore di emozioni sin dal grembo materno, l’atto sessuale in sé rappresenta un “ritorno” al piacere, come può essere quello del mangiare, che a mio avviso va comunque soddisfatto. Ciò vale ancor più quando trattasi di un essere emotivamente fragile come può essere un handicappato grave.

In attesa di risposte esaurienti da parte della ricerca e degli educatori e di una forte presa di coscienza della famiglia, credo che al momento, come sostiene l’Albertini e tanti altri, sia meglio tollerare la masturbazione, magari col supporto di riviste porno, prima che imploda e irrimediabilmente ripieghi su se stesso, così come avveniva nei secoli scorsi per le vergini di famiglie nobili che, prima di essere “contaminate”, venivano spedite in convento a farsi suora.
In ultima analisi, come si vede il problema è ancora una volta rinviato al grado di percezione di noi genitori. Se non saremo in grado di offrire loro delle opportunità, i nostri figli lotteranno ancora per la ricerca dell’affetto fuori dell’ambito familiare, in quanto sentono istintivamente che da esso dipenderà la possibilità di arrivare ad un più completo sviluppo della loro personalità, come la sola realtà che conti.

Francesco Pugliarello

mercoledì 5 marzo 2008

La 194 così com’è nuoce al rapporto di coppia

Natalia Aspesi, che dagli anni ‘90 tiene una rubrica confidenziale su “questioni di cuore”, prendendo ad esempio il caso di quella signora trentanovenne di Napoli che, va ad espellere nel bagno del policlinico l’embrione che portava in grembo, dalle colonne di Repubblica del 13.02.08 deplora la latitanza dei maschi definendoli “restii a condividere questa esperienza”, dimenticando però che vi sono casi altrettanto criticabili come quelli di certe donne che, come segno di emancipazione dal maschio, escludono a priori il padre del concepito. Tenendo presente che nessuna donna di buon senso priverebbe il padre dal condividere un momento così fondamentale come la sua esperienza di maternità, vi sono alcune minoranze, alla Aspesi maniera che stentano a capire che la decisione di abortire non è patrimonio della gestante - tranne il caso di pericolo di vita della stessa - ma è anche e principalmente del “gestito”, il quale è altro dalla madre. E per tal ragione trova nel padre, o in quello indicato come tale, un potenziale “tutor” che va in ogni caso consultato e messo davanti alle proprie responsabilità.

Rileggendo con cura la legge 194, si ha la sensazione che dietro il diritto all’autodeterminazione della donna, in un momento di particolare emotività esistenziale, vi sia la mistificazione del criterio diritto-dovere per cui l’embrione sia considerato un “oggetto” di cui poter disporre secondo le proprie esigenze, senza pensare che così si offre all’uomo l’alibi della deresponsabilizzazione, purtuttavia della 194 ne hanno fatto una bandiera . Quel “ove la donna lo consenta”, più volte ripetuto nell’articolo 5 e successivi, lascia molto spazio a questa interpretazione. L’equivoco di fondo che spinge certe femministe ancora a gridare sulle piazze slogan post-sessantottini del tipo “l’utero è mio e lo gestisco io” lascia sconcertati. Oppure quando aprioristicamente dichiarano pubblicamente “giù le mani dalla 194”, mentre i dati recenti testimoniano che questa legge è di per sé già in mora dal fatto che ha tradito le attese.

I dati più recenti, riferiti al 2005, ci rivelano che la tutela della maternità ha finito per diventare uno strumento di controllo delle nascite in mano a operatori sanitari senza scrupoli ed a consultori pubblici svuotati nella loro funzione preventiva, peraltro ridotti nel numero (da 3000 a 2000). Ciò è testimoniato dall’aumento vertiginoso degli aborti fra le giovani generazioni e le straniere. Tra i 20 ed i 24 anni di età la percentuale delle IVG è la più alta, ricorre ogni 15 ragazze su 100, mentre per le straniere raddoppia, raggiungendo la cifra di una donna ogni 3. Forse è venuto il momento di scuotere il muro dell’indifferenza e della rassegnazione riportando il dibattito su un piano di etica pubblica e di morale privata: la 194 così com’è nuoce al rapporto di coppia. Quando Giuliano Ferrara e tanti altri come lui, parlano di “cappa di disperazione delle famiglie”, quando parlano di moratoria essi non intendono abolirla, ma rafforzarla, renderla più efficace alla luce dei progressi medico-scientifici e dei mutati costumi degli ultimi decenni, ripartendo dalla prevenzione e dalla cultura della sessualità; questa volta però muovendo dal rispetto dei sentimenti altrui.

Un ministro della repubblica, Livia Turco, alla vigilia della campagna elettorale (con quale credibilità?), per la prima volta lascia intendere di essersi convinta della necessità di coinvolgere anche il padre in un “dibattito etico della responsabilità circa la nascita di un figlio”, mentre nel passaggio successivo si smentisce clamorosamente quando afferma che “si nasce dal corpo di una donna… “se lei lo vuole”! (La Stampa 11.01.2008). Come si può dar credito ad una sinistra affetta da una così ammirevole cinica ambiguità? La verità è che il culto della personalità, incarnato nel radicalismo elitario che ha contaminato anche il “nuovo” PD, nel timore di veder trasformare l’Italia in uno Stato confessionale e nell’ansia di liberarsi dalla gabbia degli affetti, non lascia spazio a realizzare che il rapporto tra i sessi in questi decenni è radicalmente cambiato. E’ di sentimenti che si tratta, quelli che i giovani come il sottoscritto provavano i primi tempi delle occupazioni degli atenei e non solo di rapporti sessuali che possono rivelarsi traumatici, specialmente quando sono escludenti.

Perchè l’aborto o il diritto alla vita deve essere una questione esclusiva della donna quando l’amore si fa in due? Se fare all’amore è anche ricerca di equilibrio e di identità tra due esseri di genere diverso, perché nella cultura di sinistra il rapporto di coppia è reso problematico? Forse la “provocazione” di Giuliano Ferrara, magari criticabile nella forma ma non nella sostanza, potrebbe aver sortito il suo effetto: quello di rimette in discussione le cause dello svuotamento etico-antropologico del concetto di famiglia, o più semplicemente dei rapporti umani. Se ricordassimo che proprio in Toscana sul diritto alla vita siamo stati i primi al mondo a cancellare la pena di morte e se tutti riflettessimo che la libertà di non interrompere la gravidanza sarebbe il dono più grande che la solidarietà può fare alle madri, solo allora potremmo ritrovare la strada di una vera democrazia ripartendo proprio dalla centralità della famiglia, quale prima cellula della società occidentale, in cui i diritti-doveri sono anche in questi casi paritari.

Francesco Pugliarello