giovedì 29 marzo 2007

Clamoroso: la Chiesa cattolica in difesa dei diritti umani

Il tempo è galantuomo, si sa. E' oggi la notizia (su rai2)l'energica azione-diplomatica esercitata dal Vaticano per salvare gli ebrei dal massacro ordinato da Hitler nella seconda Guerra Mondiale, smentendo con i fatti gli imbecilli e gli atei che nel tempo hanno continuato a gettare fango su di Esso.
A 50 anni dalla scomparsa di Pio XII si aprono gli archivi vaticani, in occasione della Sua beatificazione e viene annunciato, documenti alla mano, per ora con poco clamore dei media. Staremo a vedere! Vi sarà il solito pierino-intellettuale di turno a contestare la loro contraffazione?? Intanto lascio alle anime belle il commento su questo fatto che per me ha del clamoroso, a testimonianza, se ancora ve ne fosse bisogno, di quanto ancora c'è da testimoniare per dimostrare di quale valore etico e culturale è portatrice da aleno due millennii la nostra Chiesa nel mondo.

Buoni commenti a tutti.

domenica 25 marzo 2007

Benedetto XVI e la sua tenacia nella ricerca di dialogo con l'Islam

Il colonialismo e le guerre del secolo scorso culminate con la shohà hanno scosso le coscienze degli europei assumendo su di sé un senso di colpa collettiva accompagnata da un diffuso affievolimento spirituale. L’arricchimento dei “signori del petrolio” e la tecnologia indiscriminata, hanno finito per spazzare via quel residuo di valori condivisi che nel tempo si erano radicati nella coscienza delle nostre comunità, al punto da far esprimere all’Islam: avete visto? Voi siete i corrotti; noi siamo i migliori; ora dovete venire a patti con noi perché siamo noi che conserviamo una identità religiosa dell’esistenza; voi siete gli infedeli e noi vi correggeremo. Rendendolo laico, questo potrebbe essere sostanzialmente il pensiero Papa Benedetto XVI, quando parlando di relativismo valoriale ci richiama al rispetto della tradizione e alla difesa della nostra identità cristiana. Lo ribadisce in ogni occasione. Anche ieri l'altro, nel corso dell'udienza in Vaticano ai partecipanti al congresso per i 50 anni dei Trattati di Roma sul tema “Valori e prospettive per l'Europa di domani''. Egli ha tenuto a riaffermare che l’Europa è destinata ad uscire dalla storia se dimentica le sue radici cristiane. Questo forte monito non deve meravigliarci. Ratzinger è un uomo di fede che vive intensamente il nostro tempo per cui, nella sua missione apostolica, riesce a coglierne intimamente i risvolti. Il Suo “manifesto pontificale” era già tracciato da tempo e reso pubblico, sia in una famosa intervista con Peter Seewald, Edizioni San Paolo ne “Il sale della terra, cristianesimo e Chiesa cattolica nel XXI secolo”, sia nel convegno di Cracovia sulla “Nuova evangelizzazione” (2005).
A seguito dell’ “insurrezione islamica” seguita alla lectio di Ratisbona, lo vediamo esprimere tutta la sua amarezza e la pietà per le minoranze cristiane vessate e perseguitate in ogni angolo della Terra dove è preclusa ogni libertà di espressione. Ma ormai le sue direttrici pastorali sono ben definite: da un lato irrobustire e difendere con la parola la fede in Cristo, e dall’altro cercare di superare le difficoltà di proseguire quel ponte di dialogo che Papa Giovanni Paolo II aveva intrapreso col mondo islamico. Un mondo diviso in mille correnti e fazioni, ideologicamente e politicamente contrapposte, in cui è impossibile individuare un referente unico. E’ appena il caso citare la corrente maggioritaria riferita all’organizzazione dei Fratelli Musulmani (al momento Al-Qaradawi): rappresentante “spirituale” delle masse diseredate sparse tra il miliardo e più di musulmani. Ma questo è l’islam fondamentalista, legato al terrorismo internazionale. Non ultimo cruccio è il contrasto interno che proviene dalle gerarchie ecclesiastiche che vivono nei Paesi musulmani alla ricerca di una pacifica convivenza. Si tratta di una sfida complessa, difficile e molto diversificata perché riferito a religioni in concorrenza tra loro che, per effetto della globalizzazione, ognuna di esse ha la pretesa di validità sull’altra. Tuttavia questa scelta è irreversibile ed impellente.
Rileggendo la lectio di Ratisbona, in filigrana traspaiono le forti difficoltà che questo pontificato deve superare, manifestatesi in un duplice aspetto: nell’ “annuncio” e nel “dialogo”, dove il primo è la proposta forte di richiesta di recupero dei valori fondanti la cristianità, edificata sulla parola divina, quale emerge dai testi sacri. Con la saldezza teologica del teutonico e la serafica apertura agli altri, Benedetto XVI ci ripropone un Dio stimolante che si rivela all’uomo con le sue stesse debolezze in attesa di essere scoperto attraverso l’uso della ragione e dell’amore verso gli altri, contrapposto alla visione musulmana di un Dio occulto ma incombente, riconosciuto solo attraverso le scritture e con cui il singolo non può e non sa dialogare perché lontano e invisibile. L’islam può entrare nella modernità solo quando il Corano verrà reinterpretato. Alla luce delle frasi del Pontefice il linguaggio dell’Islam ci appare ermetico, ripetitivo, quasi segreto, comprensibile solo a pochi eletti: è sì un linguaggio poetico, ma mitologico e pervasivo che impregna di sé tutta la sfera vitale della umma. Un linguaggio zeppo di contraddizioni, fermo nel tempo e “non sorprende, che per il rischio di ricatti o di minacce, alcuni commenti testuali sono pubblicati sotto degli pseudonimi” (Gorge Pell). Pertanto la capacità di rinnovamento è assai limitata ed improbabile (se non in una possibile implosione). Purtuttavia è una religione viva e molto seguita. Ma Ratzinger non crede nel suo rinnovamento, in funzione del fatto che la Parola che Dio ha dato a Maometto è parola eterna, mentre la nostra è diversa perché è Dio che si serve degli uomini per diffondere il Verbo interpretandolo e adattandolo alle mutate situazioni. Inoltre va ricordato che la rigidità lessicale coranica è il pensiero che ha forgiato la taqiyya (strategia di penetrazione), della dissimulazione o del doppio linguaggio; uno per l’interno della congrega, un altro per l’esterno che pone la difficile ricerca di interlocutori con cui instaurare un dialogo concreto: una trappola collaudata nei secoli dalla corrente sciita. Egli sa benissimo che affinché un dialogo sia fruttuoso occorre che chi vi partecipa rispetti scrupolosamente la verità; e nel problema del rapporto tra islam e Occidente “la posta in gioco è troppo alta per equivocare sui fondamenti” (M.Introvigne).
Posto in questi termini è difficile, per non dire impossibile, intavolare un dialogo con le Istituzioni islamiche, ma Ratzinger è tenace, ci prova, rischiando di persona: si presenta in casa loro (ad Istambul) con l’umiltà dell’uomo di fede.
Il Papa non demorde, usando i media come il suo predecessore, ripresenta la Sua teologia sempre più incalzante e concreta che a molti può apparire conservatrice. Così dev’essere se si vuole spezzare quel muro di buonismo e di lassismo che dilaga nel vecchio Continente e se si vuole veicolare un dialogo con quel mondo fluido, sfuggente che dice e non dice e se dice subito smentisce. Purtroppo quello islamico non è il mondo laico, razionale, dubbioso, ma macchinoso, machiavellico ancorché fantasioso che schiva e teme la verità. Chi ha vissuto tra loro, non singolarmente, ma in comunità, sa che non è un mondo del si o del no, ma del ni perché insicuro, timido al dialogo aperto, suscettibile alla critica. Il Papa sa benissimo che la prima condizione per una apertura al diverso occorre trovare dei punti di intesa, e pertanto la prima condizione è il rafforzamento delle propria identità da svelare all’altro, anche quella che può disturbarlo. Perciò ridurre lo spessore della propria fede per non offendere l’altro non farebbe che confermare nell’altro la nostra insicurezza: “per i seguaci di Maometto questo significherebbe una sorta di resa, di abdicazione alla propria fede ed un implicito riconoscimento della superiorità dell’Islam” (Samir Khalil).
Se solo pensassimo alle umiliazioni ed alle torture subite durante la conquista dei popoli iberici e balcanici (avvenuta non sempre con la spada), ridotti a dhimmitudine e con quale e quanta arroganza trattano i nostri rappresentanti istituzionali, poco avremmo da consolarci sul nostro futuro. Al momento non abbiamo che affidarci alla secolare saggezza della nostra Chiesa. Se viceversa accettassimo il principio della legge islamica secondo cui è impedito di pronunciarci sulla sharia, “allora saremo davvero sulla strada che ci condurrà verso la loro sottomissione” (Daniel Pipes): questo potrà avvenire fintanto che in Occidente continueremo a non mostrare compattezza con la gerarchia ecclesiastica.

Francesco Pugliarello

giovedì 22 marzo 2007

Una rapida disamina dell'Islam e l'urgenza di compattezza in Occidente

Dopo l’”insurrezione islamica” provocata dalla lezione del Pontefice tenuta a Ratisbona, che colpendo la suscettibilità di quel coacervo di Comunità sparse nel mondo, per qualche tempo ha fatto temere il peggio e le successive orgogliose prese di posizione chiarificatrici dello stesso Pontefice nei successivi incontri con le delegazioni di quei Paesi accreditati presso la Santa Sede, va stemperandosi, è il momento di rifare un rapido punto della situazione.
Cosa mai di tanto grave avrebbe detto il Papa per risvegliare la permalosità di quei governi?
Va chiarito subito che il suo pensiero fu manipolato da alcuni media occidentali, primi fra tutti l’inglese Gardian e lo statunitense N.Y.Times i quali, estrapolando una frettolosa e fantasiosa interpretazione di alcune frasi ad effetto come ad esempio:“una ragione non allargata alla dimensione della spiritualità è una ragione che diventa irrazionale, (ancora non si sa se in buona o in mala fede), hanno eccitato le cattive coscienze di altri che immediatamente sono ricorsi a ridimensionare l’autorità di un Pontefice troppo spinto verso posizioni temporali. Rileggendo con più cura il Suo discorso, ed i successivi chiarimenti, ci si accorge che il messaggio era ecumenico e letterario, diretto cioè ai credenti nel logos (intelligenza divina) laddove denuncia un indebolimento della ragione nel mondo. L’uomo contemporaneo, secondo Ratzinger, ha l’impellente necessità di usare in ogni azione una delle prime virtù insite nell'essere umano: la Ratio, specialmente quando si tratta di comprendere le altre religioni. Ribadendo che “soltanto Ragione e Fede, se unite in un modo nuovo.., possono farci superare le minacce che emergono nella civiltà contemporanea” riconosce che senza la libertà di ricerca della verità, c’è solo menzogna. E la menzogna porta alla violenza: “… per cui la diffusione della fede mediante la violenza è cosa irragionevole… la fede è frutto dell’anima, non del corpo”. Per convincere della bontà del suo discorso, il Papa cita alcune sure del Corano (2:256) dove si legge: “Non c'è costrizione nella religione; la retta via va ben distinta dall’errore” ed ancora in (XVIII, 29) e ancora: "La verità viene dal vostro Signore: chi vuole creda, chi non vuole non creda". Andando a rileggere il Corano vi troviamo ribaditi i precedenti concetti secondo cui "Se qualcuno degli idolatri ti chiede asilo, concediglielo affinché possa udire la parola di Dio e conducilo in un luogo per lui sicuro" (IX, 6). Dunque addirittura il musulmano è tenuto a proteggere chi professa altre religioni.
Chiarito quindi che l’Islam non solo non prescrive, ma condanna la conversione con la forza, con la guerra, andiamo a vedere qual è lo statuto della guerra nell’Islâm. L’Islâm è una religione dell’equilibrio, della moderazione, direi del “giusto mezzo”. È una religione che non ama gli eccessi, le esagerazioni. Dunque se la guerra esiste, deve essere condotta all’interno di limiti ben precisi. Dice infatti il Corano: "Combattete coloro che vi combattono, ma non superate i limiti, perché Dio non ama quelli che eccedono. Uccideteli quindi ovunque li troviate […] perché l’ingiustizia è peggio dell’uccisione. […] Ma se desistono, sappiate che Dio è indulgente e misericordioso. […] Se desistono non ci siano più ostilità." (II, 190-193). E ancora: "Perché non combattete per la causa di Dio, per i più deboli tra gli uomini, le donne e i bambini che dicono: ’Signore, facci uscire da questa città di gente iniqua. Dacci per tua grazia un patrono. Dacci per tua grazia un difensore" (Corano IV, 75). Dunque la guerra è consentita solo se si è aggrediti o se si tratta di difendere un soggetto debole, incapace di difendersi ad solo. In ogni caso è assolutamente vietata la guerra di aggressione. Il musulmano non deve mai essere colui che inizia una guerra, una violenza. Pertanto per i musulmani di mentalità moderna, i versetti citati sono la prova che l’Islam è una religione tollerante!
Per alcuni commentatori le frasi citate sono alcune delle sure in cui Maometto era alla Mecca, dove ancora non era minacciato e tuttavia sperava di conquistare il popolo, inclusi cristiani ed ebrei, alla sua rivelazione mediante la predicazione e l’attività religiosa. Però nella sura 9:29 dichiara il contrario: “Combattete coloro che non credono in Allah…e quelli tra la gente del Libro che non scelgono la religione della verità, finchè non versino umilmente il tributo e siano soggiogati”. Questa sura e le successive si riferiscono al periodo in cui si era trasferito Medina ove, secondo alcuni, stringendo alleanze con alcune tribù yemenite, avrebbe abrogato i precedenti dettati irenistici. Già nel IX secolo c’era chi, come Ibn al-Rawandi, e sulla sua scia tanti altri fino ai giorni nostri, sosteneva che “il Corano è zeppo di contraddizioni, errori e assurdità”. Così a spregio degli interpreti fondamentalisti come Sa’id Hawwa e Sayyid Qutb-(“uomo perfetto?)”, maestri e ispiratori di Bin Laden, per contra insigni studiosi e critici come il libanese Muhammad Gawad Maghniyya e Abu Zayad (seconda metà del ‘900), coevi ai precedenti, dichiarano che tutti i versetti vanno contestualizzati perché riguardano ” un tempo in cui gli infedeli della penisola araba costituivano una pericolosa “quinta colonna” antimusulmana. Abu Zayad nel 1996 ha perso la cattedra per aver dimostrato che il Corano “è un prodotto culturale” scritto per arabi di quell’epoca. In quest’ultima corrente critica s’inquadra anche l’iraniana Musrat Amin (m. 1983), una delle poche donne ad aver scritto un commentario del Corano.
Va sottolineato che la seconda interpretazione è stata ripresa e teorizzata nel wahabismo proveniente dalla penisola arabica nata dall’impatto con la modernità prima e la sconfitta del califfato ottomano poi, e si è estesa lungo quasi in tutta la fascia mediterranea. Mentre la prima, quella più tollerante si è sviluppata nel sufismo a partire dall’11° secolo penetrando verso Oriente. Tuttavia sia in Oriente che in Occidente coesistono e si combattono aspramente a seconda delle circostanze storiche. Oggi la nascita dello stato di Israele (1948) ha segnato una maggiore recrudescenza da scuotere profondamente il sentimento musulmano, determinando il successo delle versioni arabe della propaganda antisemita a seguito della massiccia immigrazione anche in Europa. Siamo alla globalizzazione del terrorismo della parola (attraverso le fatwa, tipiche quelle del “Fratello” al-Qaradawi) e del terrorismo jahdista attraverso le armi asimmetriche con cui oggi i popoli di qualunque religione devono fare i conti. La qual cosa porta alla schizofrenia facendo sì che si viva “avvolti dall’ideologia e dalla mancanza di lucidità nell’analisi dei fatti” .
E’ plausibile che una possibile soluzione potrebbe essere quella di incrementare il dialogo, come in molte parti del mondo è praticata da oltre un trentennio, (a Roma fin dal 1975 presso il Pontificio Istituto di Studi Arabi). Tenendo presente le enormi difficoltà da superare, per la latente suscettibilità del mondo musulmano, la prima direttrice potrebbe essere quella promossa a Ratisbona dal Papa con l’apertura ed il potenziamento di un dialogo col mondo della cristianità, scaduta nel relativismo e nel materialismo per cui i musulmani ci condannano di irreligiosità. Ad essa va associata una presa di coscienza di alcuni valori presenti nel credo musulmano purificati ed universalizzati, anch’essi minacciati da un processo di secolarizzazione, partendo dal riconoscere l’evoluzione della donna e della famiglia. E’ recente la costituzione a Roma di un Circolo di musulmani modernisti che si richiama al grande Ibn Rushd/Averroè che sicuramente si riconoscono personalità intelligenti e libere. Può tuttavia ancora ravvisarsi qualche motivo di ottimismo che potrebbe ricavarsi dalla stessa natura totalitaria dell’ideologia, dalla brutalità e dal rigore del regime islamico, di cui è esempio l’Afghanistan sotto i talebani. Difatti “Proprio come il totalitarismo laicistico del secolo XX — nazionalsocialismo e comunismo — si è rivelato in ultima analisi insostenibile a causa dell’enorme dazio che esso imponeva sulla vita e sulla creatività dell’uomo, così avverrà per il totalitarismo religioso dell’islam radicale” (George Pell, arcivescovo di Sidney). “Se [viceversa] accettassimo il principio della legge islamica secondo cui è impedito di pronunciarci sulla sharia, “allora saremo davvero sulla strada che ci condurrà verso la loro sottomissione” (Daniel Pipes). Ma questo potrà avvenire fintanto che in Occidente continueremo a non mostrare compattezza politica.
Francesco Pugliarello

mercoledì 21 marzo 2007

Lo scandalo dei DICO e l'assegno di reversibilità ai disabili

Rileggendo i 14 articoli sui “DiCo” trovo che la proposta si prefigge, in maniera surrettizia, di praticare la via zapateriana alla legittimazione dell’unione tra omosessuali. Cosa che in Spagna pare sia in via di un conclamato fallimento…! Affermo questo, perché non è un’operazione culturale di giusta e legittima ed attesa attenzione verso la problematica omosessuale, come si vuol far intendere all’opinione pubblica, bensì un’operazione , alquanto sottile ed ipocrita, in funzione di uno scavalcamento del dettato costituzionale per tracciare un solco verso una futura legalizzazione nell’ambito dell’Istituto della famiglia. Insomma un vulnus sottile che tenderebbe a rendere sempre pù affievolita una millenaria tradizione riconosciuta nel resto del mondo.La conclusione suesposta mi pare possa essere suffragata dal fatto che alcuni diritti (o benefici) previsti previsti nell’articolato sono già presenti nel nostro ordinamento; basterebbe attivarli.Per esempio: 1° - la possibilità di intestare per testamento un bene a chicchessia (naturalmente nel rispetto della legittima); 2° -per godere pressoché degli stessi diritti di una reale convivenza una richiesta inviata in Racc. A.R. al Comune di residenza e registrata presso un notaio e tanto altro da scoprire nel coacervo delle nostre norme.

E poi, perchè cotanta urgenza da investire addirittura il massimo organo Esecutivo, dal momento che esso riguarda apèpena qualche migliaio di casi? Forse una ghiotta occasione per seguire la moda europea dello scardinamento delle tradizioni secolari messe in discussione già dai '68ini? Almeno allora si contestavano le baronie e si praticava l’amore libero personale…, non quello legalizzato! Gran parte della classe dirigente attuale, viene da quella “ scuola” marcusiana e spinge affinché sia coronato un desiderio di gioventù: la fanatica realizzazione dei loro sogni a dimostrazione che sogni non erano...
Ma non registriamo un tasso di natalità tra i più bassi al mondo, al punto da dover chiamare giovani dall’estero? E allora non sarebbe stato più logico e più INTELLIGENTE incentivare con tutti i mezzi consentiti e da subito la FAMIGLIA?

A questo punto, pur concedendo la buona fede ai proponenti, legittimare un fatto sol perché in Occidente va di moda, per cui il senso della vita per essi è seguire il flusso della maggioranza, (cfr.direttiva 2004/38/Ce), ritengo sia non solo un inganno ma anche una mancanza di personalità di un Paese. La gente che ha buon senso, ovvero “cittadini/e adulti/e”, pur accettando amoreggiamenti complici e passeggeri, (perché consumati nel privato) rifiutano accoppiate di comodo e propendono per una rafforzamento delle politiche e della cultura per una sana e reale FAMIGLIA,(che è responsabilità) non foss’altro che per il rispetto dei più deboli (vedi figli, ragazze meno dotate, ecc.).

C’è un ultimo sospetto per cui mi trova ancora in disaccordo, laddove nell’articolo 6 qui riportato:
Permesso di soggiorno (articolo 6). "Lo straniero extracomunitario o apolide convivente con un cittadino italiano e comunitario che non ha autonomo diritto di soggiorno può richiedere il rilascio di un permesso di soggiorno per convivenza. Il cittadino Ue convivente con un italiano, che non ha un autonomo diritto di soggiorno, ha diritto all’iscrizione anagrafica prevista dall’articolo 9 del Dlgs di attuazione della direttiva 2004/38/CE", intende voler privilegiare un qualunque extracomunitario sconosciuto nei suoi precedenti, anche se perseguito o condannato dalla legge del suo Stato di origine e da noi, in Occidente, rifugiato o autoesiliato (ve ne sono a migliaia!)– vedi il caso più recente alla metro di Londra i cui attentatori erano addirittura regolari cittadini inglesi o figli di immigrati di seconda generazione - Ma qui, sulla nostra penisola chi si sente garantito dal controllo alle frontiere...?
L’ultima perplessità, quella che più mi sta a cuore, è il caso di un congiunto disabile. Pertanto segnalo Leggi e Circolari di riferimento:
Circ.INPS 289 del 24.12.1991 (che riprende un concetto espresso nel DPR n. 18 del 1957);
L.n.33 del 29.02.1980- art.14septis.
L.222 del 1984 – art.5;
L. 381 del 8.11.1991;
Sent. 42 del 1999 Corte Costituz. 1999 (reversibilità X figli stud. Univ. han diritto a reversib.);
Circ.INPS n.198 del 29.11.2000 (ex Delib.INPS n.478 del 31.10.2000);
Circ.INPS n. 137 del 10.07.2001. Una volta analizzate, avrei piacere ricevere ulteriori ragguagli in merito.
Francesco Pugliarello

venerdì 9 marzo 2007

I nuovi farisei: purchè non si tratti di sepolcri imbiancati

Purché non si tratti di sepolcri imbiancati, dei quali il mondo è pieno, i contestatori della fede cristiana sono sempre bene accetti. Meglio contestati che negletti, ha detto Ruini. Benedetto XVI, forte dell’umiltà del primo uomo di fede, riconosce che anche le “chiese” possono sbagliare; esse si evolvono e migliorano costantemente, forse anche grazie alle critiche. Ricercare la fede con l’aiuto della ragione (nel senso del logos), è il grande compito dell’essere umano ripete il Santo Padre. In altri termini la religione, il cristianesimo in particolare, ha fatto tesoro della lezione razionalistica e il Papa non lo nasconde, ma è il razionalismo che ancora deve far tesoro della dimensione religiosa. Certamente il cristianesimo come lo intende la dottrina è scomodo e dà fastidio, perché segno di contraddizione e molti vorrebbero cancellarlo ma non vi riescono perchè necessario come il sale quale parte integrante dell’esperienza umana e pertanto “ineliminabile dalla struttura antropologica complessiva” (C.Cardia). Certe teorie elaborate dal raziocinio senza la tempera del cuore spesso finiscono per sradicare dalla coscienza comune l’importanza di credere in qualcosa o in qualcuno al di sopra di sé stessi. In molte credenze come quella musulmana, nazista o comunista, l’analisi razionale fine a sé stessa viene presentata come la soluzione a tutti i problemi, per cui l’unica via per la “felicità” è il totalitarismo. Nel primo come nel secondo caso, rifiutando l’immagine di un Dio fatto Uomo che è realizzazione della legge naturale, diventando facile preda della politica che a sua volta se ne impossessa come clava ideologica per orientare scelte collettive. Queste scelte alienanti, perchè monche della parte spirituale, hanno la funzione di disgregare e scardinare tutte le tradizioni che dalla fede nella natura trassero origine, cioè da tutto ciò che interessa la realtà più profonda dell’uomo, per instaurare la repressione fra le masse.
E’ la nuova corrente gnostico-laicista che sta prendendo piede in questo inizio di millennio a partire da Dan Brown con “Il codice da Vinci” a Piergiorgio Odifreddi con “Perché non possiamo essere cristiani”, passando da Corrado Augias e Mauro Pesce con l’”Inchiesta su Gesù”. Un tempo il cristianesimo e non solo, venivano combattuti con la spada, questi intellettuali lo fanno con le armi a disposizione: il piombo tipografico. Rancorosi, figli di questa cultura di cui si sono imbevuti, disprezzano sé stessi e noi, ritenendoci la Chiesa dei “cretini” pur di salire sull’empireo dei “migliori”. Negare Dio usando superbia ed autosufficienza è il Male che dilaga nel presente. E’ la rivincita, di belzebù che colloca l’uomo al di sopra di Dio e quindi al di sopra degli altri. Diceva il grande massmediologo MacLuhan: gli uomini non possono cogliere il "messaggio" se lo separano dalle sue manifestazioni concrete, a cominciare dai dogmi, dai riti, dalla capacità tutta cattolica di amare le cose concrete e le immagini. Quale motivo dunque scrivere libri del genere quando intere biblioteche traboccano di volumi sull’argomento? Qui non si contesta il diritto dell’intewllettuale di accostarsi a Gesù Cristo prescindendo dalla fede, ma ammettendo la buona fede che gli stessi autori premettono, non s’accorgono che l’intento di estrapolare l’ortodossia ecclesiastica in una fase delicata di forti attacchi alle nostre tradizioni, diventa quantomeno fuorviante. Odifreddi va oltre. Mettendo sotto accusa il cristianesimo lo definisce “un freno che ha gravemente soffocato lo sviluppo civile e morale” piuttosto che la molla del pensiero democratico e scientifico europeo e lo dimostra con la scientificità del matematico partendo da infondatezze storiche, dimenticando volutamente Michelangelo, Galileo, Manzoni, Giotto, Caravaggio, e tanti altri. La ragione secondo la Chiesa è il punto di connessione tra Dio e l’uomo; è il dono maggiore che l’uomo ha ricevuto; è il criterio sommo per giudicare e valutare anche le religioni e la loro evoluzione, ma non si può eccedere, pena il ricadere nella superbia (che per l'ecclesia)è una malattia dello spirito che corrode sé e gli altri. Come nasce la superbia? Nasce quando si innalza l’io al di sopra di tutte le cose. “Veritas est adeguatio rei et intellectus” diceva Aristotele; pertanto la superbia è una menzogna su sé stessi, quindi è una forma di autoinganno. Questo sfoggio di scienza, nell’illusione di accedere al mistero dei misteri rivelano a una vena complottistica che è stata quella di tutti i totalitarismi. Ma questi intellettuali dicono: per negare Dio è necessario conoscerlo e quale migliore maniera dell’analisi delle Sritture? Così, invece di adorare il Creatore attraverso il creato, adorano sé stessi, le loro analisi, le loro teorie corrosive. Eppure, Nicodemo, massimo dottore della Sinagoga, si reca furtivamente da Gesù per scoprire quale dono aveva ricevuto per fare tanti miracoli, costoro invece si ergono su sè stessi... Bravi! E’ l’ateismo psicologico dei farisei che contamina tutte le virtù, ma anche genera tutti i vizi e rende ciechi alla bellezza dell’universo. Se proprio non ce ne fosse stato bisogno, questa è un’ulteriore prova del tentativo di restaurare il pensiero unico di memoria Marcusiana, tanto caro ai nostri padri sessantottini.
Dott. Francesco Pugliarello

martedì 6 marzo 2007

Anche in Italia la sharia strisciante

La ferocia del kamikaze (o meglio dello Shahid; Hadit:824,829)che vuol mostrare al mondo la sua capacità distruttiva, non risparmiando nessuno, preti, suore, correligionari, bambini come quelli fatti saltare in aria l'altro giorno a Bagram presso la base Usa o quelli dell'Ossezia, è solo la punta dell'iceberg di un'islamizzazione strisciante che percorre in maniera subdola l'inero globo. Essa è un rigurgito tribale che risale ad una consuetudine preislamica proveniente dalle tribù nomadi della penisola arabica in cui vigeva la pratica della razzia (ghazwa): un'azione rapida di rapina, rivolta contro carovane o clan rivali, regolata da un rigido codice di comportamento. Appena dopo la scomparsa di Manometto la ghazwa ricompare, in forma più esasperata, nel Corano. Da qui il jihad o impegno che un «buon» musulmano mette per conquistare cuori e territori da affidare ad Allah. E' questo l'Islam che si presenta oggi in certe parti del mondo. Fintanto che non si capirà l'origine di questa violenza e l'odio che cova in sé, mascherato dal velo della taqiyya (dissimulazione) nei confronti dei non-musulami e dei musulmani «infedeli», saremo destinati alla sconfitta.

La taqiyya o «santa ipocrisia», si è diffusa attraverso la cultura araba da quando esiste l'islam codificato, sviluppanosi nello shihismo come metodo di difesa e di occultamento del suo credo contro i sunniti. Disse il profeta Maometto: «chi trattiene il segreto presto otterrà il sui obiettivi». Difatti l'abile uso di essa era una questione di vita o di morte contro i nemici, ed è anche questione di vita o di morte per tanti contemporanei terroristi islamici. I cultori estremisti fanno riferimento alla taqiyya e al suo ruolo fondamentale per la penetrazione nei «territori della tregua» (dar al-Hudna) a cominciare dalla giurisprudenza islamica fino ai manuali di Al-Qaeda, che presentano istruzioni dettagliate sull'uso dell'inganno, da praticare dai terroristi nelle nazioni bersaglio dell'Occidente. Proviamo a chiedere a qualcuno di essi una risposta che prevede un Si o un No, vedrete che eviterà la risposta diretta, adducendo difficoltà di traduzione dall'arabo.

Noi occidentali, travolti dalla globalizzazione dell'immigrazione e dal relativismo culturale, non ci accorgiamo di essere sull'orlo dello smantellamento delle nostre usanze, dei nostri valori e persino della religione. Non è facile individuare chi fra i nostri concittadini sia portatore di quella strategia, che si concretizza nel voler minare alla radice la tradizione giudaico-cristiana attraverso la negazione dello Stato di Israele e del Vaticano per ri-edificare il Califfato.

Appoggiandosi ai tutori del multiculturalismo, essi sanno che l'Occidente è pronto a negare sé stesso in nome di una religiosità più concreta e solidaristicamente più pregante. Quale occasione migliore per estendere il loro potere su di noi?! Di tutte le comunità che professano altre fedi, solo i musulmani reclamano l'adeguamento alla loro (che poi è una rigida serie di norme), perché ritengono le nostre leggi foriere di «corruzione». Essi pretendono suoli pubblici su cui erigere moschee come a Genova-Cornigliano, premurosamente concessi dai frati francescani in nome di una malintesa accoglienza. In alcuni casi la costruzione di imponenti luoghi di culto, con relativi minareti, in ossequio alle politiche multiculturali, vengono caldeggiati dalle stesse istituzioni locali. Tipico è l'esempio di Colle Valdelsa i cui abitanti si ribellano perché hanno capito che «coprire l'Italia con una rete di moschee corrisponde ad un disegno che non nasce dagli immigrati, ma da potenze economiche e finanziarie del mondo musulmano» (G.Baget Bozzo). In altri casi pretendono l'occultamento dei simboli della nostra cultura millenaria e noi, anime belle, per non offenderli, accettiamo passivamente. Ora che è iniziata la costruzione della moschea, si accusa tra i valligiani un cresce disagio di un corpo estraneo che irrompe nella loro vita con l'inganno. Essi sentono che questa costruzione, peraltro fatta su un giardino pubblico, pone fine a uno stile di vita consolidato che finora ha garantito una convivenza serena, benessere e libertà. Perché questa frenesia di costruire «presto e subito» delle moschee?

Basterebbe ascoltare qualche predica di un qualunque imam o ulema nel chiuso di quelle sale di culto, a noi precluse, per capire quale dottrina questi «religiosi» impartiscono ai loro fedeli. Ci hanno provato, (forse per la prima volta) due giornalisti musulmani, infiltratisi in alcune di queste moschee presenti sul nostro territorio. Nelle loro «prediche» non nascondono ai loro fedeli una decisa preferenza politica per la sinistra: «Nelle regioni dove la sinistra è forte, come in Liguria e in Emilia, noi stiamo meglio». Dalle frasi riportate emerge chiaramente tutta la portata eversiva come: «Noi dobbiamo rispettare le regole dell'Islam e anche fare proselitismo, dobbiamo attrarre la gente verso la nostra fede»; «a noi la loro democrazia fa comodo, ci è utile come comunità e come individui»; «mettiamo che il mezzo per raggiungere la sharia siano elezioni libere o l'esercizio del potere; mettiamo che i musulmani in Italia siano d'accordo ad istituire la sharia di Allah..., solo allora l'Italia potrà diventare un Paese islamico». Conclude il «signore della moschea»: «Siamo sotto attacco da parte della Lega e siamo in trincea... gli italiani sono però comprensivi, soprattutto con questo governo che è meglio di quello di destra di prima...». [Dall'inchiesta di Sky tg24, 05.02.07].

Non v'è alcun dubbio: è questione di odine pubblico e di sicurezza nazionale; essi sono stati selezionati per progettare un'Italia islamica. Questa sfida si può vincere soltanto smascherandone la strategia, penetrando cioè dove si organizza il «terrore» (moschee, network, madrase) con la stessa fermezza usata con la mafia e con le brigate rosse. Dove sono i nostri intellettuali, (meglio se musulmani modernisti) in grado e collettivamente di preparare l'opinione pubblica, come in Inghilterra all'indomani dell'attentato di Londra? Per cominciare, sarebbe sufficiente che essi venissero legittimati come interlocutori dell'Islam al posto di quelli selezionati dagli amici dei «Fratelli Musulmani».

Un quadro decisamente preoccupante che ci obbliga a non fare come gli struzzi. Che fine ha fatto la proposta di controllo all'interno delle moschee? E il principio di reciprocità nei rapporti internazionali? Questo diffuso fair-pay di lungo corso porta una tale confusione da rendere la già complessa realtà del nostro Paese al punto di non ritorno. Non vorremo che si avveri la profezia per cui di questo passo nel giro di qualche lustro avremo la sharia in casa nostra come, pare, sia già in quel di Londra!

Francesco Pugliarello