venerdì 21 dicembre 2007

Augurissimi

Natale 2007

A tutti gli amici e non un caro augurio di buon Natale, con l’auspicio che il Salvatore si ricordi delle sofferenze del mondo.

P.S. sarò assente fino al 14 gennaio.

lunedì 17 dicembre 2007

L’ENCICLICA “SPE SALVI” E IL FANTASMA DELL'ANTICRISTO

In tema di aspre critiche ed attacchi dissennati alla Chiesa, accusata di frequenti irruzioni in questioni terrene, sarà il caso cominciare a porci qualche domanda di ordine valoriale. Cerchiamo quindi di fare luce sulla questione, tentando di andare al fondo dei fatti che giorno dopo giorno stanno rendendo rovente il clima sociale del nostro Paese. Al di là di certe sterili e pretestuose polemiche che alcuni tentano di attizzare, emergono sempre più insistenti richieste di maggiori tutele per la riaffermazione dei valori identitari della nostra comunità. E’ il mondo di coloro che sono nauseati dagli intrugli proposti dalla vulgata marxista, peraltro penetrata anche in certi settori del clero, (a partire dalla teologia della liberazione, dalla fissa psicoanalitica, alla gnosi di un certo ecumenismo conciliare, fino all’esegesi storico-critica volta allo svuotamento del messaggio evangelico), nel chiaro tentativo di ricacciare in soffitta le migliori espressioni dell’animo umano; quella ricerca di equilibri che una millenaria civiltà ha costruito: la ricerca degli equilibri tra il bello e l’utile, nell’arte, nei comportamenti sociali, nella scienza, in tutti i campi dello scibile umano. Tutti valori che, si creda o meno, promanano da una proposta presente nel messaggio evangelico.

Consapevole di essere nuovamente al centro di una fase delicata della nostra storia, anche per l'arrivo massiccio di elementi di religione diversa dal cristianesimo, Benedetto XVI, conscio di attirarsi accuse di ingerenza nei fatti del mondo, ha accelerato le riflessioni pastorali con l’ultima Enciclica, “Spe Salvi”. Questa seconda Enciclica, ponendo l’accento sulla crisi del mondo contemporaneo scaturito dall’ateismo modernista e dallo sfrenato consumismo è stata aspramente criticata per essere troppo razionale senza capire che, diversamente dalla prima, “Amore e carità”, si prefigge di raggiungere il cuore e la mente degli uomini di potere. Pochi si sono accorti che col solito piglio da grande teologo del nostro tempo ripropone a tutti gli uomini di buona volontà una riflessione sulle grandi questioni su cui si fonda il benessere ed il progresso civile e morale di una società: dalla libertà, alla famiglia - quale prima cellula di perpetuazione umana –, dalla fede alla ragione, dai diritti ai doveri verso il prossimo, tutte protese a dare un senso alla nostra esistenza.La Sue considerazioni di ampio respiro ecumenico, ripresentando alle coscienze di uomini civili gli eterni valori, fanno da contraltare al relativismo valoriale che ha finito per dilagare finanche nei vertici decisionali del Pianeta.

Rileggendo alcuni passi del Suo magistero si ha la certezza che sul mondo Occidentale si aggiri un fantasma che si propone di ricacciare la Chiesa nelle catacombe e vederla ridotta al silenzio. Quel “silenzio” che nel secolo scorso vide la Russia dei soviet trucidare centinaia di migliaia di prelati e di religiosi. Nell’indifferenza collettiva, siamo arrivati finanche alle accuse di ingerenza, sferrate dai fiancheggiatori dell’islamismo radicale che di frammistione tra fede e politica sono maestri! Non molto tempo addietro, in uno dei tanti articoli apparsi su un diffusissimo sito web musulmano, l’autore invita a “denunciare” il Cardinale Biffi per aver inviato una raccomandazione al Governo intesa ad adottare maggiori controlli sugli immigrati e di far rispettare il giusto principio della reciprocità!Strategia della tensione? Macchè, è strategia adottata per intimidire e svuotare il senso del messaggio biblico. I musulmani conoscono il cristianesimo attraverso il Corano e nel Corano si profetizza la venuta di Maometto, ultimo e definitivo profeta della salvezza dell’uomo. La Bibbia non la conoscono né la riconoscono. Per i dotti islamici Gesù è la riduzione a profeta di Maometto, per tal ragione essi ritengono la loro fede superiore alla nostra. Da qui la presunta superiorità di razza, autodefinendosi i detentori della verità rivelata in cui si invera il compimento del vero monoteismo preconizzato da Abramo all’inizio dei tempi; per cui Il resto del mondo vivendo nell’errore va redento a qualunque costo. A priori essi ritengono di essere nel giusto perché si autodefiniscono i perfetti, i veri amanti di un Dio e per Esso sempre pronti all’estremo sacrificio fino al martirio e noi, gli infedeli, debosciati da combattere con ogni mezzo. Un tempo con la spada, oggi con la parola. Provate a dialogare con un imam, scoprirete che vi osserverà dall’alto al basso con quell’aria di falso vittimismo, di sufficienza, apparentemente distratta ma pronto a rimbeccarvi e a stravolgere la realtà dei fatti, molto simile a certi signori della sinistra, sicuri di possedere la verità. Ciononostante al musulmano va riconosciuto il senso della grandezza di Dio.

Noi invece, abbagliati dal frastuono dell’idiozia mediatica, stiamo cadendo in balia dei moderni satrapi. Sui temi dell’evoluzionismo, come sui temi della manipolazione genetica, i media trattano un cristianesimo a buon mercato, ideologizzandolo: per i mestatori degli intrugli ogni occasione è buona per screditare la Chiesa. Cosa nascondono questi inopinati attacchi se non una forma di cristianofobia che da molti lustri imperversa tra le pieghe del pensiero illuminista, oggi riesumato in maniera maldestra da sedicenti intellettuali che, talvolta, fortunatamente vengono smascherati?

Eppure qualcuno aveva già previsto il degrado dell’Occidente. Sono Vladimir Soloviev, e Robert Benson tra i maggiori filosofi europei del fine ‘800 i quali fin da allora predissero l’avanzata “anticristica” ovvero dei trafficanti della parola di Dio per proprio vantaggio . Soloviev, che preconizzò la futura Unione Europa, leggendo i segni del tempo, accusava le nascenti filosofie (relativistico-nietzschiane, l’evoluzionismo darwiniano e il torbido irrazionalismo romantico) di voler “rovesciare contro Cristo e il cristianesimo una valanga di accuse, perché la legge dell’amore del prossimo ostacolerebbe la naturale selezione, possibile solo senza l’ostacolo della morale cristiana che difende i deboli a danno dell’ essere superiore che vuole invece affermarsi nella pienezza della sua volontà di potenza”. In una famosa parabola, allegata a “I tre dialoghi” (edizioni Marietti, 1996), Soloviev descrive l’Anticristo non come un malfattore, ma come un convinto spiritualista che crede nel bene e perfino in Dio, un ammirevole filantropo, un pacifista impegnato e solerte che vuole abolire la guerra. Ma per raggiungere questi obiettivi bisognava ridurre la Chiesa al silenzio. Soprattutto, da eccellente dissimulatore “si dimostrerà un grande ecumenista", capace di dialogare "con parole piene di dolcezza, saggezza ed eloquenza”. Robert Benson nel 1907 in piena “Belle Epoque” in cui nulla faceva presagire il peggio, pubblicò un romanzo di straordinaria attualità perchè descrive il mondo d’oggi, con le sue realtà e le sue inquietanti ipotesi, “Lord of the World” (Il Padrone del Mondo, Jaca Book,1987).

Nel suo romanzo fantascientifico Robert Benson, parlando agli uomini del suo tempo, prevedeva eutanasia legalizzata e assistita, attentati a catena con attentatori kamikaze, il crollo dell’impero russo, la minaccia di una guerra mondiale con scontri tra America, Russia e Cina, un papa di nome Giovanni dopo cinque secoli, la crisi delle religioni e, sotto l'avanzare di una nuova religione universale stile New Age, preti che lasciano il ministero. Fatti che si susseguono sotto i nostri occhi! Che cosa infatti si chiede ai cattolici se non la riduzione del cristianesimo ad una semplice morale personale separata da ogni metafisica e da ogni teologia, capace di raggiungere l’universalità e fondare una società giusta? In sostanza entrambi gli autori avevano preconizzato l’apostasia anticristica, non attraverso una cruenta persecuzione ma con lo sviluppo di una nuova ideologia: l’umanitarismo dell’anticristo dal volto umano. Nel loro “magistero” profetico, la militanza di fede è ridotta mera filantropia, il messaggio evangelico è identificato nel confronto irenico con tutte le filosofie e con tutte le religioni e la Chiesa di Dio è scambiata per un’organizzazione di promozione sociale. Siamo sicuri ch’essi non abbiano davvero previsto ciò che effettivamente sta avvenendo e che non sia proprio questa oggi l’insidia più pericolosa per la "comunità redenta dalla croce e dal sangue di Cristo”? si domanda il Cadinale Giacomo Biffi. E’ un interrogativo inquietante che non dovrebbe essere eluso.

Francesco Pugliarello

domenica 16 dicembre 2007

Il difficile "DIALOGO" con l'islam e la tenacia di Benedetto XVI

Le ideologie del secolo scorso culminate con la shohà hanno scosso le coscienze degli europei assumendo su di sé un senso di colpa collettiva accompagnata da un diffuso affievolimento spirituale. L’arricchimento dei “signori del petrolio” e la tecnologia hanno finito per spazzare via quel residuo di valori che nel tempo si erano radicati nella coscienza delle nostre comunità, al punto da far esprimere l’Islam: avete visto? Voi siete i corrotti; noi siamo i migliori; ora dovete venire a patti con noi perché siamo noi che conserviamo il significato religioso dell’esistenza; voi siete gli infedeli e noi vi correggeremo. Rendendolo laico, questo potrebbe essere sostanzialmente il pensiero Papa Benedetto XVI, quando parlando di relativismo valoriale ci richiama al rispetto della tradizione e alla difesa della nostra identità cristiana. Lo ribadisce in ogni occasione: in particolare ricordiamo quanto affermò, nel corso dell'udienza in Vaticano ai Capi di Stato al congresso per i 50 anni dei Trattati di Roma sul tema “Valori e prospettive per l'Europa di domani'', che l’Europa sarebbe destinata ad uscire dalla storia se dimentica le sue radici cristiane. Questo forte monito deve farci riflettere proprio alla vigilia del Santo Natale. Ratzinger è un uomo di fede che vive intensamente il nostro tempo per cui, nella sua missione apostolica, riesce a coglierne intimamente i risvolti. Il Suo “manifesto pontificale” era già tracciato da tempo e reso pubblico, sia in una intervista con Peter Seewald, pubblicata per le Edizioni San Paolo: “Il sale della terra, cristianesimo e Chiesa cattolica nel XXI secolo”, sia nel convegno di Cracovia sulla “Nuova evangelizzazione” (2005).
Le Sue direttrici pastorali sono chiaramente definite: da un lato difendere il messaggio evangelico e dall’altro, cercare di proseguire l’edificazione di quel ponte di dialogo che Papa Giovanni Paolo II aveva intrapreso col mondo islamico. Un mondo diviso in mille correnti e fazioni, ideologicamente e politicamente contrapposte, in cui è impossibile individuare un referente unico. E’ appena il caso citare la corrente maggioritaria riferita all’organizzazione dei Fratelli Musulmani capeggiata da Al-Qaradawi: rappresentante “spirituale” delle masse diseredate sparse tra il miliardo e più di musulmani. Ma questo è l’islam fondamentalista, secondo Magdi Allam molto vicino al terrorismo internazionale. Nei due tracciati si inseriscono alcuni contrasti interni che provengono dalla difficile convivenza delle gerarchie ecclesiastiche in quei Paesi dove la recrudescenza islamica è più attiva. Si tratta di una sfida complessa, difficile e molto diversificata perché riferita a religioni in concorrenza tra loro che, per effetto della globalizzazione, ognuna ha la pretesa di validità sull’altra. La minaccia di una guerra fra civiltà ed il proseguimento di un’intesa senza cedimenti è irreversibile ed impellente.
Dalle Sue esternazioni più recenti, compresa le lectio di Ratisbona, e la “Spe salvi” traspaiono nettamente le differenze di visione di due civiltà perfettamente contrapposte. Sebbene da qualche parte viene criticato di non riuscire ancora a parlare al cuore dei cattolici come il Suo predecessore, Benedetto XVI, con la saldezza del teutonico, ci ripropone un Dio stimolante che si rivela all’uomo con le sue stesse debolezze in attesa di essere scoperto usando la ragione e l’amore, contrapposto alla visione musulmana di un Dio occulto ma incombente, riconosciuto solo attraverso le scritture con il quale il singolo non può e non sa dialogare perché lontano e invisibile. La loro religione ci appare ermetica, di difficile interpretazione, comprensibile solo a pochi eletti: è sì un linguaggio poetico, ma mitologico e pervasivo che impregna di sé tutta la sfera vitale della umma. Un linguaggio zeppo di contraddizioni, fermo nel tempo e “non sorprende, che per il rischio di ricatti o di minacce, alcuni commenti testuali sono pubblicati sotto degli pseudonimi” (Gorge Pell). Nonostante l’islam sia una religione viva e molto seguita, Papa Ratzinger non crede nel suo rinnovamento in funzione del fatto che la Parola che Dio ha dato a Maometto è parola eterna, mentre la nostra è diversa in quanto è Dio che si serve degli uomini per diffondere il Verbo interpretandolo e adattandolo alle mutate situazioni. Maometto o meglio "i nuovi profeti" quelli che hanno rispolverato il Corano e lo hanno riscritto a proprio uso e consumo, hanno fatto sì che venisse dichiarata l'universalità e l'immutabilità di Allah, dimenticando che se è universale, è soggetta alle leggi dell'universo, che sono state create in divenire e non statiche. Va inoltre ricordato che la rigidità lessicale coranica è quella che ha forgiato la taqiyya, la dissimulazione o del doppio linguaggio, uno per l’interno della congrega, un altro per l’esterno, col preciso scopo di poter penetrare “dolcemente” in territori altrui; questo pone la difficile ricerca di interlocutori con cui instaurare un dialogo concreto; una trappola collaudata nei secoli dalla corrente sciita.
Posto in questi termini è difficile, per non dire impossibile, intavolare un dialogo con le Istituzioni islamiche, ma Ratzinger ci prova, rischiando di persona: si presenta in casa loro (ad Istambul) con l’umiltà dell’uomo di fede.
Il Papa non demorde, usando i media come il Suo predecessore, ripresenta la Sua teologia in maniera sempre più incalzante e concreta che a molti può apparire conservatrice. Così dev’essere se si vuole spezzare quel muro di buonismo e di lassismo dilagante nel vecchio Continente e se si vuole veicolare un dialogo con quel mondo fluido, sfuggente che dice e non dice e se dice subito smentisce. Purtroppo quello islamico non è il mondo laico, razionale, dubbioso, ma macchinoso, machiavellico ancorché fantasioso che schiva e teme la verità. Chi ha vissuto tra loro, sa bene che non è un mondo del si o del no, ma del ni perché insicuro, timido al dialogo concreto, suscettibile alla critica. Il Papa sa benissimo che la prima condizione per trovare dei punti di intesa col diverso è il rafforzamento delle propria identità da svelare all’altro, anche se può disturbarlo. Perciò ridurre lo spessore della propria fede per non offendere l’altro non farebbe che confermare nell’altro la nostra insicurezza: “per i seguaci di Maometto questo significherebbe una sorta di resa, di abdicazione alla propria fede ed un implicito riconoscimento della superiorità dell’Islam” (Samir Khalil).
Se solo pensassimo alle umiliazioni ed alle torture subite durante la conquista dei popoli iberici e balcanici (avvenuta non sempre con la spada), ridotti a dhimmitudine e con quale e quanta arroganza trattano i nostri rappresentanti istituzionali, poco avremmo da consolarci sul nostro futuro. Al momento non abbiamo che da affidarci alla secolare saggezza della nostra Chiesa. Se viceversa accettassimo il principio della legge islamica secondo cui è impedito di pronunciarci sulla sharia, “allora saremo davvero sulla strada che ci condurrà verso la loro sottomissione” (Daniel Pipes): questo potrà avvenire fintanto che in Occidente continueremo a non mostrare compattezza.

Francesco Pugliarello

giovedì 13 dicembre 2007

La Toscana è in mano all'UCOII !?

C’era da spettarselo…!
La m***a covava da tempo ma non ancora era emerso in tutto il suo putrido fetore, finchè un padre ed una madre un giorno, per “ripulire” la mortificazione subìta in classe dal figlioletto da parte di un’insegnate arrogante, non la espongono in piazza.
Preferisco raccontare gli eventi di cronaca nella loro crudità lasciando a voi, amici che seguite questo blog, il giudizio su quanto in brevissimo tempo questa mefitica giunta di sinistra ha fatto precipitare nel baratro della vergogna nazionale una Regione che fu la culla della cività e del rinascimento nel mondo occidentale, in balia di una politica arrogante e superciliosa.

Antefatto: l’altro giorno come qualcuno saprà, si è tenuto al Mandela Forun forentino un Meeting dal titolo “La Libertà religiosa” al quale hanno partecipato migliaia di ragazzi, bambini ed insegnanti di tutte le scuole di ordine e grado con dibattiti diversi compresi il vescovo, il rabbino e l’imam. In quell’occasione è stato distribuita una corposa pubblicazione di oltre seimila copie (a nostre spese, 40.000 Euro) a tutti i presenti.
Giusto per capire quale aria tirava in quella manifestazione, l’assessore “al perdono e alla riconciliazione” (questa è la esatta dizione!), Massimo Toschi, sposa subito le accuse che sono piovute dalla Turchia sulla squadra dell’Inter per quella maglia con la croce rossa in campo bianco, copia della originale al tempo della fondazione della squadra 1908 (ispirata al simbolo di Milano) reputata troppo simile a quella dei tempi dei crociati.
Il predetto al cospetto di migliaia di astanti fa risuonare le seguenti frasi: “sarebbe stato meglio, in tempi come questi, evitare delle provocazioni!”.
A giustificare, camuffando contorcimenti dialettici, in quel contesto pronta la voce di Martini (presidente della regione Toscana, presente per l’occasione): “la libertà religiosa è una delle libertà fondamentali, uno dei basilari diritti dell’uomo moderno, quindi dobbiamo fare il possibile di instaurare un DIA-LO-GO per aprire una breccia in tutte le società, anche le più chiuse”.

Ma la pantomima non finisce qua.
In quella pubblicazione il sociologo dell’Università di Siena, Fabio Berti, si cimenta, tra l’altro, a dimostrare che sulla contestata vicenda della moschea di Colle Valdelsa non bisogna essere contrari ma guardare alla sua positività “…in quanto, chi è contrario è colpevole delle false rappresentazioni della realtà, di ostinazioni, di interessi, di non voler capire nel tentativo di trarre vantaggi politici”. “…il diniego alla sua costruzione è stato strumentalizzato da giornalisti e da politici per trarre un proprio tornaconto”.
Non è finita. (scusate la lunghezza)
Si legge inoltre in questo bestiario di nefandezze contro le nostre tradizioni e la nostra cultura di uomini liberi, che “l’esposizione del crocefisso nelle aule scolastiche, in nome della “neutralità” di un luogo pubblico, non andrebbe esposto”. In questo dossier per le scuole secondarie,(magari i bimbi non sapessero ancora interpretare il pensiero dell’autore), figura un eloquente messaggio iconografico: su dieci foto, quattro rappresentano donne velate, su una delle quali c’è la seguente scritta: “la libertà religiosa come diritto”.
Indovinate cari amici chi è stato invitato a parlare di libertà religiosa? l’imam di Firenze, attuale portavoce nazionale dell’UCOII, Elzir Izzedim che da grande dissimulatore ha la foia, la faccia di bronzo, di criticare alcuni Paesi islamici perché dice: “…sono lontani dal Corano, in quanto in esso si parla di libertà religiosa!”.

E’ quanto basta per scatenare l’euforia di qualche ivasata tanto che stamane 12/07/2007 appare in prima pagina su “Il Giornale” e su “La Nazione” una lettera di un genitore indignato per aver saputo che al proprio figlio, l’insegnate di disegno della scuola elementare Villani, dopo che aveva programmato per queste feste natalizie di addobbare con disegni le pareti della classe, ha impedito ad un alunno, mentre disegnava, di raffigurare il Bambin Gesù.
Alle richieste della mamma di ottenere spiegazioni per quel gesto di diniego che aveva “amareggiato” il figlioletto di 9 anni, ha risposto che
sarebbe una scemenza voler rappresentare la nascita di Gesù Cristo ed associarla al Natale perché in tal modo rischierebbe di offendere il sentimento religioso di chi non è cristiano!” (sic),(conferma ricevuta dalla stessa contattata telefonicamente).
Alla richiesta di conoscere a quale norma facesse riferimento, “l’insegnante mi ha girato le spalle e se n’è andata senza neppure salutarmi”.
Nello specifico il direttore didattico, come minimo, dovrebbe affrontare questa dipendente arrogante, censurarla per il comportamento ignobile verso una mamma e obbligarla ad una pubblica scusa. Staremo avedere.
Dal canto suo il direttore didattico, Marco Panti, (che conosco personalmente per essere stato insegnate di mio figlio), ci informa che emanerà una circolare che presepi ed altre manifestazioni natalizie nelle sue scuole sono non solo consentite, ma sollecitate “senza timore di scontentare qualcuno, anche nella regione più laicista d’Italia”.
Questa la cronaca dei fatti nudi e crudi.
Personalmente resto in attesa di una presa di posizione pubblica da parte del cardinale Antonelli da me umilmente contattato via e-mail.
So già che finirà tutto nel nulla perchè la chiesa fiorentina non è quella di Bologna: è da tempo ad essere accusata di essersi addormentata.
Lascio a voi i commenti.

mercoledì 5 dicembre 2007

La risposta del Pontefice alla lettera-appello dei 138 saggi islamici chiarisce che non ci saranno sconti con chi pratica il terrorismo

Avevano speso fiumi di inchiostro per citare versetti del Corano, dei Vangeli e della Bibbia da cui trarre il fondamento della comunanza tra i seguaci di Maometto e di Gesù sulla base dell’amore per l’unico Dio e per il prossimo che legittimerebbe la nascita di un’alleanza privilegiata tra musulmani e cristiani per realizzare la pace nel mondo, e si sono ritrovati in cambio una secca nota di Benedetto XVI che, pur apprezzando il gesto di tendere la mano e la volontà del dialogo, premette che non si possono «ignorare o sminuire le nostre differenze» e considera «l’effettivo rispetto della dignità di ogni persona umana» come la condizione per creare un rapporto costruttivo tra le due maggiori religioni mondiali.

È possibile che non saranno del tutto soddisfatte le 138 «guide religiose musulmane» che il 13 ottobre scorso avevano inviato una sterminata «Lettera aperta e appello» al Papa e altri leader religiosi cristiani, facendo leva su una dissertazione teologica e filosofica che decontestualizza il discorso religioso e dissimula la realtà, rifuggendo dal confronto diretto ed esplicito con le questioni che concretamente e oggettivamente rendono oggi l’islam e i musulmani un fattore di preoccupazione e di destabilizzazione nel mondo. Per contro la risposta del Papa, contenuta nella nota che reca la firma del segretario di Stato cardinale Tarcisio Bertone, è un’affermazione netta del primato del sodalizio indissolubile tra fede e ragione, il cardine del pensiero ratzingeriano, che si coniuga con la certezza che i valori trascendenti sul piano della spiritualità non possono non essere condivisi dall’umanità e assumere assoluti e universali sul piano della laicità. Ecco perché, come ha affermato ieri in un’intervista a l’Avvenire il cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso, il dialogo con l’islam «ora viene rilanciato su nuove basi». Evidenziando che «con l’islam che predica e pratica il terrorismo — che non è un islam autentico ma una perversione dell’islam —non è possibile alcun dialogo». Bene ha fatto quindi il Papa ad assumere un atteggiamento di cautela, dato che sussistono perplessità sulla condivisione della sacralità della vita di tanti firmatari dell’Appello, dal momento che negano il diritto all’esistenza di Israele e legittimano il terrorismo palestinese.

Ma c’è dell’altro. La risposta del Papa va letta e interpretata non solo in relazione alle 138 «guide religiose musulmane», ma anche alla sconcertante iniziativa del «Centro Fede e Cultura » dell’università di Yale di raccogliere le firme di 300 esponenti cristiani, in prevalenza accademici americani, in calce al manifesto «Amando sia Dio sia il prossimo», pubblicato sul New York Times del 18 novembre scorso. Nell’avvallare entusiasticamente la proposta di un asse mondiale tra musulmani e cristiani, si legge: «Vogliamo premettere riconoscendo che in passato (ad esempio nelle crociate) e nel presente (ad esempio negli eccessi della "guerra al terrorismo"), molti cristiani si sono macchiati di colpe contro i nostri vicini musulmani. Prima di "stringervi la mano" in risposta alla vostra lettera, noi chiediamo perdono all’unico Misericordioso e alla comunità islamica in tutto il mondo».
MAGDI ALLAM

Ebbene come non rilevare la differenza di fondo tra l’atteggiamento del Papa che, pur nell’apertura al dialogo, non fa sconti sui valori assoluti, universali e trascendenti e l’atteggiamento dei 300 cristiani che, in preda al relativismo etico, sposano la tesi dei dissimulatori islamici revisionando arbitrariamente la storia, attribuendo a Bush, non a Bin Laden, la responsabilità del terrorismo, escludendo totalmente gli ebrei e tacendo sulla negazione di Israele. Piaccia o meno ma c’è rimasto Benedetto XVI a difendere quei valori cristiani e laici che sono il fondamento della comune civiltà dell’uomo.
01.12.2007

Vedi mio commento alla lettera del 01.11.2007 in: http://francoazzurro-politicaeconomia.blogspot.com/search/label/lettera%20dei%20138%20musulmani

Appello urgente per il giovane iraniano Makwan

Iran: giovanissimo gay condannato a morte

Il gruppo Everyone chiede l'intervento immediato del Governo italiano e del Parlamento europeo, nonchè di tutta la società civile, e lancia la campagna Cuori per la vita di Makwan. "Abbiamo poche ore per salvargli la vita"

4 dicembre 2007
Makwan Moloudzadeh ha ventun anni (è nato il 31 marzo 1986) ed è stato condannato a morte per il reato di "lavat" (letteralmente, sodomia)secondo il Codice Penale iraniano, che prevede la pena capitale. Stando alla motivazione addotta dal Governo Iraniano, il giovane, all'età di 13 anni, avrebbe intrattenuto rapporti sessuali con un altro ragazzo.
Makwan, che era stato oggetto della campagna internazionale "Fiori per la vita in Iran" lanciata dal Gruppo EveryOne (ww.everyonegroup.com) – con centinaia di rose bianche e rosse inviate al presidente Ahmadinejad e la mobilitazione del mondo islamico liberale e progressista –, aveva ottenuto, il 15 novembre scorso, la sospensione della sentenza di morte dal capo del Dipartimento di Giustizia iraniano, l'Ayatollah Seyed Mahmoud Hashemi Shahrudi. Il giudice aveva definito la sentenza – emessa in prima istanza il 7 giugno scorso dalla prima camera del tribunale penale di Kermanshah, nell'Iran dell'ovest, e successivamente confermata l'1 agosto – "una violazione dei precetti islamici e delle leggi morali terrene".

Nella serata di oggi 3 dicembre la famiglia di Makwan ha contattato telefonicamente Ahmad Rafat, giornalista di AKI – ADN Kronos International e membro del Gruppo EveryOne, dando l'allarme: il caso di Makwan è stato riesaminato dall'Autorità Giudiziaria di Teheran, e ieri, domenica 2 dicembre, è arrivata la drammatica sentenza presso il carcere di Kermanshah, dove il giovane è detenuto da tempo.

"E' necessaria un'azione internazionale di protesta immediata, che coinvolga il Governo Italiano, il Parlamento Europeo e tutta la società civile. Dobbiamo far sentire in Iran le nostre voci e chiedere che Makwan viva. Makwan è innocente e la colpa per cui è stato condannato è la sua omosessualità". E'l'appello lanciato da Roberto Malini, Matteo Pegoraro e Dario Picciau, i leader del Gruppo EveryOne, che si è battuto, nei mesi scorsi, per impedire la deportazione dal Regno Unito della lesbica iraniana Pegah Emambakhsh. "Abbiamo sperato che l'Iran avesse mostrato compassione per Makwan" continuano "ma la campagna per la vita di Makwan condotta da migliaia di attivisti GLBT in tutto il mondo è rimasta inascoltata. Ci si stupisce inoltre di come qualcuno, anche sulla stampa internazionale, abbia definito 'child offender' Makwan, che era egli stesso un bambino quando amò un coetaneo."

"I familiari di Makwan sono sconvolti" afferma Ahmad Rafat di EveryOne.
"Da oggi, ogni giorno potrebbe essere l'ultimo, per Makwan, perché i giudici iraniani comunicano alla famiglia il luogo e il momento del'esecuzione solo la sera prima della stessa."

Il Gruppo EveryOne chiede a tutti di inviare cartoline, lettere ed e-mail al Ministro della Giustizia e al Presidente dell'Iran. Su ogni cartolina va disegnato un cuore e scritto "Noi amiamo Makwan. Makwan è innocente e deve vivere". Una campagna d'amore, quella rilanciata da EveryOne, perché in Iran chi ama in modo diverso – i gay e le lesbiche – è considerato un criminale e subisce le pene più terribili, fino a quella di morte.

"Abbiamo pochissimo tempo" concludono i leader di EveryOne Malini, Pegoraro e Picciau. "Agite subito, chiedete ad amici e conoscenti di inviare alle autorità iraniane quante più lettere e cartoline possibile, perché i giudici e il presidente della Repubblica Islamica devono sapere che uccidono un innocente, che ogni anno imprigionano, torturano e uccidono migliaia di innocenti."


Per il Gruppo EveryOne : Roberto Malini, Matteo Pegoraro, Dario Picciau, Ahmad Rafat, Glenys Robinson, Arsham Parsi, Christos Papaioannou, Steed Gamero, Fabio Patronelli, Laura Todisco, Alessandro Matta


Per maggiori informazioni:

Gruppo EveryOne

(+ 39) 334-8429527

http://www.everyonegroup.com/ :: info@everyonegroup.com


Ecco a chi inviare cartoline, lettere, fax ed e-mail:


Head of the Judiciary

His Excellency Ayatollah Mahmoud Hashemi Shahroudi

Ministry of Justice, Panzdah Khordad (Ark) Square, Tehran, Islamic Republic
of Iran

Email: http://webmail.radicali.it/webmail/src/compose.php?send_to=info%40dadgostary-tehran.ir

(In the subject line: FAO Ayatollah Shahroudi)

Fax: 011 98 21 3390 4986

(If the call is not answered first time, please keep trying. When it is
answered, say "fax please".)


Leader of the Islamic Republic

His Excellency Ayatollah Sayed Ali Khamenei, The Office of the Supreme
Leader Islamic Republic Shahid Keshvar Doust Street, Tehran, Islamic
Republic of Iran

Email: info@leader.ir



President His Excellency Mahmoud Ahmadinejad – The Presidency

Palestine Avenue, Azerbaijan Intersection, Tehran, Islamic Republic of Iran

Fax: 011 98 21 6 649 5880

Email: http://webmail.radicali.it/webmail/src/compose.php?send_to=dr-ahmadinejad%40president.ir

E-mail: via web: http://www.president.ir/email/



Speaker of Parliament

His Excellency Gholamali Haddad Adel Majles-e Shoura-ye Eslami

Baharestan Square, Tehran, Islamic Republic of Iran

Fax: 011 98 21 3355 6408

Email: hadadadel@majlis.ir



Presidente del Majlis-e Shoura-e Islami (Assemblea consultiva islamica):
http://webmail.radicali.it/webmail/src/compose.php?send_to=hadadadel%40majlis.ir

Embassy of Iran in UK

info@iran-embassy.org.uk



Ambassy of Iran in Turkey

Tehran Street, No.10 Davaklidere, Ankara - Turkey P.O.Box: 33

Fax +90-312 4632823

Email: http://webmail.radicali.it/webmail/src/compose.php?send_to=iranembassy%40hotmail.com e info@iran-embassy.org.uk



Ambasciata Iran in Italia

Via Nomentana, 361-363

00162 Roma (RM)

Fax. 06 86328492

martedì 4 dicembre 2007

Il primo "sessantotto": amore e femminismo

Ulteriori riflessioni e nuovi contributi

Posso solo immaginare quali sensazioni ha potuto suscitare nella gente veder sfilare migliaia di donne e qualche uomo nella tanto discussa manifestazione di Roma contro la violenza alle donne. Credo che in alcuni ha evocato squarci di vita vissuta di un’epoca che, per ragioni anagrafiche, quei giovani partecipanti non conoscono direttamente ma noto sotto i termini di “contestazione sessantottina”. Per me, che nell’autunno del fatidico 1968 ero studente-lavoratore, la sensazione immediata è stata la lunga occupazione dell’Ateneo che mi costrinse a ritardare di un anno la discussione della tesi. Ma il tempo ha sanato i fatti sgradevoli lasciando riaffiorare i momenti più gratificanti.

Ricordo che nell’atrio dell’ateneo era stato portato un vecchio ciclostile attorno al quale gruppi di colleghi, rigorosamente in eskimo e scarponcini, a turno, preparavano “l’arma segreta dell’agitazione” stampando migliaia di volantini che successivamente servirono a redigere le famose “tesi” da distribuire in piazza, poi riportate in parte nei famosi “Quaderni Piacentini”. Questo compito meramente esecutivo, ma gratificante, venne affidato alle donne: le eroine del ’68 che coralmente chiamammo “gli angeli del ciclostile”. Ai piani superiori si tenevano assemblee fiume in cui si parlava dell’universo mondo: passi ripresi a memoria da alcuni testi della scuola di Francoforte e dell’idolo del momento, Herbert Marcuse, “l’uomo a una dimensione”, in cui si metteva sotto accusa la società… mai letti integralmente. Ricordo tanto esercizio di retorica e di enfasi in quelle frasi sconnesse, espresse con veemenza, talvolta con rabbia, infarcite da migliaia di "cioè" che incitavano alla violenza, alla prevaricazione, alla conquista del mondo, della femmina, della strada, della libertà. Un puro e semplice antagonismo contro le strutture sociali dei decenni precedenti che, secondo molti osservatori, si serviva delle rielaborazioni di vecchie ideologie ottocentesche, perciò prive di nuove proposte politiche. Ciononostante è stato un periodo esaltante per chiunque, anche per chi non l’ha vissuto dall’interno quel movimento, tanto da marcare profondamente la storia politica e sociale successiva.

Di seguito la testimonianza di una “vecchia” compagna, Rossella: “Abbiamo sognato e la forza del sogno ci è rimasta dentro, anche ora che siamo svegli. Abbiamo avuto il coraggio di abbandonare la strada vecchia senza sapere minimamente come costruire la nuova, ma ci abbiamo provato ed ancora non ci siamo rassegnate”. “…abbiamo vissuto la primavera del cuore ed abbiamo sfidato il mondo a viso aperto. Ho scoperto, avendo un figlio di 20 anni, quanto è difficile raccontare il 68 a chi non lo ha vissuto”. “I fatti sono poca cosa in confronto ai sentimenti, le emozioni, l'esaltazione e la paura, la grinta e l'istinto di sopravvivenza. Noi donne dovevamo combattere su più fronti, spesso al fianco e contro i nostri stessi compagni”. “Ogni giorno, andando in facoltà, avevi la consapevolezza che potevi non tornare a casa, potevi passare la notte in galera o in un ospedale. Eppure ti armavi di coraggio e andavi a combattere la tua guerra, sapendo di essere nell'ombelico del mondo e che stavi scrivendo una pagina della storia, non solo italiana, ma universale. Sapevi di far parte di un girotondo planetario e le tue mani si univano aquelle di tutti i ragazzi del mondo. Come si fa a spiegare tutto questo ai nostri figli?”

Successivamente, nel 1976, in memoria di quei giorni, Marco Lombardo Radice e Lidia Ravera, due giovani intellettuali di sinistra, pubblicano per la Savelli un libro provocatorio a sfondo sessuo-politico dal titolo “Porci con le ali”: una sorta di diario a quattro mani di due adolescenti che si incontrano, si amano, poi si lasciano per ritrovarsi in una delle tante manifestazioni “di sangue” negli anni settanta, divenuto immediatamente un caso letterario e cinematografico, apprezzato dai giovani dell'epoca e salutato con entusiasmo dai critici. Oggi l’autrice giudica il suo romanzo “una prova dei nervi e dell'equilibrio, del tasso di autostima, della modestia e dell'ambizione”, sensazioni di onnipotenza e di debolezza che sorreggevano noi giovani di quell’epoca. Alcuni sostengono che questo è un libro che abbatte i miti: “in primis, quello del maschio forte a tutti i costi, che non potrebbe star male per una donna che lo rifiuta, ma anche quello del femminismo esasperato, che in realtà genera egocentrismo e soprattutto solitudine”. Probabilmente è quanto è successo nella manifestazione di quel sabato di novembre a Roma in cui convivevano istinto e sentimenti nobili, gli stessi che provammo noi genitori in quel lontano millenovecentosessantotto. Taluni vedono quel periodo come un tragico imbroglio, tal’altri la vera liberazione dallo schiavismo politico e sociale, io lo vedo come il momento più esaltante della nostra esistenza che nel tempo è degenerato in vecchi rottami che si riparano sotto la lugubre ombra dell’integralismo islamico: estremo, sanguinario rifugio di tutte le ideologie dell’odio e della massificazione.

A quel tempo mi interessava solo crescere e in fretta, studiare, scoprire la mia identità, trovare il mio equilibrio nel rapporto con chi dell’altro sesso volesse condividere l’angoscia adolescenziale. Il primo interesse degli “arringatori di turno” era farsi notare dalle ragazze per fare “movimento”. Fuori, sotto le finestre dell’università le mattine seguenti, si potevano rinvenire decine di preservativi, simboli delle notti d’amore trascorse dai compagni asserragliati all’interno dell’ateneo. Inizialmente per molti di noi era questo il miglior diletto e lo scopo del movimento, dove, “fare movimento”, almeno a Napoli, si intende fare all’amore. Un’orgia di sesso e di idee in cui il maschio e la femmina denudavano la loro anima al cospetto dell’altro/a, non solo per la ricerca del piacere ma principalmente per conoscersi, per scoprire che in fondo cercavamo la stessa cosa: liberarci dal giogo che la famiglia e la società ci avevano cucito addosso. In quel tripudio giovanile scoprimmo che la donna era allo stesso tempo Angelo e Demonio e l’equilibrio poteva ritrovarsi unicamente nell’armonia dei contrasti. Oggi però i termini equilibrio e “identità” sono parole che a molti non piacciono, soprattutto a coloro che di quel periodo hanno assorbito la mentalità del pensiero debole, secondo cui “non bisogna parlare né di identità dell’io o del soggetto umano, né di identità italiana, né di identità europea o di identità occidentale, né di identità cristiana, né di qualsivoglia identità”.

Di quelle gratificanti esperienze sono rimaste le ambizioni di certe femministe che, appiattite su istanze antagoniste hanno ridotto la figura femminile a mero oggetto di seduzione. Al rapporto impostato sul consenso in quel movimento studentesco, è subentrato quello fondato sulla violenza e sulla prevaricazione: più o meno quanto in certi momenti abbiamo rivissuto in quel pomeriggio di sabato 24 novembre. Una manifestazione femminista, bella, pacifica, gioiosa ed anche commovente, che certi post-sessantottini, oggi al potere, nel tentativo di oscurare la rinascita di un movimento più maturo e con la complicità dei giornali e della TV hanno tentato cinicamente di "mettere il cappello" su una tematica che nel tempo avevano fatto incancrenire, avallando un’immagine distorta della realtà femminile. Quel gesto, tipico di certe culture minoritarie estreme, ha rivelato tutto il bagaglio autoritario che, come afferma Lidia Ravera, già serpeggiava nel coacervo di emozioni viscerali dei giovani del 68, poi incarnato in un femminismo sfrenato che intende riaffermare l’emarginazione sessista e la differenza di genere.

Francesco Pugliarello

domenica 2 dicembre 2007

Il mio, il nostro '68: la ricerca dell'identità con gli angeli del cosclostile

Riflessioni sulla manifestazione femminista di Roma 24 novembre 2007

La tanto discussa manifestazione delle donne a Roma contro la violenza su di loro, credo abbia evocato in alcuni osservatori squarci di vita vissuta di un’epoca particolare che, per ragioni anagrafiche, la nuova generazione non conosce direttamente e che va sotto il nome di contestazione sessantottina Nell’autunno del fatidico 1968 ero studente-lavoratore all’Università, quella che veniva accusata di essere “uno strumento di classe”. La mia, come tante facoltà, restò occupata a lungo costringendomi a ritardare di un anno la discussione della tesi. Ricordo che nell’atrio dell’ateneo era stato portato un vecchio ciclostile attorno al quale gruppi di colleghi, rigorosamente in eskimo e scarponcini, a turno, preparavano “l’arma segreta dell’agitazione” stampando migliaia di volantini che successivamente servirono a redigere le famose “tesi”, poi riportate in parte nei famosi “Quaderni Piacentini”. Questo compito meramente esecutivo, ma gratificante, venne affidato alle donne: le eroine del ’68 che coralmente chiamammo “gli angeli del ciclostile”. Ai piani superiori si tenevano assemblee fiume in cui si parlava dell’universo mondo: passi "rimasticati" da alcuni testi della scuola di Francoforte e dell’idolo del momento, Herbert Marcuse, “L’uomo a una dimensione”, in cui si metteva sotto accusa la società. Mai letti integralmente.

Ricordo frasi fumose, retoriche, totalizzanti, espresse con veemenza, talvolta con rabbia, infarcite da migliaia di "cioè" che incitavano alla violenza, alla prevaricazione, alla conquista del mondo, della femmina, della strada, della libertà. Un puro e semplice antagonismo radicale contro tutte le strutture sociali elaborate nei decenni precedenti che, secondo molti osservatori, si serviva delle rielaborazioni delle vecchie ideologie ottocentesche, perciò prive di nuove proposte politiche. Tutti riconoscono però essere stato un periodo fantastico, un vorticoso movimento di energia vitale e di grande creatività.

Alcuni anni dopo (nel 1976), in ricordo di quei giorni Marco Lombardo Radice e Lidia Ravera, due giovani intellettuali di sinistra, pubblicano per la Savelli un libro provocatorio a sfondo sessuo-politico dal titolo “Porci con le ali”: una sorta di diario scritto a quattro mani da due adolescenti, che si incontrano, si amano, poi si lasciano per ritrovarsi in una delle tante manifestazioni "di sangue" degli anni settanta, divenuto immediatamente un vero e proprio caso letterario, apprezzato”in modo quasi plebiscitario dai giovani dell'epoca” e salutato con entusiasmo dai critici da cui venne tratto anche in film. Oggi l’autrice giudica il suo romanzo “una prova dei nervi e dell'equilibrio, del tasso di autostima, della modestia e dell'ambizione”,sensazioni di onnipotenza e di debolezza che sorreggevano tutti i giovani di quell’epoca. Alcuni sostengono che questo è un libro che abbatte i miti: “in primis, quello del maschio forte a tutti i costi, che non potrebbe star male per una donna che lo rifiuta, ma anche quello del femminismo esasperato, che in realtà genera egocentrismo e soprattutto solitudine”. Probabilmente è quanto è successo nella manifestazione di quel sabato di novembre a Roma in cui germinavano inconsciamente istinto e sentimenti nobili, gli stessi che provavamo noi padri in quel non troppo lontano 1968. Taluni vedono quel periodo come un tragico imbroglio, tal’altri la vera liberazione dallo schiavismo politico e sociale, io preferisco vederlo come il momento più esaltante della nostra esistenza che nel tempo è degenerato in vecchi rottami che si riparano sotto la lugubre ombra dell’integralismo islamico: estremo, sanguinario rifugio di tutte le ideologie dell’odio e della massificazione.

A quel tempo mi interessava solo crescere e in fretta, studiare, scoprire la mia identità, trovare il mio equilibrio nel rapporto con chi dell’altro sesso volesse condividere l’angoscia esistenziale del vivere quotidiano. Il primo interesse degli “arringatori di turno” era farsi notare dalle ragazze per fare “movimento”. Fuori, sotto le finestre dell’università le mattine seguenti, si potevano rinvenire decine di preservativi, simboli delle notti d’amore trascorse dai compagni asserragliati all’interno dell’ateneo. Inizialmente per molti di noi era questo il miglior diletto e lo scopo del movimento, dove, “fare movimento”, almeno a Napoli, si intende fare all’amore. Un’orgia di sesso e di idee in cui il maschio e la femmina denudavamo la loro anima al cospetto dell’altro/a, non solo per la ricerca del piacere ma principalmente per conoscerci, per misurarci con l'altro da sè, ma che in fondo cercavamo la stessa cosa: liberarci dal giogo che la famiglia e la società ci avevano cucito addosso. In quel tripudio giovanile scoprimmo che la donna era allo stesso tempo Angelo e Demonio e che l’equilibrio doveva essere ricercato nell’armonia dei contrasti. Oggi però i termini equilibrio e identità sono parole che a molti non piace, soprattutto a coloro che di quel periodo hanno assorbito la mentalità del pensiero debole, secondo cui “non bisogna parlare né di identità dell’io o del soggetto umano, né di identità italiana, né di identità europea o di identità occidentale, né di identità cristiana, né di qualsivoglia identità”.

Fu proprio durante queste occupazioni che vennero inventate le tecniche di organizzazione collettiva e i modi di azione politica che avrebbero fatto scuola e che abbiamo rivissuto sabato 24 novembre in quella manifestazione femminista, bella, pacifica, gioiosa ed anche commovente, ma che i vecchi sessantottini, oggi al potere, con la connivenza dei giornali e della TV hanno cinicamente tentato di "mettere il cappello" su una tematica che nel tempo avevano fatto incancrenire oscurando la rinascita di un movimento oramai più maturo. Questo tentativo è l’espressione di un “politico” che ancora non ha trovato la sua vera dimensione nel servizio e nella mediazione delle istanze popolari. Allora si sosteneva che “il privato è politico”, ma era l’entusiasmo della prima volta, dello "stato nascente”. Con quel gesto la “politica”, quella del Palazzo, ha rivelato tutto il suo armamentario ideologico, autoritario, incapace di cogliere l’essenza delle rivendicazioni, di entrare in sintonia col popolo; un “politico” avulso dalla realtà, teso a controllare con il suo potere tutti gli spazi anche quelli privati che è tipico di certe culture minoritarie, estreme filiazioni degeneri degli anni successivi a quel mitico ‘68, che vorrebbero restaurare l’emarginazione sessista e la differenza di genere.

Francesco Pugliarello