lunedì 5 novembre 2007

Il Leviatano necessario

di Raffaele Iannuzzi - 3 novembre 2007 (da: ragionpolitica.it)

Un cittadino romeno, intervistato, ha candidamente confessato che lui e i suoi connazionali vengono in Italia perché sanno che da noi non andranno mai in galera. Quando si dice che ciò che conta è la chiarezza delle idee. Idee chiare e distinte. E' il clima di assoluta impunità che sta corrodendo lentamente ma sistematicamente la percezione della sicurezza dei cittadini. E di percezione si vive o si muore. Soprattutto oggi. I romeni sono, da questo punto di vista, i più fini antropologi, hanno infatti colto il clima generale di debolezza e di insicurezza ed è per loro davvero dolce naufragar in questo mare, affogando l'Italia in un mare di delitti. Impuniti. Spesso impuniti. Il tragico caso della signora Giovanna Reggiani è l'esemplare e barbaro esito di una catena di indifferenze e di ipocrisie istituzionali.

Veltroni chiede oggi espulsioni quando, da cinque anni, ha tollerato, ad uso politico interno, le baraccopoli vicine ai centri abitati. Ha tollerato l'intollerabile e oggi richiama l'attenzione polemica di Rifondazione che, con fare delirante, dà del razzista a chi pone la questione sicurezza, questione di evidente natura popolare, riguardante soprattutto le periferie tanto amate dai comunisti quando votano i loro candidati. A suo tempo, Francesco Giro, il coordinatore regionale di Forza Italia del Lazio, aveva filmato dalle finestre della sua abitazione a Trastevere il teppismo e il vandalismo dominanti nella ex capitale più sicura d'Europa. Eravamo in agosto, quando l'Italia, crisi o non crisi, emigra là dove tutto tace, che sia la memoria di vite vissute e spese per qualcosa o semplicemente luoghi balneari, soprattutto low cost. Dunque silenzio o poca attenzione.

Oggi, con il cadavere di Giovanna Reggiani di fronte agli occhi, il governo muta linea o, meglio, compie il dovere d'ufficio che avrebbe dovuto compiere a tempo debito. E' ormai universalmente nota la disposizione europea che prevede l'espulsione anche dei cittadini comunitari qualora siano delinquenti o non abbiano mezzi di sussistenza dignitosi. Per il Corriere della Sera, la signora Reggiani è «la donna», cinico epiteto che mostra imbarazzo, il solito imbarazzo dei piccolo-borghesi che affollano le centrali dei poteri bancari. Per costoro, la sicurezza è questione popolare, populistico-demagogica, di partigianeria rozza e becera, roba da taverne, non da eleganti e angelicati sushi bar. Questa è l'Italia che si appresta a proclamare defunto il governo Prodi dopo averlo sostenuto a spada tratta. Questa è l'Italia che apostrofa come razzisti migliaia di operai e cittadini che desiderano soltanto vivere tranquillamente e poter passeggiare per le strade delle loro città senza doversi sempre guardare le spalle. Altrimenti, si finisce per comprare la pistola e si fa la scelta estrema di organizzare le ronde.

La destra deve, su questo punto, essere radicalmente alternativa alla sinistra a diventare partigiana della sicurezza, con un tasso di tolleranza zero adeguato alla reale situazione. Amato, in un'intervista pubblicata questa settimana sull'Espresso, paradossalmente e - dopo il tragico assassinio di Giovanna Reggiani, evidentemente non prevedibile - quasi grottescamente dedicata al «pacchetto sicurezza», afferma che la tolleranza zero è un linguaggio che non gli appartiene. Non ne dubito. D'altra parte, non gli è appartenuta neppure l'idea di un decente «pacchetto sicurezza»; se poi pensiamo che cita Tariq Ramadan in materia di laicità dello Stato, siamo pronti a metterci la mano sul fuoco che una certa cultura non gli appartenga. Ma è questo il punto nodale. La cultura, cioè la capacità di vedere la realtà per quel che è, approntando le misure concrete adeguate a risolvere i problemi dei cittadini. Ritornare alla realtà equivale a dichiarare, sine ira ac studio, che i romeni sono un problema per il nostro Paese e che delinquono più degli altri gruppi di immigrati, perfino più degli albanesi. Certo, delinquono di più perché sono di più, 556.000 per l'esattezza, ma non è allora forse il caso di dire che sono troppi, spesso irregolari e potenzialmente criminali? Lo dicono i fatti, non l'ideologia di questo o quello. Contra factum non valet argumentum. Per noi, ma non per i pragmatici riformisti anglosassoni che abbiamo al governo, i progressisti del nuovo Pd.

Ma, a ben guardare, non dovrebbe forse essere questo il tanto sbandierato pragmatismo dei sedicenti «riformisti»? Un sano e costante ritorno alla realtà, senza troppi peli sulla lingua? Evidentemente no, anche perché l'ultima ideologia è non avere ideologie e, senza di esse, spesso neppure criteri di valutazione dello stato oggettivo delle cose. La neutralità non esiste, ma la partigianeria, così cara anche a Gramsci, padre putativo di tutti loro, dopo la creazione del pantheon veltroniano, può funzionare. Basterebbe avere qualche idea di società in testa. Chissà, forse Ferrara potrà spiegarci meglio la sintassi politica esoterica di questa nuova «follia» italiana, il Pd. Lungi dall'essere questa una sterile e inopportuna polemica politica, qui è in ballo ben altro, la sostanza del governo delle cose. Infatti, per ora, la classe dirigente della sinistra neo-dem è l'apoteosi dell'indifferenza o della reazione tardiva, a cadavere sbranato dalla violenza omicida.

Il loro problema è che sono anche «progressisti». I «progressisti», si sa, sono quelli che preferiscono che un romeno non venga incarcerato pur di salvaguardare il protocollo del «pacchetto sicurezza», dopodiché ammantano questo spirito cosiddetto garantista con razionalizzazioni giuridiche, del tipo: è lo Stato di diritto, bellezza. Amato fa sempre così. Ma non soltanto Amato. Temo che una certa subcultura cattolica, assai devota all'idolatria post-conciliare, abbia pensieri non molto dissimili. E temo anche che questa subcultura post-conciliare alligni anche tra qualche vetusta gloria dell'attuale centrodestra. E che siffatta presenza cattolica post-conciliare chiuda la bocca, con eccessi di zelo degni di miglior causa, a molti esponenti del centrodestra, rei di essere partigiani della sicurezza. Già, perché i partigiani della sicurezza sono troppo di destra. Il Leviatano va bene ma fino a un certo punto, dopo scatta la reazione pavloviana anti-fascista, anti-manganello e filo-aspersorio, quindi la devozione alla Caritas ed alla Comunità di Sant'Egidio, infine al vescovo di riferimento della propria diocesi, che ancora serve a qualcosa quando si va a votare.

Non mi illudo: se non passa la cultura weberiana, almeno weberiana, dello Stato detentore del monopolio legittimo della forza e dunque legittimato a prendere i criminali, a farli processare dai giudici, a sbatterli in galera, la destra sarà sempre culturalmente minoritaria. E non mi riferisco allo scavalcamento da sinistra da parte di Cofferati e Domenici, questa è politica da transatlantico. Anche qui è in ballo roba grossa, di sostanza. E', questo, un problema di cultura nel senso lato del termine, la cultura essendo anche una remora fin troppo appiccicaticcia quando si tratta di agire per il bene comune, tanto sbandierato anche in area non cattolica. Il bene comune oggi ha un nome specifico, essenziale, determinante: sicurezza. Con la sicurezza, la democrazia diventa un luogo di consapevolezza dei diritti e dei doveri, uno spazio comunitario vivibile, dunque non soggetto a devastanti e permanenti critiche. Tutte le critiche alle democrazie occidentali sono dettate dal deficit di sicurezza. Giuliani, a New York, l'ha compreso, come ha compreso che le democrazie, nella globalizzazione, abitano soprattutto nelle città. Grandi e piccole. Comunque nelle città. Genova è diventata una città simbolo della mancata sicurezza e dell'aggressione eversiva. Una città, un luogo antropologico, fisico, sociale e simbolico. Questa è la realtà postmoderna, che subisce aggressioni eversive-criminali e comunemente criminali. Ma sempre di violenza illegittima si tratta.

L'unico a detenere il monopolio legittimo della forza fisica è lo Stato. Il Leviatano. Il Leviatano necessario. Sarà anche sgradevole scriverlo, ma è la verità: in Svizzera, Blocher ha vinto perché ha capito che il problema numero uno è la sicurezza. E all'Italia conviene che vinca la destra, avendo una sinistra così minoritaria quando si auto-proclama riformista e rozzamente ideologica quando si fregia dell'aggettivo qualificativo passepartout «radicale». La realtà sta indicando però l'ennesima tragedia dell'indifferenza dei «progressisti» e dei «cittadini perbene», quelli di cui parlava Beppe Viola in un'altra Italia, ignara ancora del lassismo a prova di Stato di diritto.

Raffaele Iannuzzi
iannuzzi@ragionpolitica.it

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