martedì 31 maggio 2011

Elezioni a Napoli e a Milano: Berlusconi al tramonto?

In prospettiva, con il senno di poi, possiamo dire che il centrodestra a Napoli e a Milano la sconfitta elettorale se l’è cercata?
Le recenti consultazioni di Napoli testimoniano di un ambiente sociale tipico di una comunità radicata nei sentimenti più che nella ragione. E’ l’immagine di quella che Benedetto VI chiama “società liquida” che si riproduce in mutevolezza e inconsistenza. In queste elezioni amministrative, al di là dei proclami di ambo le parti, si è trattato di scegliere tra un modello di una città viva e produttiva e una città "liquida", patria di una cultura sempre più sbiadita e che evidenzia sempre più quella del relativismo e dell’effimero. E’ stata scelta quest’ultima, anche se è presto per definire il futuro di quest’antica capitale del Mezzogiorno d’Italia.

Il popolo (o meglio il popolino) napoletano, ricco di tradizioni liriche e principalmente romanzesche, provenienti da una cultura variegata, caratterizzata da una grande capacità di penetrare nelle cose, si è perfettamente sposato con quella sinistra la cui politica assume la forma di racconto (vendoliano) e di spettacolo (dipietrista) connotati anch’essi da una venatura nostalgica. Forse è la ragione per cui la comunità partenopea oggi ritrova la sua identità di amore viscerale e amore sentimentale in quella sinistra complicata e pensosa, incapace di fare sintesi. Ma la storia di questa città ci dice che con gli elementi tragicomici alla Masaniello (anche quelli socialmente evoluti) sono innamoramenti che finiscono presto. A fronte di un grosso problema comunicativo del centrodestra, in questa campagna elettorale de Magistris e Pisapia tutto sono sembrati fuori che degli estremisti; anche se le loro storie e i programmi stanno a testimoniare di un’identità culturale poco occidentale e tanto meno italiana.

Qualche commentatore di rango ha forzatamente paragonato Piazza del Municipio e Piazza del Duomo a piazza Tahrir, simbolo del desiderio di libertà da un regime oppressivo e taglieggiatore (specie nei confronti dei giovani disoccupati). Il paragone non può reggere, giacchè il dato nazionale è marginale rispetto a quello che le sinistre chiamano regime, sinceramente improntato alla ricerca della libertà dall’egemonia culturale di una sinistra cattocomunista impersonata da Bassolino e Iervolino. In questo quadro controverso e per certi versi drammatico per il centrodestra, e tutt’altro che catartico per la componente di centrosinistra, il pdl ha toppato sulle candidature… A Milano, reiterando una signora ormai cotta imparentata con i maggiori petrolieri italiani; a Napoli con un imprenditore all’ombra di un Cosentino imparentato con i maggiori boss camorristi di Casal di Principe. Come non avesse di meglio per distrarre l’elettorato da questi “scheletri” e da alcune promesse mancate, il pdl si è cimentato nel diffamare l’avversario piuttosto che notificare le poche cose buone fatte nella passata amministrazione.

Francesco Pugliarello

sabato 16 aprile 2011

L'ipocrisia della governabilità

Penso non si possa non condividere quest’articolo di Andrea B.Nardi (giornalista, scrittore e osservatore di politica estera) che sottopongo all’attenzione dei lettori.

Dal 1945 a oggi in Italia abbiamo avuto 62 governi in 65 anni. La media di governo/anno è di 0.98. La durata media del governo italiano è di 340 giorni. Il dato più assurdo, però, è il seguente: governi in carica per l’intera legislatura: zero. NON C'È MAI STATO UN GOVERNO ITALIANO CHE SIA DURATO PER L'INTERA LEGISLATURA, iindipendentemente dalla legge elettorale in vigore.
Possibile che nessuno si renda conto di come ci sia qualcosa di palesemente malfunzionante in tutto ciò, della stortura evidente presente nel nostro sistema costituzionale?
Il presidente statunitense ha ricevuto il proprio mandato da un'elezione popolare, e governa in onore di questa, esattamente come il nostro. Tuttavia – ne abbiamo un esempio evidente oggi –, la sua elezione non ha nulla a che fare con quella del Congresso, infatti quest'ultima avviene a metà del mandato del presidente e può far risultare una maggioranza tutt'affatto diversa. Eppure il presidente non rinuncia al suo mandato governativo, non compare nessuna crisi di governo, non si deve cercare un altro Governo, e il Paese continua a essere governato.

In Italia, di contro, è solo la maggioranza parlamentare a conferire dignità d'esistenza all'esecutivo, il quale ne è l'espressione grazie alle elezioni nazionali. Qualora questa maggioranza parlamentare cambiasse – cosa che capita continuamente nel nostro Paese – il Governo è destinato a perderne la fiducia e a dimettersi. Siccome questa situazione non è l'eccezione, come credevano i padri costituzionalisti, bensì la regola italiana, il Paese vive in costante crisi di governo, e, cosa assai più grave, l'esecutivo invece di governare la nazione è costretto a sprecare tutto il suo tempo nelle manovre intestine per non perdere la propria maggioranza parlamentare. I nostri politici, dunque, vivono non per governare ma per cercare le proprie alleanze elettorali.
Allora il problema è questo: bisogna svincolare il Governo dalla maggioranza parlamentare, interrompendo il meccanismo della fiducia.
I metodi possono essere due:

1) O si stabilisce che i parlamentari italiani eletti in un partito non possono dimettersi da quel partito pena la propria personale fuoriuscita dal Parlamento e decadimento della carica, in onore al mandato ricevuto dagli elettori;
2) Oppure si separano i due poteri istituzionali del Governo e del Parlamento con elezioni separate e non direttamente e reciprocamente vincolanti.
Nel primo caso si tratterebbe di rendere finalmente attiva la responsabilità personale dell'eletto che deve rispondere ai propri elettori, pertanto se una volta eletto cambia partito deve dimettersi e far subentrare al suo posto il secondo della propria lista, senza quindi modificare la composizione parlamentare.
Nel secondo caso si avvierebbe invece una procedura di controllo indipendente dei due organi istituzionali.
In entrambi i casi si interromperebbe l'assurda e ridicola sceneggiata delle elezioni italiane, per cui qualsiasi governo eletto verrà comunque sfiduciato dall'ambiguità dei nostri parlamentari, dediti solo al proprio interesse, al trasformismo, alla ricerca di nuovi partiti per usufruire di cariche e finanziamenti a livello nazionale e locale.
Se non si esce da questa ipocrisia, ogni gaudio per qualsiasi vittoria elettorale è assolutamente privo di valore: il prossimo governo cadrà comunque a breve.

Andrea B. Nardi
da: Il Borghese del Nord, genn/febbr 2011

martedì 29 marzo 2011

Libia/ Sarkozy e compagni fanno i furbi...

...non solo, anche egoisti.

Se osserviamo i giornali francesi scopriremo quanto è esasperatamente sciovinista quel Paese. Intanto l’Eliseo dovrà spiegarci perché non consente ai suoi ex connazionali di rientrare in patria. La Libia, come noto, è stata per un certo tempo colonia francese. Ovviamente ha le sue buone ragioni, ma come noi potrebbe collaborare a indagare sulle motivazioni di questo desiderio di ingresso. Oggi in Francia vivono ben 600.000 libici, (gran parte con doppia nazionalità) da far essere la nazione col più altro tasso di magrebini e libici tra i Paesi dell'U.E.
In questo momento centinaia di cittadini libici (profughi o clandestini) sono respinti senza troppi complimenti dalla "gendarmerie" di frontiera di Ventimiglia desiderosi di ricongiungersi con parenti e amici nella “patria” dei loro nonni.

Ci manca solo che la Francia si comporti come la Spagna a Ceuta e a Melilla (fucilarli). Sarkozy, per la sua bella faccia “elettorale” non solo se n'è fregato dell'ONU quando l'altro giorno ha attaccato precipitosamente la Libia, oggi, al carro dei lepeniani e della perfida Albione, mostra i muscoli per dimostrare ai suoi concittadini che lui l'oriundo - immigrato ungherese -, quello dell’ex impero coloniale del nord Africa, è il vero francese... Ma gli arabi non sono stupidi, ricordano il trattamento che Sarko sta loro riservando, difatti la dichiarazione del leader del Cnt libico(Consiglio Nazionale di Transizione), Mustafà Abdel Jalil, è quanto mai eloquente: “…rappresenterà il totale fallimento delle reali intenzioni del governo Francese”.

E noi italiani che facciamo? Mentre la Francia fa rispettare ciecamente il trattato di Shengen, noi ci trastulliamo sul come dove e quando sistemare questi disgraziati. Noi che abbiamo sofferto la migrazione ci facciamo troppi scrupoli con chi, approfittando degli egoismi nazionalistici scappa dal proprio Paese: nè in Eritrea, nè in Somalia, nè in Tunisia c'è guerra o pena di morte! E' vero bisogna scoprire la loro provenienza, concordare il riassorbimento con lo stato di provenienza di ciascuno di essi, o accoglierli come rifugiati ecc. Ci vuole tempo, ma nel intanto nessuno dei 27 ci da una mano. Questa è la federazione Europea? Staremo a vedere cosa decideranno i “quaranta ladroni” prima che noi ci sveglieremo esasperati e rigetteremo questa bulra che si chiama Unione Europea...!
Francesco Pugliarello

lunedì 28 marzo 2011

La "guerra" a Gheddafi è un'operazione francese

Pur propendendo per l’analisi di Piero La Porta, mi convince di più quella di Carlo Pelanda per i seguenti motivi:

1°) Perché dietro la regìa di tutta la disinformazione sul conflitto c’è al Jazeera, interessata a creare caos per coprire la Fratellanza musulmana, guidata da al Qaradawi (questo anziano signore una volata la settimana tiene i suoi sermoni in questo network internazionale contro l’Occidente e ugualmente contro Gheddafi, notoriamente schierato contro i Fratelli Musulmani);

2°) Perché il disegno francese ha una storia di lunga preparazione, più volte citata dalla nostra Oriana Fallaci e che si riferisce all’approvvigionamento energetico (il petrolio libico è il migliore che esiste sulla piazza). Riprendo pari pari quanto ebbi ad affermare su l’Occidentale in data 9 giugno 2008, “Sull’immigrazione il Governo è sulla strada giusta”:

”E’ pur vero che buona parte del sovrapprezzo del greggio dipende dai Paesi energivori come la Cina e l’India ed anche dalla prospettiva dell'esaurimento dell'energia estrattiva, tuttavia ci sfugge che la radice di questo bubbone affonda nelle politiche miopi e lassiste del trentennio trascorso. …il Governo certamente non avrà dimenticato che siamo caduti in un tranello, studiato a tavolino, dal cartello dei Paesi produttori di petrolio, che prende le mosse al tempo della costituzione dello Stato di Israele e si radica nella grande crisi energetica dell’inverno 1973. E' come se l'Occidente, incapace di perseguire degli interessi comuni, avesse abdicato al potere del cuore e della ragione con la controversa “questione islamica".

Il retroscena del ricatto subito da parte dei paesi produttori di petrolio, ce lo ricorda Bat Ye'or (Giselle Littman), nel suo “Eurabia” - come l'Europa è diventata anticristica, antioccidentale, antiamericana, antisemita - testo che ha ispirato la nostra Oriana Fallaci. Questa signora egiziana, di nazionalità inglese, ha utilizzato il termine Eurabia da un preciso progetto politico promosso dalla omonima rivista fondata a Parigi nel 1975 a seguito della guerra del Kippur. L'ideatore del “Piano Eurabia” è Lucien Bitterlin, noto militante “pro-arabe”, presidente dell'Associazione per la solidarietà franco-araba, esecutore e finanziatore del Comitato Europeo di Coordinamento delle Associazioni per l'amicizia con il Mondo Arabo, un’organizzazione forse ancora attiva presso l’attuale Unione Europea.
“Mentre infuriava l’aggressione araba impegnata ad estendere il nazionalsocialismo nasseriano sulla neo-democrazia israeliana, i rappresentanti dell'OPEC riuniti a Kuwait City, per punire l’Occidente per la sua politica filo-israeliana, che moralmente stava sostenendo lo Stato ebraico, decidono di utilizzare il petrolio come arma di pressione. Imposero l'embargo riducendo le forniture al lumicino quadruplicandone il prezzo fino a provocare una crisi energetica senza precedenti. In tal modo accelerarono il progetto integrazionista parigino: un ricatto inaudito in cui, per la prima volta, un paese vincitore soccombe alla coercizione dei vinti. Ad un mese da quell'intollerabile gesto, Georges Pompidou e Willy Brandt ritennero che fosse necessario ed utile promuovere una solida amicizia con quei Paesi, proponendo “petrolio in cambio di braccia da lavoro” (leggi immigrazione musulmana): una ghiotta occasione per estendere il califfato sul territorio europeo. A quest'incontro ne seguirono altri con i rappresentanti della Lega Araba a Copenhagen, a Bonn, a Parigi, a Damasco, a Rabat: tutte manovre tese a sancire la “svendita” dell'Europa al Cartello musulmano ed ampiamente documentate nella rivista Eurabia.

Secondo la Bat Ye'or: “Il fine era quello di creare una identità culturale mediterranea pan-euroaraba che permettesse la libera circolazione di persone e merci e determinasse in modo pesante le politiche migratorie nella Comunità Europea”. Sennonché il risultato della politica dell’UE degli ultimi decenni,
il cui progetto originario era “l’idea di garantire la pace in Europa, è stato invece rimpiazzato dall’altro progetto di ispirazione francese di unire l’Europa ed il mondo arabo in un unico blocco economico, politico, culturale e strategico contro Israele e gli USA” [atti del convegno 14 giugno 2007 presso la Biblioteca del Senato della Repubblica promosso da Marcello Pera]. Non a caso il cartello dei Paesi del Golfo stanno ammassando nei nostri forzieri bancari buona parte degli ingenti profitti petroliferi per poi apprestarsi ad acquistare pezzi di banche e di industrie al miglior prezzo, dopo aver strozzato la nostra economia”. Dunque l’America e la G.B. c’entrano relativamente… ma non possiamo affermare che Sarkozy sia il terzo incomodo avendo al momento anche degli interessi elettorali
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Francesco Pugliarello

Il down, un mondo ancora poco esplorato

Dov’è la sua diversità?

Accade in molte cliniche, specialmente d’oltralpe, che se vieni diagnosticato down tu non hai diritto a nascere. Se ti concedono di venire alla luce potrebbero impedirti di entrare nei parchi giochi, perché potrebbe farti del male salire sulla giostra: accade a Gardaland. Se frequenti la scuola, vieni affidato a un insegnate di sostegno che, per compiacere qualche collega zelante, ti isola dal resto della classe: accade in molti plessi scolastici del nostro territorio. Tu alunno down non hai diritto di partecipare a gite di istruzione con finalità didattiche, questo succede in una scuola media di Catanzaro. Se ti fanno nascere devi vivere in un villaggio fuori dei centri abitati per non disturbare i cittadini: questo accade in Russia. Mentre in qualche ambiente musulmano il down è “venerato e rispettato come un dono di Allah”, qualche volta usato anche come shahid, in Occidente è visto come un personaggio scomodo o addirittura soppresso perché improduttivo, come accade in certe popolazioni delle Ande peruviane (1). Tutto a causa di un pregiudizio riferito ai tratti somatici che, nell’ignoranza generale, a lungo ti ha considerato una sottospecie umana.

Come te, tu genitore, sei una persona scomoda, perché sei la pietra di paragone delle loro ‘certezze’: ti osservano e ti considerano uno da compatire, o addirittura da mettere da parte perché, “…chiusi nella sicurezza dell’essere normale, sono ciechi di fronte alla precarietà della vita, hanno paura di immergersi, la guardano in uno specchio che gli seleziona le immagini in modo da non esserne turbati”. È la denuncia che un giorno lanciò Giulia Basano nei confronti della società quando adottò un disabile (2) E’ una situazione imbarazzante che devi affrontare creandoti un nuovo orizzonte sociale, magari più ristretto, più concreto, comunque diverso dal comune sentire. Ennio Flaiano invocava il miracolo per riuscire ad amare la sua Luisa, malata di encefalite subito dopo la nascita; Emmanuel Mounier considerava la nascita della figlia Francesca, un dono inviato dal Cielo; qualche altro si rinchiude in se stesso fino a rovinarsi l’esistenza, o addirittura scappa via, abbandona il tetto coniugale.

E’ evidente che ignoriamo i passi da gigante che hanno fatto questi ragazzi negli ultimi decenni. Filosofi di fama internazionale che si atteggiano a eugenisti come l’animalista Peter Singer, spacciando la mansuetudine e la tolleranza di questi ragazzi con supposte incapacità e sofferenza a vivere suggeriscono di sopprimerli prima di nascere. Ignorano che Fabio ed altri compagni come lui lavorano, sono resistenti alla fatica, praticano sport e amano realmente. Ignorano o fingono di ignorare che alcuni di essi praticano anche attività agonistiche. La 39enne Daniela di Treviso fa l’aiuto istruttore di ballo latino-americano. Il 27enne Mauro di Cagliari è campione nazionale di pattinaggio. Axel di Prato, appena diciassettenne è campione italiano di nuoto nella sua categoria. Giovanni di Chieti canta in un perfetto inglese e si cimenta in balli di gruppo riscuotendo successi nei cabaret locali. Che dire della trentacinquenne umbra, Cristina Acquistapace, ordinata suora da Monsignor Maggiolini che ora affianca le missionarie in Kenia? “La sindrome di Down – spiega suor Cristina – per me non è stata né una benedizione né una maledizione, ma il modo per capire che sono portata per certe cose piuttosto che per altre, e sono pronta ad affrontare gli impegni che ho assunto”. E’ il grido di maturazione di questi ragazzi cresciuti all’ombra di internet, di televisione e di genitori responsabili: essi vogliono vivere come tutti, senza subire infingimenti.

Un’indagine del CENSIS dell’ottobre scorso dichiarava che nella quasi totalità degli italiani (il 94,3%) le persone disabili suscitano sentimenti positivi come la solidarietà e l’ammirazione per la loro tenacia e determinazione di rendersi utili. Mentre è legittimo che il 54,6 per cento prova paura per l’eventualità di potersi trovare un giorno a dover sperimentare la disabilità nella propria famiglia. Non trovo però plausibile che per il 23,3% del campione la disabilità intellettiva susciti “paura”, da far subire in queste persone discriminazione e solitudine. Non tutti sanno che se ben accettati, al loro fianco puoi far fronte ad ogni evenienza. Saranno loro a darti la forza di reagire alle avversità. È comunque un evento che ti afferra per i capelli e ti proietta in un mondo nuovo. In un mondo violento, i down sono la nuova risorsa: sono le nostre cartine di tornasole con cui puoi misurare lo spessore umano di chi ti avvicina. Nella stessa indagine si sottolinea la convinzione generalizzata (il 58% degli intervistati) che il down abbia ancora un’aspettativa di vita limitata, al massimo 40 anni, mentre in realtà oggi è cresciuta superando i 60 anni.

La verità è che nella nostra cultura essere sani, belli, tonici, senza grassi né cellulite sono segni di affermazione sociale, e non ci si rende conto che tutto questo può essere utile ad uno specchio, non a una società sempre più povera di verità e di calore umano: sentimenti troppe volte confusi con il culto del forte e dell’intelligente in cui il ‘diverso’, in certi contesti è condannato all’isolamento sociale. Siamo stati abituati a considerare i down persone non normali, in quanto partiamo dal presupposto che ciò che noi intendiamo essere normalità sia il metro di valutazione universale. Una convinzione che costringerebbe questi ragazzi ad essere e rimanere come sono percepiti nel nostro immaginario, aspettandoci che facciano cose da down. Poiché essi hanno aspetto, comportamenti e atteggiamenti diversi da chi vive un’esistenza ‘normale’, li incaselliamo e adottiamo nei loro confronti stupide convenzioni comportamentali che non li aiuta a crescere, ma soprattutto, non aiuta noi.

Se invece cominciassimo a pensare che poi non è tanto diverso dai cosiddetti normodotati, che ha problemi esistenziali come chiunque, e il grado di ritardo mentale non sempre dipende dal tipo di trisomia quanto dall’ambiente, dal clima familiare, dalle sue attività e dunque dalla qualità della sua vita, forse impareremo a conoscere meglio noi stessi. Egli è una persona che esige rispetto perché, per natura, rispetta chiunque, specie se in difficoltà come lui e, contrariamente agli stereotipi che gli abbiamo cucito addosso, è capace e cosciente. Cominciamo anche a sfatare il luogo comune secondo cui egli sia una persona felice perché mostra disinvoltura e allegria. Non sempre è così. Quando diventa adulto, si pone domande come chiunque; riflette sul suo futuro ma non sa progettarlo perché è per natura tributario di chi gli sta accanto e tale potrebbe restare con le sue ansie: non riesce a decifrarle e se è in grado, per non tubarci le camuffa. Egli saprà soltanto accettare o rifiutare quanto gli si propone, sta a noi capirlo, tenendo presente che in questa figura si condensa la fragilità e la resistenza dell’essere umano. Diventa pertanto nostro dovere sentire l’obbligo morale di ricambiare l’affetto che egli ci offre senza la pretesa di un tornaconto, perché ha bisogno di noi e non riuscirà mai a serbare rancore, nemmeno se riceverà delle contrarietà. In questo, forse solo in questo, è diverso da noi.


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(1) F. Pugliarello, “ Lo specchio nascosto dentro di noi” (testimonianze di viaggi) Centro Editoriale Toscano, Firenze 2009, pp. 33-36.

(2) G. Basano, “Nicola, un’adozione coraggiosa”, Rosemberg & Sellier, Torino 1999, p. 28

venerdì 4 marzo 2011

Difendiamo i bambini down

da http://www.ragionpolitica.it/cms/index.php/201103034049/attualita/in-difesa-dei-bambini-down.html di giovedi 03 marzo 2011


Mentre siamo sommersi da notizie di rivolte e di massacri provenienti dal versante Sud del Mediterraneo, al parlamento francese, in occasione della revisione della legge sulla bioetica, tra il silenzio e l'indifferenza dei media si sta consumando l'ennesimo tentativo di soppressione di feti innocenti, affetti da sindrome di Down. Di questo fatto ce ne informa il ginecologo Carlo Bellieni, secondo cui è stato bocciato un emendamento tendente a informare e sostenere la donna sul futuro del suo bambino diagnosticato con sindrome di Down. Proprio quando necessita di maggiore conforto, la donna viene abbandonata a sé stessa, anzi le viene suggerito l'aborto terapeutico giustificato da una fantomatica sofferenza del figlio.

La questione dei bambini in situazione di handicap da eliminare prima della nascita affonda le radici nella notte dei tempi. Nei confronti del Down è più evidente, giacché alcuni lievi tratti somatici, nell'ignoranza generale, per secoli hanno tradito un'origine equivoca. Se si vuole, l'idea della discriminazione dei meno dotati e dei «malformati» potremmo farla risalire alla temperie dell'antica Grecia, in cui il senso della vita si condensava nell'invito epicureo al «godi il presente senza curarti del domani». Buona parte della cultura di allora, come per certi versi quella attuale, era improntata alla ricerca della felicità nel godere dell'attimo fuggente. Aristotele, sulle orme del grande maestro (Platone), nel libro VII della Politica, giustificando i pregiudizi schiavistici e misogini, tipici della cultura precristiana, al riguardo suggeriva che l'organizzazione della società avrebbe dovuto rispettare la natura umana che impone la superiorità del più forte sul più debole, sì da predisporre «una legge che proibisca alle famiglie di allevare figli malformati».

Questa etica selettiva prosperò a lungo, radicandosi, a fasi alterne, nei cicli storici successivi. In seguito, come noto, sul presupposto dell'edificazione di una razza «pura» furono elaborate folli teorie, presunte superiorità genetiche e di selezione, generando la persecuzione dei meno dotati, dei meno produttivi, o comunque di chi avesse presentato un comportamento ritenuto deviante. La scoperta del Dna e la successiva manipolazione del genoma (è più facile individuare un embrione con difetto genetico come la trisomia 21), tra il silenzio e l'indifferenza generale, hanno fatto il resto, inducendo un'ansia esistenziale nelle famiglie di queste persone. Ricordiamo solo due personaggi di grande levatura morale e culturale come Arthur Miller e Albert Einstein, che vivranno nell'ossessione del senso di colpa per aver abbandonato in Istituti i propri figli disabili. Il film Figlia del silenzio, tratto dall'omonimo romanzo di Kim Edwards e riferito a un fatto accaduto in Inghilterra negli anni Sessanta, è la sintesi di quest'ansia.

Il primo tentativo di fermare questo scempio disumano si è avuto con la scoperta della causa della sindrome di Down da parte francese Jerome Lèjeune, che la individuò in un'anomalia del ventunesimo cromosoma. La figlia Clara ci riferisce che il padre definì «l'aborto praticato su bambini così socievoli, così allegri, così fanciulleschi, uno dei crimini più abominevoli», si batté come un leone perché finisse questa discriminazione e, prevedendo il facile riconoscimento in vitro, sperò che un giorno, come per la spina bifida, si potesse curare in utero. Purtroppo lo sfortunato luminare assisterà impotente allo snaturamento della sua scoperta. Difatti, negli anni Settanta, proprio in Francia una proposta di legge apre il dibattito sull'«eliminazione di neonati imperfetti». In quell'occasione l'illustre genetista, dopo essere stato applaudito dai grandi della Terra, candidato al premio Nobel, nominato esperto di genetica umana nell'Oms e successivamente primo presidente dell'Accademia Pontificia per la Vita, fu oscurato dai media di tutto il mondo e negletto da gran parte dei suoi stessi colleghi per essersi opposto tenacemente al progetto di legge sull'aborto.

Eppure il Down di oggi potrebbe rappresentare lo specchio della nostra coscienza. I nati dopo gli anni Sessanta possono ritenersi ragazzi fortunati, giacché per una sempre più larga parte dell'opinione pubblica rappresentano un valore. La ragione di quest'apprezzamento sta nel fatto che il livello di conoscenza sulle loro potenzialità è cresciuto in modo esponenziale proprio grazie a quelle associazioni di famiglie di disabili e di esperti alle quali i radical-chic francesi vogliono impedire l'accesso alle cliniche ginecologiche. I Down non sono come una certa cultura e certi accademici vorrebbero dipingerli, lasciando intuire che essi farebbero parte di una sottospecie umana «sofferente, priva di raziocinio e di autocoscienza, incapace di comunicare e di produrre». Dal punto di vista della qualità della vita, possiamo affermare che utilizzando le proprie capacità (o abilità) i Down sono in grado di raggiungere obiettivi paragonabili a quelli di tutte le altre persone.

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