domenica 16 dicembre 2007

Il difficile "DIALOGO" con l'islam e la tenacia di Benedetto XVI

Le ideologie del secolo scorso culminate con la shohà hanno scosso le coscienze degli europei assumendo su di sé un senso di colpa collettiva accompagnata da un diffuso affievolimento spirituale. L’arricchimento dei “signori del petrolio” e la tecnologia hanno finito per spazzare via quel residuo di valori che nel tempo si erano radicati nella coscienza delle nostre comunità, al punto da far esprimere l’Islam: avete visto? Voi siete i corrotti; noi siamo i migliori; ora dovete venire a patti con noi perché siamo noi che conserviamo il significato religioso dell’esistenza; voi siete gli infedeli e noi vi correggeremo. Rendendolo laico, questo potrebbe essere sostanzialmente il pensiero Papa Benedetto XVI, quando parlando di relativismo valoriale ci richiama al rispetto della tradizione e alla difesa della nostra identità cristiana. Lo ribadisce in ogni occasione: in particolare ricordiamo quanto affermò, nel corso dell'udienza in Vaticano ai Capi di Stato al congresso per i 50 anni dei Trattati di Roma sul tema “Valori e prospettive per l'Europa di domani'', che l’Europa sarebbe destinata ad uscire dalla storia se dimentica le sue radici cristiane. Questo forte monito deve farci riflettere proprio alla vigilia del Santo Natale. Ratzinger è un uomo di fede che vive intensamente il nostro tempo per cui, nella sua missione apostolica, riesce a coglierne intimamente i risvolti. Il Suo “manifesto pontificale” era già tracciato da tempo e reso pubblico, sia in una intervista con Peter Seewald, pubblicata per le Edizioni San Paolo: “Il sale della terra, cristianesimo e Chiesa cattolica nel XXI secolo”, sia nel convegno di Cracovia sulla “Nuova evangelizzazione” (2005).
Le Sue direttrici pastorali sono chiaramente definite: da un lato difendere il messaggio evangelico e dall’altro, cercare di proseguire l’edificazione di quel ponte di dialogo che Papa Giovanni Paolo II aveva intrapreso col mondo islamico. Un mondo diviso in mille correnti e fazioni, ideologicamente e politicamente contrapposte, in cui è impossibile individuare un referente unico. E’ appena il caso citare la corrente maggioritaria riferita all’organizzazione dei Fratelli Musulmani capeggiata da Al-Qaradawi: rappresentante “spirituale” delle masse diseredate sparse tra il miliardo e più di musulmani. Ma questo è l’islam fondamentalista, secondo Magdi Allam molto vicino al terrorismo internazionale. Nei due tracciati si inseriscono alcuni contrasti interni che provengono dalla difficile convivenza delle gerarchie ecclesiastiche in quei Paesi dove la recrudescenza islamica è più attiva. Si tratta di una sfida complessa, difficile e molto diversificata perché riferita a religioni in concorrenza tra loro che, per effetto della globalizzazione, ognuna ha la pretesa di validità sull’altra. La minaccia di una guerra fra civiltà ed il proseguimento di un’intesa senza cedimenti è irreversibile ed impellente.
Dalle Sue esternazioni più recenti, compresa le lectio di Ratisbona, e la “Spe salvi” traspaiono nettamente le differenze di visione di due civiltà perfettamente contrapposte. Sebbene da qualche parte viene criticato di non riuscire ancora a parlare al cuore dei cattolici come il Suo predecessore, Benedetto XVI, con la saldezza del teutonico, ci ripropone un Dio stimolante che si rivela all’uomo con le sue stesse debolezze in attesa di essere scoperto usando la ragione e l’amore, contrapposto alla visione musulmana di un Dio occulto ma incombente, riconosciuto solo attraverso le scritture con il quale il singolo non può e non sa dialogare perché lontano e invisibile. La loro religione ci appare ermetica, di difficile interpretazione, comprensibile solo a pochi eletti: è sì un linguaggio poetico, ma mitologico e pervasivo che impregna di sé tutta la sfera vitale della umma. Un linguaggio zeppo di contraddizioni, fermo nel tempo e “non sorprende, che per il rischio di ricatti o di minacce, alcuni commenti testuali sono pubblicati sotto degli pseudonimi” (Gorge Pell). Nonostante l’islam sia una religione viva e molto seguita, Papa Ratzinger non crede nel suo rinnovamento in funzione del fatto che la Parola che Dio ha dato a Maometto è parola eterna, mentre la nostra è diversa in quanto è Dio che si serve degli uomini per diffondere il Verbo interpretandolo e adattandolo alle mutate situazioni. Maometto o meglio "i nuovi profeti" quelli che hanno rispolverato il Corano e lo hanno riscritto a proprio uso e consumo, hanno fatto sì che venisse dichiarata l'universalità e l'immutabilità di Allah, dimenticando che se è universale, è soggetta alle leggi dell'universo, che sono state create in divenire e non statiche. Va inoltre ricordato che la rigidità lessicale coranica è quella che ha forgiato la taqiyya, la dissimulazione o del doppio linguaggio, uno per l’interno della congrega, un altro per l’esterno, col preciso scopo di poter penetrare “dolcemente” in territori altrui; questo pone la difficile ricerca di interlocutori con cui instaurare un dialogo concreto; una trappola collaudata nei secoli dalla corrente sciita.
Posto in questi termini è difficile, per non dire impossibile, intavolare un dialogo con le Istituzioni islamiche, ma Ratzinger ci prova, rischiando di persona: si presenta in casa loro (ad Istambul) con l’umiltà dell’uomo di fede.
Il Papa non demorde, usando i media come il Suo predecessore, ripresenta la Sua teologia in maniera sempre più incalzante e concreta che a molti può apparire conservatrice. Così dev’essere se si vuole spezzare quel muro di buonismo e di lassismo dilagante nel vecchio Continente e se si vuole veicolare un dialogo con quel mondo fluido, sfuggente che dice e non dice e se dice subito smentisce. Purtroppo quello islamico non è il mondo laico, razionale, dubbioso, ma macchinoso, machiavellico ancorché fantasioso che schiva e teme la verità. Chi ha vissuto tra loro, sa bene che non è un mondo del si o del no, ma del ni perché insicuro, timido al dialogo concreto, suscettibile alla critica. Il Papa sa benissimo che la prima condizione per trovare dei punti di intesa col diverso è il rafforzamento delle propria identità da svelare all’altro, anche se può disturbarlo. Perciò ridurre lo spessore della propria fede per non offendere l’altro non farebbe che confermare nell’altro la nostra insicurezza: “per i seguaci di Maometto questo significherebbe una sorta di resa, di abdicazione alla propria fede ed un implicito riconoscimento della superiorità dell’Islam” (Samir Khalil).
Se solo pensassimo alle umiliazioni ed alle torture subite durante la conquista dei popoli iberici e balcanici (avvenuta non sempre con la spada), ridotti a dhimmitudine e con quale e quanta arroganza trattano i nostri rappresentanti istituzionali, poco avremmo da consolarci sul nostro futuro. Al momento non abbiamo che da affidarci alla secolare saggezza della nostra Chiesa. Se viceversa accettassimo il principio della legge islamica secondo cui è impedito di pronunciarci sulla sharia, “allora saremo davvero sulla strada che ci condurrà verso la loro sottomissione” (Daniel Pipes): questo potrà avvenire fintanto che in Occidente continueremo a non mostrare compattezza.

Francesco Pugliarello

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