mercoledì 28 novembre 2007

NUOVO CONVEGNO SULLA MOSCHEA A BOLOGNA

Pubblicato il 27/11/07 alle 20:34:37 GMT da LISISTRATA.COM
Saranno presenti Bossi e Maroni.

MOSCHEA? NO GRAZIE ! – Siete tutti invitati: A Bologna il 30.11.07 si terrà un convegno, articolato in due fasi ben distinte, per ribadire il no dei cittadini alla nuova moschea che sindaco e giunta pretendono di imporre alla cittadinanza, nonostante le chiare e legittime motivazioni del dissenso. La manifestazione è stata promossa dalla LEGA ANTIDIFFAMAZIONE CRISTIANA, presso il Savoia Hotel Regency - Via Del Pilastro, 2 - 40127 Bologna – ITALIA, con il seguente programma. Qui le indicazioni per vedere il luogo preciso del convegno http://www.mbetravel.com/bologna-hotels/hotel/savoia_hotel_regency/map.php
PROGRAMMA 17.00 Inizio presentazione della giornata e degli ospiti presenti, a cura di Adriana Bolchini Gaigher nonché dei messaggi inviati dagli ospiti non presenti gemellati con il progetto di difesa dei valori occidentali, dall’Inghilterra, dalla Germania e dall’italia. 17.10 - il primo intervento Adriana Bolchini – presidente nazionale O.D.D.I.I. – dir. resp.le Lisistrata, che trasmetterà. alcuni spezzoni del film documentario "Il mercante di Pietre" che il regista e produttore Renzo Martinelli ha dato facoltà di presentare al posto suo che si associa virtualmente alla manifestazione. una serie di filmati brevi e fotografie che mostrano l’islam integralista nel mondo e le problematiche che crea in ogni paese in cui si insedia la legge coraniCa della shariah
17.40 – I Responsabili C.V.F. Centre Vigilant Freedom in Europa – Gran Bretagna – che interverranno con un filmato e spiegheranno come è nato il gruppo e cosa si propone, nonché le legittime preoccupazioni sull’avanzata islamista in Europa e la regressione delle tradizioni occidentali a favore di quelle islamiche, cosa che complica la vita dei cittadini autoctoni. 18.10 - Avv. Antonia Parisotto - responsabile ufficio legale O.D.D.I.I. che interverrà sulle prospettive e possibilità legali di fermare la costruzione di nuove moschee anche in relazione al fatto che i progetti hanno come “padrini” i rappresentanti di associazioni integraliste come l’Ucoii. 18.30 - Mohammed Ahmed – giornalista italo-egiziano, conduttore di La9 La8 di Padova che rilascerà una breve relazione sulle sue esperienze da testimone e giornalista islamico liberale e moderato. 18.40 - Vito Punzi – giornalista redattore di Tempi esprimerà la sua posizione e le sue testimoniante.
19.00/19.40 - Enzo Ballaman - Ospite speciale che trasmetterà il film "submission" e parlerà dell’integralismo islamico come dell’assassinio del regista Vincent van Gogh, che lo ha realizzato. Ore 20 Breve pausa ore
20,30 inizia l’incontro fra i due leader della Lega Nord Umberto Bossi e Roberto Maroni, che spiegheranno le motivazioni politiche e quale strategia desiderano adottare. Presenti anche gli ospiti-relatori che sono intervenuti nel pomeriggio dei lavori, per testimoniare, se fosse necessario quanto sia doveroso pretendere il rispetto delle nostre leggi e della nostra costituzione, nonché una reciprocità con la “casa madre” dell’islam wahabita che ha sede a La Mecca in Arabia Saudita, ove ogni libertà di culto è proibita e perseguitata.
Ore 22 – Cena conviviale per la quale è obbligatoria la prenotazione, (costo € 35,00) al numero +39 347/.05.04.244

martedì 27 novembre 2007

La marcia delle "centomila": squarci di esperienza sessantottina! (?)

Ero all’università, dopo aver solcato gli oceani per qualche anno, lavorando e studiando. La mia, come tante facoltà, restò occupata a lungo (credo tre mesi) costringendomi a tardare di un anno la discussione della tesi.

Ricordo che nell’atrio dell’ateneo era stato portato un vecchio ciclostile e gruppi di colleghi, rigorosamente in eskimo, a turno, predisponevano ciclostili che ciascuno preparava alle macchine da scrivere prelevate dalla segreteria. Assemblee fiume in cui si parlava dell’universo mondo: frasi ripetute a memoria tratte dai testi dell’idolo del momento, Herbert Marcuse, “l’uomo a una dimensione”. Mai letti. A quel tempo mi interessava solo studiare e scoprire la mia dimensione attraverso l’altro di me: ragazze che, come me, volevano liberarsi dalla cappa asfissiante della famiglia, che, tutto sommato, gravava anche su noi maschi. Il maggiore interesse degli “oratori” era proprio questo, farsi notare dalle ragazze per fare “movimento”. Era il tempo della Lidia Ravera che scrisse “Porci con le ali” (chi lo ricorda?).

Fuori, sotto le finestre dell’università il mattino seguente, si potevano rinvenire decine di preservativi della notte trascorsa dai compagni asserragliati nell’ateneo. Forse era questo per noi giovani il miglior diletto e lo scopo del movimento, dove, per “fare movimento”, almeno a Napoli, si intendeva … fare all’amore. Un’orgia di sesso e di idee in cui maschio-femmina si confidavano denudando la loro anima al cospetto dell’altro/a, non solo per la ricerca del piacere ma principalmente per conoscersi, per scoprire che in fondo eravamo uguali. Ma nell’intimo non tutti eravamo uguali, ma simili, come non tutte erano uguali in quella controversa manifestazione del 24 a Roma.Ricordo tante frasi ridondanti e intercalate da migliaia di “CIOE‘“che incitavano alla violenza, alla prevaricazione, alla conquista del mondo, della femmina, della strada, della libertà…

Questo stile venne successivamente ripreso nei corsi abilitanti del 1975. Chi lo ricorda? Corsi abilitanti all’insegnamento (della durata di un anno) in cui si contestava i docenti per ottenere, come poi avvenne in molte sedi, l’autogestione.Quel periodo mi fu utile per capire dal di dentro la donna e me stesso con tutti gli umori buoni e cattivi che ci ribollono dentro. Ma ancor più, socialmente parlando, con chi avremmo avuto a che fare in futuro: minoranze esaltate che avrebbero diffuso in ogni ganglio dell’esistenza odio e invidia. E che purtroppo nessun colletivo fino ad ora ha avuto il coraggio di condannare pubblicamente!

Oggi tutto è politicizzato. Allora si diceva “…il privato è politico”, ma era l’entusiasmo della prima volta, del “politico” nascente…/ Il politico attuale è sclerotizzato, decadente, marcio, brutale, con mille distinguo e mille reticenze, del profitto, del consumismo, altrettanto asfissiante come è diventata per molte donne, ed anche per certi uomini, la vita relegata in famiglia…

Francesco Pugliarello

lunedì 26 novembre 2007

Se queste sono... le"salvatrici" delle donne!

Col senno di poi, molti commentatori sulla manifestazione di Roma contro la violenza alle donne affermano che se lo aspettavano perchè le organizzatrici erano pilotate da una parte politica; io invece, da inveterato ottimista, sono rimasto deluso: pensavo che il tempo le avesse rese un pò più sagge.
Purtroppo devo riconoscere che la storia si ripete - a suon della grancassa sessantottina -. E’ bastato un manipolo di masochiste esasperate, tronfie di odio, per rovinare tutto, come una noce bacata che in un sacco rovina le noci buone.
Sono queste le donne che dovrebbero tutelare l'incolumità delle altre donne?
Hanno miseramente fallito. Dopo aver espulso altre donne e giornalisti a loro non graditi, sol perchè rappresentavano altri partiti politici o altre opinioni ma convinti non violenti, hanno provato a giustificarsi : “Non volevamo essere strumentalizzate..." . Oh schiave della vostra boria, con la vostra sicumera avete bruciato una grande opportunità; vi siete fatte giocare da certi signori che sputano veleno attraverso il pimbo dei loro articoli intrisi di odio sociale!

L’idea della manifestazione è stata nostra” afferma con arroganza una delle organizzatrici del collettivo di via dei Volsci (e subito dopo, ecco il solito minestrone ideologico trito e ritrito): “non vogliamo cappelli politici...", e non vogliamo uomini, abbiamo fatto una scelta sessista e separatista perché in questo modo si capisca che il problema in Italia è di tipo culturale e serve a scardinare una società di tipo patriarcale…”. Bella l’idea, ma suicida la prassi.
Queste frasi spifferate all'opinione pubblica, sicuramente odiose e pesanti come macigni, mi hanno evocato un momento di intimità della mia govinezza, quando in terra d’Africa una somala mi sussurrava, magari scherzando: “Tu, uomo, mio schiavo…”
Chissà cosa ne pensa il resto delle signore e delle ragazze che, ignare del raggiro politico di quattro scalmanate hanno aderito a quella abbuffata di masochismo!?

Francesco Pugliarello

sabato 24 novembre 2007

Sostegno alla manifestazione a favore delle donne

Finalmente qualcosa si muove a favore della difesa del mondo femminile.
La mia adesione alla manifestazione del 24 novembre a Roma a sostegno della non discriminazione delle donne è piena ed incondizionata perchè, come intelligentemente afferma la Souad Sbai, "...a prescindere dagli organizzatori" il problema della presenza femminile, in un mondo globalizzato che soffre di squilibri, può assumere un grande valore di temperanza che andrebbe rivisitato dalle origini.

Da un punto di vista escatologico, si assume la donna nel senso di nuova Eva, madre di tutti i viventi. L’essenza di Maria è la "Ma-donna", quel ruolo che l’islam vorrebbe oscurare anche da noi e relegare ad essere inferiore. Un ruolo che nella storia del mondo è stato sempre al centro di continue attenzioni ed anche di numerose interpretazioni.

Difatti, storicamante, nelle culture orientali, quelle persiane e assiro-babilonesi in particolare, sono le uniche ad inserila a pieno titolo nella società. Va ricordato infine che per la prima volta è la Bibbia ad affiancarla all’uomo per poi essere riscattata, nella sua equiparazione completa dal cristianesimo.
Ma col tempo, l’oscurantismo barbarico prima e la successiva Inquisizione, ne hanno peggiorato la sua condizione: cose che la Chiesa moderna ha definitivamente condannato, ma che ancora resiste in una certa visione di matrice vetero-libertaria.

Ricordiamo a certi "intellettuali nazi-islamici" che è in Occidente che la presenza attiva della donna nel mondo viene definitivamente ratificata nelle dichiarazioni dei Diritti Umani.
Per queste semplici ragioni, concordo sulla necessità di censurare senza-se e-senza-ma certe frange radicali (purtroppo ancora presenti nel nostro Paese) che vorrebbero ricacciare la nostra civiltà nel tunnel dei “secoli bui”, saldandosi con lo spirito misogino impresso in certe mentalità arabo-islamiche.
Sono certo che queste problematiche emergeranno nell'incontro-dibattito al Centro Averroè il 27 c.m.

Francesco Pugliarello

venerdì 23 novembre 2007

La rossa Toscana non si smentisce

C'è poco da fare, il "buonismo" della rossa toscana non si smentisce neanche davanti all'evidenza dei fatti: chissene frega di quello che succede fuori delle nostre mura? pare in sostanza essere il filo conduttore della pubblicazione "L'immigrazione in Toscana nel 2007" realizzata dalle prefetture della Regione che ieri ed oggi viene presentato nel corso di un convegno a palazzo Medici Riccardi alla presenza del sottosegretario all'Interno Marcella Lucidi.
Un libro ricerca-propositivo che traccia la filosofia toscana del MULTICULTURALISMO presente e futuro in questa Regione.
Diviso in 4 capitoli tratta di: a) istruzione di minori e b)adulti stranieri (ma non legge da chi verranno istruiti...; c) come agevolare l'occupazione e in quali settori (noncurante dei cittadini locali in cerca di prima occupazione); d) dell'assistenza medica e ospedaliera anche per chi è sfornito di permesso di soggiorno. Tra l'altro si legge nel dossier che attualmente la Toscana ha il più alto tasso di matrimoni con un coniuge straniero (21,8%). Questo può dire poco, ma tra le pieghe si evince che nel campo religioso è data la totale libertà di professare una qualunque fede, senza alcun limite, ovunque e dovunque, perchè questo lo dice la Costituzione così come ribadito nella "Carta dei valori".
Alla fine si capisce che la Toscana vorrebbe rappresentare la Regione pilota di un nuovo sistema multiculturalista che, pel tramite del presidente dell'ANCI (Leonardo Domenici, sindaco di Firenze) e del Ministro per i rapporti col Parlamento (Vannino Chiti, anch'egli fiorentino doc), dovrebbero replicare nel nostro Paese.

In sostanza la Toscana si appresta ad essere un bacino di accoglienza di "persone vittime di violenze nei propri Paesi d'origine"; e chi ce lo dice che non siano delinquenti comuni sfuggiti alle maglie della loro ferrea giustizia? Un laboratorio di rieducazione mondiale scaricato sulla scuola e sulla sanità che farà crescere vertiginosamente i costi collettivi, già abbondantemente al di sopra della media nazionale! Ingenuità? Buonismo politico o cieca fiducia nelle nostre istituzioni, (principalmente nella forze dell'ordine e della giustizia)?
La Toscana 1^ al mondo ad aver abolito la pena di morte (1786), ora vuol contendere anche il primato della multiculturalità dove altrove è miseramente fallita!

Francesco Pugliarello

lunedì 19 novembre 2007

BERLUSCONI: la riscossa del vero statista

Dopo 13 anni di rospi ingoiati da parte delle Procure e da alcuni alleati della sua coalizione, Berlusconi torna sulla scena politica più determinato che mai. In soli tre giorni ha sbaragliato i giochi del teatrino della politica e messo a tappeto tutti gli avversari anche della sua coalizione: altro che pugile suonato per la sconfitta in Senato sulla finanziaria!

La sua mossa fulminea ricorda il duo francese De Gaulle-Sarkozy, quando, il primo, a seguito del maggio parigino (del ‘68) in cui Mitterand, coagulando su di sé l’onda rivoluzionaria del maggio francese si apprestava a cavalcare in unico fronte le lotte studentesche della sinistra antagonista, impose un referendum partecipativo dei salariati, mentre il secondo, giovane studente appoggiava questa proposta che però fallì per un pugno di voti e che portò alle preannunciate dimissioni dello stesso presidente De Gaulle. Ora il Berlusca, forte dei 7 milioni di firme raccolte in piazza, torna prepotentemente sulla scena politica da vero statista in sintonia con la sua gente, , proponendo lo scioglimento di Forza Italia in una nuova formazione politica, il Partito del Popolo della Libertà (PPL) con il quale gli amici della sua coalizione e non solo, d'ora in poi dovranno fare i conti: conti salati, perchè spinto da tanti giovani animati da una passione politica che tutti davano per morta o almeno agonizzante. Questa mossa ha un duplice effetto: restituire rappresentanza politica alla nuova generazione, desiderosa di partecipare alla vita di un Paese allo sbando, ciò che il Cavaliere sognava fin dal lontano 1994 e rimettere al centro della vita nazionale la politica con la P maiuscola .

Contrariamente a quanto vorrebbero i suoi detrattori, Berlusconi non è francese, non ha nel suo DNA il fanatismo dei capi francesi; il suo è il carattere combattivo del nostro popolo, sorretto dalla fede incondizionata di un dio di giustizia e di amore per l’uomo; è il combattente con le armi delle idee e della prassi politica, nato per guidare un popolo al riscatto dalle pastoie burocratiche di uno statalismo fuori della storia che, periodicamente e soltanto qui in Italia si riaffaccia sul palcoscenico delle clientele di partito. Berlusconi non è Veltroni, ossessivamente legato alla ricerca del consenso: per i grandi progetti occorrono generosità, lungimiranza e disinteresse, tutti elementi che Silvio ha coltivato fin da piccolo. Egli ragiona prevalentemente con l'intelligenza del cuore; sa vivere in sintonia con la gente perché proviene da un impero aziendale che ha costruito giorno dopo giorno con sacrifici e anche con il sostegno di amici fedeli. Pur sentendosi inviato dalla Provvidenza, non è il merovingio Clodoveo che agli albori del cristianesimo, sposando una cattolica, invoca opportunisticamente il Signore perché gli conceda il dominio assoluto sui franchi o il tiranno Luigi XVI (il Re Sole) che seppe cambiare la storia europea togliendo potere ai rappresentanti dei francesi in Parlamento o magari il giacobino di turno travestito da buonista. Berlusconi, al contrario, è il tipico uomo moderno, alieno da bizantinismi che sa andare diritto al cuore del problema politico per il suo innato carisma, mostrando noncuranza verso i poteri forti, alleati della sinistra antagonista che viceversa alla loro maniera lo hanno sempre disprezzato e demonizzato.

Ha molto del Sarkozy all’epoca ministro dell’interno quando, in occasione di una manifestazione di piazza ad una signora che dal balcone gli chiedeva di liberare gli abitanti delle banlieues dalle orde dei delinquenti le rispondeva: “voi ne avete abbastanza di questa banda di feccia (“racaille”), adesso ci pensiamo noi a toglierli di mezzo…!”
Con Berlusconi viene spazzato via anche il vecchio luogo comune del populismo all’italiana. No, non credo che, pur giocandosi tutto per tutto, Silvio sia il solito Cola di Rienzo che sbaraglia tutti per farsi far fuori all’indomani. Certo per molti è un ingombro perché non consente, come non ha consentito nei suoi cinque anni di governo, di farsi mettere nel sacco dai soliti mestatori invidiosi. Mettendo al centro della vita nazionale la politica, quella con la P maiuscola, può frenare lo strapotere della finanza speculatrice che d'ora in avanti dovrà venire a patti con questo nuovo Partito. Sta a lui ed ai suoi fidati amici d’infanzia gestire questa valanga di consensi.

Francesco Pugliarello
da: http://francoazzurro.wordpress.com

domenica 18 novembre 2007

Nasce il nuovo Partito del Popolo delle Libertà (PPL)

Da domani avremo un nuovo partito nato, come i DS, dalle “primarie” dei gazebo di Forza Italia, forte degli oltre sette milioni di firme: il Partito del Popolo delle libertà (PPL). é opinione diffusa che in esso confluiranno subito:

—Dc di Rotondi;
—Nuova Destra di Storace ;
—I circoli della Brambilla;
—I Circoli di Dell’Utri;
—tutti gli altri Circoli dei giovani di ispirazione azzurra;
—parte dei deputati di AN e dell’UDC come Giovanardi & Co;
—i Radicali di Capezzone
—qualche senatore fin’ora tiepidamente dissenziente tipo Fisichella & Co;
e, dulcis in fundo —il gruppo dei Diniani liberal-democratici;
semprecchè Berlusconi tenga duro e tratti a tempi brevi la riforma elettorale per quei pochi punti ch’egli ha sempre detto (voti al senato su base nazionale e preferenze).
Per il resto delle riforme ci penserà il suo nuovo governo.

Se Fini e Casini avranno resipiscenza, si aggregheranno, ma questa volta alle sue condizioni, pena il restare col culo nell’acqua.

Dico questo perchè proprio questa sera ai gazebo il popolo fiorentino, notoriamente riottoso e timoroso, ha manifestato un entusiasmo mai riscontrato in questa città, ho intervistato un senatore azzurro che mi ha confermato quanto sopra.

Ora Berlusconi dovrà gestire questa profonda transizione della politica nazionale che è simile al momento in cui nel 1968 De Gaulle in Francia, per evitare la svolta autoritaria mitterandiana (dopo i fatti del maggio francese), decise la svolta liberal-democratica rinsaldando la V^ repubblica.
E' evidente che tutto sta alla saggezza del Quirinale...

Francesco Pugliarello
http://fainotizia.radioradicale.it/user/francoazzurro

venerdì 16 novembre 2007

Forza Italia e la Montalcini: la forza di una centenaria

Forza Italia deve rincorrere l’UDC sul piano di una nuova riforma elettorale che Calderoli aveva giudicato un “porcaio”: fatto che, potrebbe prolungare la vita di questo sciagurato governo ancora per molti mesi, ciò che Berlusconi vuole scongiurare riempiendo le piazze di gazebo per la raccolta di firme “al voto subito".
Fini ingelosito spara a zero sul Cavaliere per aver tenuto a battesimo la destra di Storace e della Santanchè;
Rotondi, preso da tenerezza per Berlusconi, regala i venti minuti di dibattito del suo drappello a Forza Italia;
un senatore azzurro in aula piange per aver sbagliato a votare;
Dini, cercando di spuntare qualche ministero in caso di rimpasto a gennaio, vota a favore della legge finanziaria dopo aver sbandierato urbi et orbi contro il vituperato c/sinistra bertinottiano.


Possibile che l'Italia debba reggersi sugli umori e sui personalismi di questi signori senza valori etici che si comportano da “bottegai”?
Al cospetto, la Montalcini, senatore più anziano nella storia del parlamento repubblicano è una santa! E' pasta d'altri tempi.... Pensare che Senza i suoi voti, Romano Prodi ed il suo boccheggiante governo di sinistra ed estrema sinistra sarebbero già a casa, con immensa gioia di due italiani su tre che non vogliono più sentirne di Prodi e di comunismo.

Francesco Pugliarello

domenica 11 novembre 2007

SIAMO TUTTI SULLA STESSA BARCA

Un’esperienza di sport e divertimento accessibile a tutti

IL Circolo Velico Lucano di Policoro ha fatto salpare la Goletta della Solidarietà


A Policoro (MT), presso il Circolo Velico Lucano, quello che sembra solo un vecchio adagio popolare “essere tutti sulla stessa barca” quest’estate si è trasformato in una vacanza di avventura…. in un mare di sport.
L’esperienza, aperta a tutti, ha coinvolto anche uno dei ragazzi della Polisportiva Gioco, che ci ha raccontato la sua avventura.
Immerso nella riserva naturale del Bosco Pantano di Policoro, a pochi metri da una incontaminata spiaggia, sorge il centro turistico del Circolo Velico Lucano che propone ai ragazzi ed alle famiglie ospiti un programma ricchissimo di sport. L’attività principale delle giornate è quella della vela, suddivisa in corsi di iniziazione, perfezionamento e specializzazione. Da non sottovalutare le altre proposte: canoa. windsurf, nuoto, sci nautico, equitazione, escursioni in motobarca, calcetto, beach-volley, tiro con l’arco, educazione ambientale ed animazione serale, svolte da figure professionali altamente qualificate: assistenti, istruttori federali e insegnanti Isef.

Ma poiché la filosofia del Circolo Velico è non solo quella dell’agonismo ma anche e soprattutto quella del divertimento, c’è posto per tutti, anche per i “disabili”.
“Alle prime luci del mattino- dice Mariano uno dei due disabili presenti- prima che il sole scaldi, mentre la brezza marina s’insinua tra i “carri western” e i “tukul” immersi nella pineta attigua alla riserva naturale del bosco Pantano di Policoro, ai margini di una spiaggia attrezzata, gli amplificatori diffondono nel “campus” una gradevole melodia country per annunciare l’inizio delle attività sportive della giornata”.
“Il doversi autogestire, adeguarsi ai ritmi di una vita comunitaria in spirito di emulazione, il confrontarsi con altri coetanei normodotati, praticando di volta in volta e a propria discrezione le attività marinare predisposte con barche a vela e canoe, il doversi cimentare in semplici regate, il prendere dimestichezza con i picchi, le bome, i trinchetti, le mezzane, le sartie, i bompressi, le escursioni a cavallo e in monutain-byke nel bosco limitrofo e quant’altro, è stato sicuramente un banco di prova impegnativo, ma sicuramente positivo e capace di rafforzare l’autostima di ognuno di noi”

Nulla in questo Centro, magistralmente condotto dalla discreta e onnipresente direttori delle attività Sig. Sigismondo Mangialardi e Sig Vito Narciso, è lasciato al caso: tutto è pianificato sui ritmi del clima e del tempo meteorologico. Lo spirito di corpo che si respira nel campus, liberi dall’”assillo” dei genitori, in un’organizzazione così concepita, è certamente il modo migliore per rafforzare l’autostima dei nostri ragazzi e valorizzare la loro personalità nella pienezza dei talenti di cui sono portatori: quei sentimenti che nel quotidiano non sempre riescono a scambiare.
Per tal ragione il Circolo Velico Lucano è sicuramente un primo e significativo esempio di Accademia della solidarietà: se i nostri tour-operators ne garantissero la funzione sociale, peraltro da qualche tempo adottata in altri Paesi dell’Unione Europea come la Francia e la Gran Bretagna, il modello di turismo giovanile praticato nel Circolo Velico Lucano potrebbe rappresentare, anche per il nostro Paese, una forma di vacanza “alternativa”, dove i diversamente abili possano dimostrare quello che sono e trasmettere agli altri ragazzi una spinta di “genuina vitalità” che crea, nel confronto, una efficace e matura forma di accoglienza e rispetto reciproco.

Che ne dite? Il guanto della sfida è lanciato! Chi di voi vuole proporsi per una bella e solidale sfida sul mare, ove dimostrare a se stessi e agli altri che in fondo in fondo “siamo tutti sulla stessa barca?

Rosaria Dall’Argine
Francesco Pugliarello

da: "Sport.al" Parma - Ottobre 2007

sabato 10 novembre 2007

URGE UN NUOVO MODELLO DI SVILUPPO

Le titubanze e le divergenze interne dei paesi occidentali a fermare Teheran dalla tentazione di dotarsi di armamento nucleare, stanno legittimando una corsa generalizzata a questa fonte energetica in tutta l’area mediorientale, rendendo il mercato internazionale del petrolio altamente speculativo e rischiosamente caro.

La “corsa” annunciata è il solito bluff cui gli arabi ci hanno abituati, o esiste un fondo di verità?Dopo Marocco e Tunisia, la settimana scorsa anche Hosni Mubarak ha dichiarato di avviare la costruzione di centrali nucleari nel suo Paese. L'UE dal canto suo, mentre la Merkel vola a Washigton, come lo stesso Sarkozy, che vorrebbe proporsi quale supervisore politico sulla questione, si è astenuta dal decidere rilanciando la patata bollente all’ente preposto, l’Aiea a cui segretario pro-tempore c’è l’egiziano Mohammed El Baradei. Quest’ultimo, sostenuto da Putin e dalla Cina di Hu Jintao ritenendo pericoloso andare ad uno scontro con l’Iran, sta facendo di tutto per frenare i tentativi di Washington, Londra e Parigi chiedendo ai tre falchi di ammorbidire i toni minacciosi su Teheran, adducendo la mancanza di prove sull’utilizzo di materiale atomico a fini militari. Ora giustamente Israele ne chiede la destituzione. I massimi tecnici del settore ci dicono che “non esiste filiera di nucleare civile che non proliferi armi atomiche”!

Nel frattempo nella disputa tra nucleare civile e nucleare militare e nell’immobilismo europeo, i Paesi del Medio Oriente, forti della consueta lungimiranza e sospinti dai timori di un’egemonia politica, militare e religiosa della Repubblica sciita corrono ai ripari. Pare evidente che essi siano a conoscenza del fatto che, secondo Olivier Guitta, consulente in materia di terrorismo presso la Casa Bianca, “è da tempo che esistono accordi segreti tra Mosca e Damasco per forniture di infrastrutture per costruire centrali nucleari in luoghi segreti della Siria”. [“Plan B: Syria’s forgotten, but dangerous nuclear program”, http://www.examiner.com/printa-478177~Olivier_Guitta, 28.12.2006]. Anche questo può essere un motivo per cui negli ultimi mesi quasi tutti i paesi sunniti della regione, compresi alcuni emirati del Golfo che di petrolio abbondano, hanno annunciato l’intenzione di predisporre programmi nucleari sostenendo, candidamente, essere esclusivamente a scopo “civile”... Tutto lascia presumere che la corsa al nucleare sia inarrestabile: il che è testimoniato dal fatto che in quelle zone è missione permanente il segretario di stato americano Condoleeza Rice.

In questa ottica la visita di re d’Arabia, Abdallah bin Abdulaziz Al Saud, al Papa può rappresentare un segnale di allarme dovuto anche alla difficile situazione interna del suo regno che rischia di diventare esplosiva per il fatto che per anni proprio da quel Paese il fondamentalismo è stato lautamente foraggiato, pare strano che gli arabi ci vengano a dire che le scorte stanno esaurendosi per cui sono costretti a scendere più in profondità, superare la barriera dei 2000 metri con ulteriori aggravi di costi; che il petrolio non è più lo stesso, come qualità, di quello estratto 10 anni fa, perché in questa situazione sono poco credibili in quanto, dati alla mano riferiti al 2004, l’area del Golfo Persico possiede ancora il 65% delle riserve petrolifere dell’intero pianeta con una produzione che copre un terzo del totale mondiale, ed è quindi l’unica area in grado di soddisfare le richieste (almeno fino al 2050), comprese quelle delle “petrolofaghe” Cina e India.
Naturalmente gli arabi hanno tutto l’interesse a dimostrare il contrario. Ciononostante, resta il fatto che di risorse esauribili sul globo terracqueo ve ne sono ancora in abbondanza. La conferma ci viene da una delle massime società di consulenza sull’energia, la scozzese MacKay Consultants [articolo riportato dalla rivista di settore oil&gas «Offshore», novembre 2005], che comprova che nella sola regione del Pacifico vi sono risorse non ancora sfruttate in acque profonde, tanto che le compagnie petrolifere dell'area, in vista dei vertiginosi consumi cinesi per cui entro il 2030 saranno più che raddoppiati (“270mila cinesi andranno in auto”!), con le nuove tecnologie estrattive a disposizione, hanno deciso triplicare gli investimenti sulla ricerca, passando dai 10 del 2003 ai 31 miliardi di dollari nel 2009.

Come si vede, ancora una volta gli arabi, approfittando della debole coesione tra gli Stati dell’Unione Europea, colgono l’occasione per introdursi gradualmente in Occidente nel tentativo di metterlo in ginocchio. E’ uno dei motivi per cui stanno comprando più aziende possibili e stanno investendo in tutto ciò che possono; ancora una volta, come con la crisi energetica degli anni ’70, è sul petrolio che si sta giocando una partita pesante sulle teste degli europei, notoriamente privi di fonti primarie ad alta potenzialità industriale. Questo grazie al cinismo di certi scienziati della sinistra che da anni si sono inventati il pacifismo per eliminare le centrali nucleari dal nostro territorio, rendendoci sempre più esposti ai rischi e non ai benefici ed al ricatto dall’ incombente islamismo. Ma allora se il quadro internazionale volge al peggio, perchè non prendere di petto il problema energetico, valutando la fattibilità delle fonti rinnovabili? Se nel futuro l'economia del petrolio e del nucleare non sono più sostenibili, perché non cambiare radicalmente, e al più presto, il modello di produzione e di consumi, i concetti di benessere e di sviluppo? La risposta non può che venire dalla ricerca. Non vorremmo azzardare ipotesi, però allo stato, sembra che si aspetti che il petrolio superi la soglia psicologica dei 100 dollari a barile per poter dire: beh è il momento di metterci a discutere su costi e benefici. Solo così potremo tagliare l’erba sotto i piedi agli speculatori.
Francesco Pugliarello

mercoledì 7 novembre 2007

Islam, rischio "londonhistan" in Toscana

Pugliarello: “La moschea di Colle VElsa è il caso emblematico di una politica miope e remissiva

FRANCESCO PUGLIARELLO

La graduale penetrazione dell’Islam nel vecchio continente si esplica mantenendo, e talvolta inasprendo le tradizioni dei paesi d’origine fatte di vendette e rappresaglie in nome di ina interpretazione salafita della religione. Il suo oscuro e controverso comportamento, secondo le modalità di certi poteri occulti, sta provocando nell’organizzazione dei paesi ospitanti non pochi problemi da suscitare timori e perplessità nel tessuto sociale. Diversamente dalla altre comunità, quella musulmana pretende l’adeguamento alle sue leggi, alle sue usanze, perché le nostre le ritiene “corrotte”. E’ una strategia che di giorno in giorno rivela i suoi contorni sempre più definiti, mirati cioè al reclutamento di connazionali “sbandati” da attirare nella rete della propaganda jiahdista.
L’ennesiam testimonianza di questo perverso piano politico sta nel piccolo appartamento adibito a moschea a Ponte Felcino di Perugina. Eppure, stando alle testimonianze del posto, i responsabili di quella piccola moschea erano onesti lavoratori dalla condotta irreprensibile. Tuttavia, il rinvenimento dell’armamentario stragista e la cattura dei responsabili, rappresenta l’occasione per risvegliare nell’opinione pubblica del rischio che si corre continuando a voltare la faccia dall’altra parte. Essi chiedono l’occultamento dei simboli della nostra cultura millenaria e noi, convinti di non offenderli, accettiamo passivamente; pretendono con insistenza l’edificazione di luoghi di culto, e noi ci adeguiamo.
In alcuni casi in nome di una malaccorta libertà religiosa, siamo noi stessi a sollecitare la costruzione di moschee ad uso esclusivo di qualche centinaio di fedeli musulmani, come il caso di Colle Valdelsa suggerita dal sindaco di quel Comune, nonostante le forti contrarietà locali. Il caso più recente, peraltro ancora da definire, per la ferma opposizione degli abitanti del posto, è Bologna il cui sindaco Cofferati ha sottratto al godimento dei propri concittadini migliaia di metri quadrati di terreno per allestire un mega-centro commerciale dotatao di moschea con annessi minareti: una sorta di londonhistan casereccio.
La complessità della questione che, più che religiosa, è di ordine economico e politico, dovuta principalmente agli ambigui atteggiamenti adottati da molti di questi improvvisati imam catapultati dalla dawa (chiamata) islamica, esigono delle chiavi di lettura. Chi ha frequentato quei paesi o ha studiato qualcosa della loro storia, sa bene che il loro modo di agire, apparentemente mansueto e spesso vittimista, deriva dalla pratica della taqiyya: una sottile forma di dissimulazione che affonda le sue radici in una cultura tribale, nomade e beduina elaborata nel secoli dagli sciiti e da qualche decennio ripresa nel salafismo sunnita in perenne lotta tra loro per la conquista del califfato. Il perché di questo comportamento ce lo dice Osama Bin Laden: “l’11 settembre 2001 abbiamo dichiarato guerra all’Occidente”, “… tutto è previsto nel Corano” e quando non citato, invoca la Sunna: interpretazione di comodo che impedisce alla stragrande maggioranza dei musulmani di rifarsi una identità modernista e di integrarsi nel Paese di immigrazione. Nel loro predicare prevale una forma di supposta superiorità di razza, come una casta dall’adamantina purezza che si scaglia contro i deboli della terra che non osservano i loro dettami, quelli che don Lorenzo Milani chiamava “gli ultimi”. Dovunque essi arrivano e prevalgono, i primi esseri sacrificali ad un dio lontano e pervasivo, sono le donne ed i giovani. La notizia che i governi di alcuni Paesi magrebini a maggioranza musulmana come Marocco, Tunisia e Libia hanno di recente abrogato l’obbligo del velo islamico, ha risvegliato il fanatismo islamista locale legato ad AlQaeda pronto a combattere certe aperture laiche e democratiche. Stranamente da noi questo copricapo sarebbe riproposto quale simbolo di’identità e di appartenenza all’Islam [cfr. fathwa UCOII del 2002]. Quale efferato delitto aveva commesso Hina Saleem, la giovane pakistana da essere sgozzata e massacrata dal padre e dai parenti maschi, se non la manifesta tendenza troppo occidentale? Non è sorprendente che il ministro Giuliano Amato paragoni la violenza islamica sulle donne a quella della tradizione siciliana? Che etica è questa, se non la saga dell’ipocrisia che incoraggia alla violenza?
Un quadro decisamente preoccupante, per cui l’Italia, in questo caso, farebbe bene a guardare all’esperienza inglese dove maggiori sono stati i guasti provocati dagli eccessi del multiculturalismo e da una politica prona ai voleri islamici. E mentre l’attuale opposizione, sulla energica azione della Chiesa cattolica, cerca a fatica di porre riparo al malessere spirituale, al relativismo etico e morale, in una parola alla “questione identitaria” che dilaga in Occidente, il nostro Governo continua a tergiversare adottando la tattica dello struzzo, strizzando l’occhio al terrorismo di Hamas, rendendoci tutti in libertà condizionata. Siamo proprio certi che questa politica di appeasement ci porti alla desiderata convivenza, o piuttosto non si avveri la profezia di quel musulmano illuminato quando afferma che di questo passo nel giro di qualche decennio ci imporranno la shaari’ah riducendoci a dimmi prima che negli altri Stati del Vecchio Continente?

(Pubblicato su “Il Giornale della Toscana” il 23 Settembre 2007, pag. 4)

martedì 6 novembre 2007

lunedì 5 novembre 2007

Il Leviatano necessario

di Raffaele Iannuzzi - 3 novembre 2007 (da: ragionpolitica.it)

Un cittadino romeno, intervistato, ha candidamente confessato che lui e i suoi connazionali vengono in Italia perché sanno che da noi non andranno mai in galera. Quando si dice che ciò che conta è la chiarezza delle idee. Idee chiare e distinte. E' il clima di assoluta impunità che sta corrodendo lentamente ma sistematicamente la percezione della sicurezza dei cittadini. E di percezione si vive o si muore. Soprattutto oggi. I romeni sono, da questo punto di vista, i più fini antropologi, hanno infatti colto il clima generale di debolezza e di insicurezza ed è per loro davvero dolce naufragar in questo mare, affogando l'Italia in un mare di delitti. Impuniti. Spesso impuniti. Il tragico caso della signora Giovanna Reggiani è l'esemplare e barbaro esito di una catena di indifferenze e di ipocrisie istituzionali.

Veltroni chiede oggi espulsioni quando, da cinque anni, ha tollerato, ad uso politico interno, le baraccopoli vicine ai centri abitati. Ha tollerato l'intollerabile e oggi richiama l'attenzione polemica di Rifondazione che, con fare delirante, dà del razzista a chi pone la questione sicurezza, questione di evidente natura popolare, riguardante soprattutto le periferie tanto amate dai comunisti quando votano i loro candidati. A suo tempo, Francesco Giro, il coordinatore regionale di Forza Italia del Lazio, aveva filmato dalle finestre della sua abitazione a Trastevere il teppismo e il vandalismo dominanti nella ex capitale più sicura d'Europa. Eravamo in agosto, quando l'Italia, crisi o non crisi, emigra là dove tutto tace, che sia la memoria di vite vissute e spese per qualcosa o semplicemente luoghi balneari, soprattutto low cost. Dunque silenzio o poca attenzione.

Oggi, con il cadavere di Giovanna Reggiani di fronte agli occhi, il governo muta linea o, meglio, compie il dovere d'ufficio che avrebbe dovuto compiere a tempo debito. E' ormai universalmente nota la disposizione europea che prevede l'espulsione anche dei cittadini comunitari qualora siano delinquenti o non abbiano mezzi di sussistenza dignitosi. Per il Corriere della Sera, la signora Reggiani è «la donna», cinico epiteto che mostra imbarazzo, il solito imbarazzo dei piccolo-borghesi che affollano le centrali dei poteri bancari. Per costoro, la sicurezza è questione popolare, populistico-demagogica, di partigianeria rozza e becera, roba da taverne, non da eleganti e angelicati sushi bar. Questa è l'Italia che si appresta a proclamare defunto il governo Prodi dopo averlo sostenuto a spada tratta. Questa è l'Italia che apostrofa come razzisti migliaia di operai e cittadini che desiderano soltanto vivere tranquillamente e poter passeggiare per le strade delle loro città senza doversi sempre guardare le spalle. Altrimenti, si finisce per comprare la pistola e si fa la scelta estrema di organizzare le ronde.

La destra deve, su questo punto, essere radicalmente alternativa alla sinistra a diventare partigiana della sicurezza, con un tasso di tolleranza zero adeguato alla reale situazione. Amato, in un'intervista pubblicata questa settimana sull'Espresso, paradossalmente e - dopo il tragico assassinio di Giovanna Reggiani, evidentemente non prevedibile - quasi grottescamente dedicata al «pacchetto sicurezza», afferma che la tolleranza zero è un linguaggio che non gli appartiene. Non ne dubito. D'altra parte, non gli è appartenuta neppure l'idea di un decente «pacchetto sicurezza»; se poi pensiamo che cita Tariq Ramadan in materia di laicità dello Stato, siamo pronti a metterci la mano sul fuoco che una certa cultura non gli appartenga. Ma è questo il punto nodale. La cultura, cioè la capacità di vedere la realtà per quel che è, approntando le misure concrete adeguate a risolvere i problemi dei cittadini. Ritornare alla realtà equivale a dichiarare, sine ira ac studio, che i romeni sono un problema per il nostro Paese e che delinquono più degli altri gruppi di immigrati, perfino più degli albanesi. Certo, delinquono di più perché sono di più, 556.000 per l'esattezza, ma non è allora forse il caso di dire che sono troppi, spesso irregolari e potenzialmente criminali? Lo dicono i fatti, non l'ideologia di questo o quello. Contra factum non valet argumentum. Per noi, ma non per i pragmatici riformisti anglosassoni che abbiamo al governo, i progressisti del nuovo Pd.

Ma, a ben guardare, non dovrebbe forse essere questo il tanto sbandierato pragmatismo dei sedicenti «riformisti»? Un sano e costante ritorno alla realtà, senza troppi peli sulla lingua? Evidentemente no, anche perché l'ultima ideologia è non avere ideologie e, senza di esse, spesso neppure criteri di valutazione dello stato oggettivo delle cose. La neutralità non esiste, ma la partigianeria, così cara anche a Gramsci, padre putativo di tutti loro, dopo la creazione del pantheon veltroniano, può funzionare. Basterebbe avere qualche idea di società in testa. Chissà, forse Ferrara potrà spiegarci meglio la sintassi politica esoterica di questa nuova «follia» italiana, il Pd. Lungi dall'essere questa una sterile e inopportuna polemica politica, qui è in ballo ben altro, la sostanza del governo delle cose. Infatti, per ora, la classe dirigente della sinistra neo-dem è l'apoteosi dell'indifferenza o della reazione tardiva, a cadavere sbranato dalla violenza omicida.

Il loro problema è che sono anche «progressisti». I «progressisti», si sa, sono quelli che preferiscono che un romeno non venga incarcerato pur di salvaguardare il protocollo del «pacchetto sicurezza», dopodiché ammantano questo spirito cosiddetto garantista con razionalizzazioni giuridiche, del tipo: è lo Stato di diritto, bellezza. Amato fa sempre così. Ma non soltanto Amato. Temo che una certa subcultura cattolica, assai devota all'idolatria post-conciliare, abbia pensieri non molto dissimili. E temo anche che questa subcultura post-conciliare alligni anche tra qualche vetusta gloria dell'attuale centrodestra. E che siffatta presenza cattolica post-conciliare chiuda la bocca, con eccessi di zelo degni di miglior causa, a molti esponenti del centrodestra, rei di essere partigiani della sicurezza. Già, perché i partigiani della sicurezza sono troppo di destra. Il Leviatano va bene ma fino a un certo punto, dopo scatta la reazione pavloviana anti-fascista, anti-manganello e filo-aspersorio, quindi la devozione alla Caritas ed alla Comunità di Sant'Egidio, infine al vescovo di riferimento della propria diocesi, che ancora serve a qualcosa quando si va a votare.

Non mi illudo: se non passa la cultura weberiana, almeno weberiana, dello Stato detentore del monopolio legittimo della forza e dunque legittimato a prendere i criminali, a farli processare dai giudici, a sbatterli in galera, la destra sarà sempre culturalmente minoritaria. E non mi riferisco allo scavalcamento da sinistra da parte di Cofferati e Domenici, questa è politica da transatlantico. Anche qui è in ballo roba grossa, di sostanza. E', questo, un problema di cultura nel senso lato del termine, la cultura essendo anche una remora fin troppo appiccicaticcia quando si tratta di agire per il bene comune, tanto sbandierato anche in area non cattolica. Il bene comune oggi ha un nome specifico, essenziale, determinante: sicurezza. Con la sicurezza, la democrazia diventa un luogo di consapevolezza dei diritti e dei doveri, uno spazio comunitario vivibile, dunque non soggetto a devastanti e permanenti critiche. Tutte le critiche alle democrazie occidentali sono dettate dal deficit di sicurezza. Giuliani, a New York, l'ha compreso, come ha compreso che le democrazie, nella globalizzazione, abitano soprattutto nelle città. Grandi e piccole. Comunque nelle città. Genova è diventata una città simbolo della mancata sicurezza e dell'aggressione eversiva. Una città, un luogo antropologico, fisico, sociale e simbolico. Questa è la realtà postmoderna, che subisce aggressioni eversive-criminali e comunemente criminali. Ma sempre di violenza illegittima si tratta.

L'unico a detenere il monopolio legittimo della forza fisica è lo Stato. Il Leviatano. Il Leviatano necessario. Sarà anche sgradevole scriverlo, ma è la verità: in Svizzera, Blocher ha vinto perché ha capito che il problema numero uno è la sicurezza. E all'Italia conviene che vinca la destra, avendo una sinistra così minoritaria quando si auto-proclama riformista e rozzamente ideologica quando si fregia dell'aggettivo qualificativo passepartout «radicale». La realtà sta indicando però l'ennesima tragedia dell'indifferenza dei «progressisti» e dei «cittadini perbene», quelli di cui parlava Beppe Viola in un'altra Italia, ignara ancora del lassismo a prova di Stato di diritto.

Raffaele Iannuzzi
iannuzzi@ragionpolitica.it

domenica 4 novembre 2007

L'Islam cerca il dialogo ma non condanna il terrorismo

di Francesco Pugliarello

Nulla di particolarmente degno di interesse nella lettera dei 138 saggi musulmani del 13 ottobre indirizzata al Papa ed ai Capi cristiani diffusi nel mondo. Le solite sdolcinatezze tese alla “captatio benevolentiae”, cioè la consueta tattica del bastone e della carota in cui gli islamici sono grandi maestri. Unica nota positiva è quella di veder condivisa una prospettiva di confronto multilaterale tra sunniti, sciiti e sette di tendenze divergenti che per secoli si sono combattuti tra loro per la conquista del “Daar-al Harb”, di una civiltà come la nostra: una sorta di armistizio in una fase storica molto delicata per i destini del mondo.


Il documento, pur ispirandosi a principii di ordine religioso, assume un valore prevalentemente etico e politico dal momento che viene sottoscritto da un gran numero di studiosi e di consulenti appartenenti a ben 43 Stati a maggioranza islamica e promosso da un sovrano illuminato come il re di Giordania, alleato degli USA e di Israele. Sebbene indirizzata alla cristianità, la lettera è multifronte, nel senso che è un monito lanciato a tutti i fondamentalismi religiosi, a quelli cioè “che provano piacere nel conflitto e nella distruzione mettendo in gioco la stessa sopravvivenza del mondo”.


Non v’è dubbio che questa lettera è permeata da un malcelato timore di un incombente conflitto laddove invoca: “….facciamo almeno in modo che le nostre differenze non provochino odio e conflitti tra noi che rappresentiamo il 55% della popolazione di questa terra” (Capo III). Ma non si capisce se questo appello all’unitarietà sia indirettamente indirizzata a contrastare la corrente religiosa wahabo-salafita - quella che sparge terrore nel mondo - oppure è un messaggio trasversale rivolto all’Occidente quando denuncia che tutto potrà andare come previsto “…a condizione che i cristiani non dichiarino la guerra”.


Richiamando per analogia le citazioni degli evangelisti e delle sure coraniche del periodo meccano che figurano nella “Sura della tavola imbandita”, laddove intendono che “le nostre diversità sono volute dall’unico Dio”, essi sostengono con forza che “è possibile una convivenza nella diversità”, sottraendosi cautamente nel tracciare quanto meno delle proposte concrete. Una rivoluzione copernicana di un buonismo stucchevole che mette in guardia i nostri massimi cultori dell’islam come Magdi Allam, Lee Harris e Carlo Panella, avvertendoci che il documento può essere una “trappola” o peggio un “falso ideologico”, dal momento che tacciono sul resto dei passaggi coranici più controversi, specialmente quelli riferiti al periodo medinese, dopo l’”egira”. Difatti fra tanta deferenza stridono le firme di alcuni antisemiti come Yasser Ahmed al Tayeb, rettore dell’università al Hazar del Cairo, o come Ahmed al Kubaisi, ex consigliere di Saddam Hussein, che sostengono apertamente le azioni di martirio, tacendo che la guerra all’Occidente è già stata dichiarata dal fondamentalismo maturato in seno alla loro civiltà.


Per questa ragione i nostri critici, la considerano una spudorata dissimulazione per la retorica di cui è intrisa e per le forti ambiguità. Come ci fa notare l’arabista Samir Khalil Samir, le maggiori ambiguità si riscontrano in alcuni passi tradotti dall’arabo alle nostre lingue. Fra le tante, sicuramente la più inquietante, riscontrata peraltro anche dal rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni, mentre il testo arabo si richiama al Nuovo Testamento, nelle nostre lingue viene tradotto in “Bibbia”, lasciando intendere agli interlocutori arabi di aver escluso la realtà ebraica che in questo momento storico invece è centrale. Samir ci riferisce inoltre che nelle nostre versioni (inglese, francese, italiano e tedesco) si cita genericamente Gesù Cristo, mentre nel testo originale si insiste nel considerarLo non figlio di Dio ma il Messia, “Issa al Massih”. Stesso peso lo si riscontra nelle affermazioni “come si legge nel Vangelo…”, mentre, citando il Corano, essi scrivono “Dio ha detto …”. Infine, per sostenere l’unicità di Dio, che tale è nella visione islamica, mettono ancora una volta in discussione la validità dei testi di San Paolo allorché, introducendo la Trinità divina, avrebbe violato il messaggio originale cristiano.


Da queste brevi considerazioni, la disperata ricerca di un dialogo testimonia le insormontabili difficoltà interne in cui si dibatte l’islam a causa di elementi spuri che negli ultimi decenni, sfruttando la superstizione e la fede, dopo qualche secolo di splendore, avrebbero mutato radicalmente tutta l’impalcatura coranica su cui per millenni si è fondata una religione che, all’impatto con la modernità, non è stata in grado di trovare alcuna via d’uscita dalla tribalità in cui si era cacciata. In buona sostanza questo documento rappresenta una invocazione di aiuto, ancora una volta però privo del coraggio di denunciare i loro assassini.


Ciononostante, considerato lo sforzo profuso per un confronto, a fronte dei tanti intrapresi dalla cristianità, il documento potrebbe anche essere accolto, a condizione che si prendano di petto le questioni concrete, della libertà religiosa, del rispetto assoluto dei diritti umani, del rapporto tra religione e politica e dell’uso della violenza, non dimenticando mai le lezioni della storia e cercando si evitare atteggiamenti aggressivi che possano provocare le reazioni negative degli islamisti: la scaltrezza e la suscettibilità di quella gente non ha pari in tutto il mondo.

da: L'Occidentale.it

03 Novembre 2007 | cattolicesimo | cristianesimo | islam | occidente | wahabismo | Religione

La minaccia nucleare iraniana e le esitazioni dell'Occidente europeo

Le esitazioni dell’Occidente a fermare Teheran dall'installazione di centrali, stanno legittimando una corsa generalizzata al nucleare nei paesi di tutta l’area mediorientale.
Così, dopo Marocco e Tunisia, la settimana scorsa anche Hosni Mubarak ha annunciato l’intenzione di avviare la costruzione di centrali nucleari nel suo Paese. L'EU dal canto suo, sollecitata da Sarkozy per una proposta di supervisione politica, si è astenuta dal decidere rilanciando la patata bollente all’ente preposto, l’Aiea di Mohammed El Baradei. Quest’ultimo, direttamente interessato alla questione, sostenuto da Putin e dalla Cina di Hu Jintao ritenendo dannoso andare ad uno scontro con l’Iran, sta facendo di tutto per frenare i tentativi di Washington e Londra di fare pressioni su Teheran, chiedendo ai due falchi di ammorbidire i toni adducendo la mancanza di prove sull’utilizzo del materiale atomico a fini militari.

In questo stato di empasse che deriva dalla disputa tra nucleare civile e nucleare militare, il Medio Oriente forte della sua consueta lungimiranza e sospinto dai timori di un’egemonia politica, militare, religiosa ed energetica della Repubblica sciita si premunisce. Negli ultimi mesi molti paesi sunniti della regione, compresi alcuni emirati del Golfo, hanno annunciato lintenzione di predisporre programmi nucleari che sostengono essere a scopo “civile”. Come stanno i fatti, tutto lascia presumere che la corsa al nucleare sia inarrestabile. Potrebbe anche essere la prova che la nuova gara tra arabi e persiani non sia dettata da prospettive di esaurimenti di fonti energetiche, ma dall’ombra minacciosa dell’Iran su tutta la regione, dove ormai è in missione permanente il segretario di stato americano, Condoleeza Rice.

Considerando i dati ufficiali riferiti al 2004, essi ci dicono che attualmente l’area del Golfo Persico possiede almeno il 60% delle riserve petrolifere dell’intero pianeta con una produzione che copre un terzo del totale mondiale ed è quindi l’unica area in grado di soddisfare le richieste future, compresa la petrolofaga Cina. Naturalmente gli arabi hanno tutto l’interesse a dimostrare che le scorte stanno esaurendosi e il petrolio non è più lo stesso, come qualità, di quello estratto 10 anni fa: dovranno scendere più in profondità, superare la barriera dei 2000 metri con conseguenti aggravi di costi.

Ancora una volta gli arabi, forti della debole coesione interna agli Stati dell’Unione colgono l’occasione per introdursi dolcemente in Occidente. Può essere uno dei motivi per i quali stanno comprando più aziende possibili e stanno investendo in tutto ciò che possono. Ancora una volta, come nella crisi energetica degli anni ’70, è sul petrolio che si sta giocando una partita pesante sulle teste degli europei che sono privi di fonti energetiche ad alta capacità industriale. Noi italiani invece, mancando del coraggio di affrontare di petto i problemi internazionali, saremo sempre più circondati da centrali nucleari che non possediamo: abbiamo rischi ma non profitti e benefici. Questo grazie al cinismo di certi sinistri che da anni si sono inventati il pacifismo per sopprimerle, rendendoci sempre più esposti al ricatto dall’ incombente islamismo. Ma allora se il quadro internazionale volge al peggio, invece di cincischiare in logoranti diatribe di “palazzo”, perchè non prendere di petto il problema energetico, valutando la fattibilità di altre fonti rinnovabili? Non vorremo azzardare ipotesi, però allo stato, sembra che si aspetti che il petrolio superi la soglia 100 dollari per poter dire: beh è il momento di metterci a discutere su costi e benefici.

Francesco Pugliarello

sabato 3 novembre 2007

SIAMO AL FALLIMENTO DELLO STATO DI DIRITTO?

Franco Frattini, vicepresidente della Commissione di Bruxelles incaricato dell'immigrazione, ritiene che l'Italia resti la sola dei grandi paesi europei a non essersi conformata alla direttiva 30 del febbraio 2007 di respingere i cittadini "non aventi mezzi per soddisfare i loro bisogni".

Lo accusa in particolare di una tolleranza "eccessiva" nei confronti dei rumeni per avere abolito le misure adottate nel 2004 che sottoponevano la loro entrata sul territorio al conseguimento di un'occupazione.
Il governo Prodi "si è spiegato la gravità della situazione soltanto quando ne non ha più avuto il controllo",
Questo si legge su alcuni giornali francesi.

I rom sono emarginati ed usati nel loro Paese, ma se combinano qualche guaio vengono sottoposti a pesantissime pene restrittive. Qualcuno da noi si permette di condannare i nostri che li sfruttano col caporalato.
Prodi lo sapeva quando stava per aprire la frontiera alla Romania a cosa saremmo andati incontro. Poco è cambiato in quello Stato da quando per scappare dalla tirannia si tuffavano nel Danubio rischiando le mitragliate dei cecchini. Lo sapevano tutti. Lo sapevo anch’io.

Al tempo di Cheausescu (fine anni '70) soggiornai per circa un mese in quel paese. Sapendo da me ch’ero stato in quel di Craiova ed avevo rischiato la vita per una piacevole avventura, il capo dei vigili del fuoco di Timisoara mi confidò : “vedrai faremo quanto prima la rivoluzione contro il satrapo, chiameremo i disperati di quelle zone malfamate come la Transilvania e la regione di Craiova (infestate di rom) al momento giusto, per dare sostegno alla cittadinanza che non ce la fa più”.

Ricordate il ministro Ferrero quando appena il mese scorso in una riunione alla Camera del Lavoro di Milano incitava alla rivolta i rappresentanti degli immigrati contro i Consolati per la lentezza delle pratiche di ricongiungimento? Ebbene ora se ne lava le mani: in Consiglio dei Ministri, sul decreto sicurezza si astiene.

Tutti sanno che molti Comuni, almeno per certo qui a Firenze, fino ad ieri hanno elargito 30 euro a capo a quelli dei campi nomadi per tenerli buoni, imponendo ai loro figli di frequentare le nostre scuole e tanti altri benefici a carico delle nostre comunità, oggi che Veltroni deve far “carriera” Prodi cavalca l’ira della gente cacciandoli brutalmente.

Per decenni ci hanno abbuffato di pietismo verso i diseredati, i negletti del mondo (pensiamo ai viaggi in africa “der nutella”), solo oggi si accorgono che costoro sono irrecuperabili.

Un pietismo ed una ipocrisia stucchevoli che smascherano chiaramente le loro intenzioni elettoralistiche per la fame di potere.

L’unica cosa che posso augurarmi è che questi signori del pietismo d’accatto si tolgano dalle scatole al più presto, prima che combinino altri danni.

Francesco Pugliarello

da: www.lisistrata.com

giovedì 1 novembre 2007

IL GRIDO DI ALLARME DEI 138 SAGGI MUSULMANI

L'Islam cerca il dialogo ma non condanna il suo terrorismo


Poco o nulla di particolarmente degno di interesse nella lettera dei 138 saggi musulmani del 13 ottobre indirizzata al Papa ed ai Capi cristiani diffusi nel mondo. Un modo abile per accattivarsi la simpatia del mondo occidentale, "erroneamente considerato ancora cristiano"; la consueta tattica del bastone e della carota, di cui gli islamici sono maestri. Unica nota positiva è quella di veder condiviso un possibile confronto tra sunniti, sciiti e sette che per secoli si sono combattuti tra loro alla conquista di “Dar al-Harb”, una civiltà come la nostra: una sorta “hudna” tregua, armistizio, in una fase storica molto delicata per i destini del mondo.

Il documento, pur ispirandosi a principii di ordine religioso, assume un valore prevalentemente etico e politico dal momento che viene sottoscritto da studiosi e consulenti appartenenti a ben 43 Stati a maggioranza islamica e promosso da un sovrano illuminato come il re di Giordania, Abd Allah II, alleato degli USA e di Israele. Sebbene indirizzata alla cristianità, la lettera ha un carattere multifronte. Vuole essere un monito lanciato a tutti i fondamentalismi, a quelli cioè “che provano piacere nel conflitto e nella distruzione, mettendo in gioco la stessa sopravvivenza del mondo”.
Il nocciolo della lettera è permeata da un malcelato timore di un incombente conflitto laddove invoca: “….facciamo almeno in modo che le nostre differenze non provochino odio e conflitti tra noi che rappresentiamo il 55% della popolazione di questa terra” (Capo III). Ma non si capisce se questo appello all’unitarietà sia indirettamente indirizzata a contrastare la corrente religiosa wahabo-salafita - quella che sparge terrore nel mondo - oppure è un messaggio trasversale rivolto all’Occidente quando denuncia che tutto potrà andare come previsto “…a condizione che i cristiani non dichiarino la guerra”.

Richiamando per analogia le citazioni degli evangelisti e delle sure coraniche del periodo meccano che figurano nella “Sura della tavola imbandita”, essi sostengono che “è possibile una convivenza nella diversità”, astenendosi però cautamente dal citarle. Un buonismo stucchevole, peraltro intempestivo che mette in guardia alcuni maggiori osservatori dell’islam come Magdi Allam, Lee Harris e Carlo Panella, quando ci avvertono che il documento può essere una “trappola” o peggio un “falso ideologico”, dal momento che tacciono sul resto dei passaggi cranici più controversi, specialmente quelli riferiti al periodo medinese, dopo l’”egira”. Difatti fra tanta deferenza stridono le firme di alcuni antisemiti come Yasser Ahmed al Tayeb rettore dell’università sunnita al Hazar o come Ahmed al Kubaisi ex consigliere di Saddam Ussein, che sostengono apertamente le azioni di martirio, tacendo che la guerra all’Occidente è già stata dichiarata dal fondamentalismo maturato in seno alla loro civiltà. Per questa ragione i nostri critici, la considerano una spudorata dissimulazione per la retorica e per le forti ambiguità di cui è intriso il documento.

Come ci fa notare l’arabista Samir Khalil Samir, le maggiori ambiguità si riscontrano in alcuni passi tradotti dall’arabo alle nostre lingue. Fra le tante, sicuramente la più inquietante, riscontrata peraltro anche dal rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni, mentre il testo arabo si richiama al Nuovo Testamento, nelle nostre lingue viene tradotto in “Bibbia”, lasciando intendere ai lettori arabi di aver escluso la realtà ebraica che in questo momento storico invece è centrale. Samir ci riferisce inoltre che nelle nostre versioni (italiano, inglese, francese, e tedesco) si cita genericamente Gesù Cristo, mentre nel testo originale si insiste nel considerarLo non figlio di Dio ma il Messia, “Issa al Massih”. Stesso peso lo si riscontra nelle affermazioni “come si legge nel Vangelo…”, mentre, citando il Corano, essi scrivono “Dio ha detto …”. Infine, per sostenere l’unicità di Dio, che tale è nella visione islamica, mettono ancora una volta in discussione la validità dei testi di San Paolo allorché, introducendo la Trinità divina, avrebbe violato il messaggio originale cristiano.

Da queste brevi considerazioni, il tentativo di ricerca di un dialogo col mondo cristiano testimonia le insormontabili difficoltà interne in cui si dibatte l’islam a causa di elementi spuri che negli ultimi decenni, sfruttando la superstizione e la fede, dopo qualche secolo di straordinario splendore, avrebbero mutato radicalmente tutti i presupposti coranici su cui per millenni si è fondata una religione che, all’impatto con la modernità non è stata in grado di trovare alcuna via d’uscita dalla tribalità in cui si era cacciata. In buona sostanza questo documento rappresenta una invocazione di aiuto, ancora una volta però privo del coraggio di denunciare i loro carnefici. Ciononostante, considerato lo sforzo profuso per un confronto, a fronte dei tanti intrapresi dalla cristianità, questo secondo tentativo, dopo quello dei 38 dell’anno scorso, potrebbe anche essere accolto, a condizione che si prendano di petto le questioni concrete, della libertà religiosa, del rispetto assoluto dei diritti umani, del rapporto tra religione e politica e dell’uso della violenza, non dimenticando le lezioni della storia e cercando si evitare atteggiamenti aggressivi che possano provocare reazioni negative: la scaltrezza, la suscettibilità ed il vittimismo degli islamici non ha pari in tutto il mondo .

Francesco Pugliarello

da: l'Occidentale.it
D:\Documents and Settings\Francesco.SN103704780312\Desktop\
con il titolo: \L'Islam cerca il dialogo ma non condanna il terrorismo 3.10.2007.mht