domenica 2 dicembre 2007

Il mio, il nostro '68: la ricerca dell'identità con gli angeli del cosclostile

Riflessioni sulla manifestazione femminista di Roma 24 novembre 2007

La tanto discussa manifestazione delle donne a Roma contro la violenza su di loro, credo abbia evocato in alcuni osservatori squarci di vita vissuta di un’epoca particolare che, per ragioni anagrafiche, la nuova generazione non conosce direttamente e che va sotto il nome di contestazione sessantottina Nell’autunno del fatidico 1968 ero studente-lavoratore all’Università, quella che veniva accusata di essere “uno strumento di classe”. La mia, come tante facoltà, restò occupata a lungo costringendomi a ritardare di un anno la discussione della tesi. Ricordo che nell’atrio dell’ateneo era stato portato un vecchio ciclostile attorno al quale gruppi di colleghi, rigorosamente in eskimo e scarponcini, a turno, preparavano “l’arma segreta dell’agitazione” stampando migliaia di volantini che successivamente servirono a redigere le famose “tesi”, poi riportate in parte nei famosi “Quaderni Piacentini”. Questo compito meramente esecutivo, ma gratificante, venne affidato alle donne: le eroine del ’68 che coralmente chiamammo “gli angeli del ciclostile”. Ai piani superiori si tenevano assemblee fiume in cui si parlava dell’universo mondo: passi "rimasticati" da alcuni testi della scuola di Francoforte e dell’idolo del momento, Herbert Marcuse, “L’uomo a una dimensione”, in cui si metteva sotto accusa la società. Mai letti integralmente.

Ricordo frasi fumose, retoriche, totalizzanti, espresse con veemenza, talvolta con rabbia, infarcite da migliaia di "cioè" che incitavano alla violenza, alla prevaricazione, alla conquista del mondo, della femmina, della strada, della libertà. Un puro e semplice antagonismo radicale contro tutte le strutture sociali elaborate nei decenni precedenti che, secondo molti osservatori, si serviva delle rielaborazioni delle vecchie ideologie ottocentesche, perciò prive di nuove proposte politiche. Tutti riconoscono però essere stato un periodo fantastico, un vorticoso movimento di energia vitale e di grande creatività.

Alcuni anni dopo (nel 1976), in ricordo di quei giorni Marco Lombardo Radice e Lidia Ravera, due giovani intellettuali di sinistra, pubblicano per la Savelli un libro provocatorio a sfondo sessuo-politico dal titolo “Porci con le ali”: una sorta di diario scritto a quattro mani da due adolescenti, che si incontrano, si amano, poi si lasciano per ritrovarsi in una delle tante manifestazioni "di sangue" degli anni settanta, divenuto immediatamente un vero e proprio caso letterario, apprezzato”in modo quasi plebiscitario dai giovani dell'epoca” e salutato con entusiasmo dai critici da cui venne tratto anche in film. Oggi l’autrice giudica il suo romanzo “una prova dei nervi e dell'equilibrio, del tasso di autostima, della modestia e dell'ambizione”,sensazioni di onnipotenza e di debolezza che sorreggevano tutti i giovani di quell’epoca. Alcuni sostengono che questo è un libro che abbatte i miti: “in primis, quello del maschio forte a tutti i costi, che non potrebbe star male per una donna che lo rifiuta, ma anche quello del femminismo esasperato, che in realtà genera egocentrismo e soprattutto solitudine”. Probabilmente è quanto è successo nella manifestazione di quel sabato di novembre a Roma in cui germinavano inconsciamente istinto e sentimenti nobili, gli stessi che provavamo noi padri in quel non troppo lontano 1968. Taluni vedono quel periodo come un tragico imbroglio, tal’altri la vera liberazione dallo schiavismo politico e sociale, io preferisco vederlo come il momento più esaltante della nostra esistenza che nel tempo è degenerato in vecchi rottami che si riparano sotto la lugubre ombra dell’integralismo islamico: estremo, sanguinario rifugio di tutte le ideologie dell’odio e della massificazione.

A quel tempo mi interessava solo crescere e in fretta, studiare, scoprire la mia identità, trovare il mio equilibrio nel rapporto con chi dell’altro sesso volesse condividere l’angoscia esistenziale del vivere quotidiano. Il primo interesse degli “arringatori di turno” era farsi notare dalle ragazze per fare “movimento”. Fuori, sotto le finestre dell’università le mattine seguenti, si potevano rinvenire decine di preservativi, simboli delle notti d’amore trascorse dai compagni asserragliati all’interno dell’ateneo. Inizialmente per molti di noi era questo il miglior diletto e lo scopo del movimento, dove, “fare movimento”, almeno a Napoli, si intende fare all’amore. Un’orgia di sesso e di idee in cui il maschio e la femmina denudavamo la loro anima al cospetto dell’altro/a, non solo per la ricerca del piacere ma principalmente per conoscerci, per misurarci con l'altro da sè, ma che in fondo cercavamo la stessa cosa: liberarci dal giogo che la famiglia e la società ci avevano cucito addosso. In quel tripudio giovanile scoprimmo che la donna era allo stesso tempo Angelo e Demonio e che l’equilibrio doveva essere ricercato nell’armonia dei contrasti. Oggi però i termini equilibrio e identità sono parole che a molti non piace, soprattutto a coloro che di quel periodo hanno assorbito la mentalità del pensiero debole, secondo cui “non bisogna parlare né di identità dell’io o del soggetto umano, né di identità italiana, né di identità europea o di identità occidentale, né di identità cristiana, né di qualsivoglia identità”.

Fu proprio durante queste occupazioni che vennero inventate le tecniche di organizzazione collettiva e i modi di azione politica che avrebbero fatto scuola e che abbiamo rivissuto sabato 24 novembre in quella manifestazione femminista, bella, pacifica, gioiosa ed anche commovente, ma che i vecchi sessantottini, oggi al potere, con la connivenza dei giornali e della TV hanno cinicamente tentato di "mettere il cappello" su una tematica che nel tempo avevano fatto incancrenire oscurando la rinascita di un movimento oramai più maturo. Questo tentativo è l’espressione di un “politico” che ancora non ha trovato la sua vera dimensione nel servizio e nella mediazione delle istanze popolari. Allora si sosteneva che “il privato è politico”, ma era l’entusiasmo della prima volta, dello "stato nascente”. Con quel gesto la “politica”, quella del Palazzo, ha rivelato tutto il suo armamentario ideologico, autoritario, incapace di cogliere l’essenza delle rivendicazioni, di entrare in sintonia col popolo; un “politico” avulso dalla realtà, teso a controllare con il suo potere tutti gli spazi anche quelli privati che è tipico di certe culture minoritarie, estreme filiazioni degeneri degli anni successivi a quel mitico ‘68, che vorrebbero restaurare l’emarginazione sessista e la differenza di genere.

Francesco Pugliarello

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