mercoledì 22 aprile 2009

La deriva di Firenze tra la crociata pro-Englaro e il j'accuse dei preti "militanti"

di Francesco Pugliarello
da L'Occidentale.it

3 Aprile 2009

L’occasione della cittadinanza onoraria conferita al padre di Eluana Englaro ha riacceso nel capoluogo della rossa Toscana gli animi battaglieri di memoria medievale che si pensava fossero sopiti. D’improvviso è riapparsa una città ribelle e sempre più arroccata su sé stessa. In Palazzo Vecchio, secondo gran parte dei fiorentini si è consumata un’ennesima forzatura contraria al volere dei cittadini, dal sapore provocatorio, vetero-comunista che dal dopoguerra ha reso questa città ostaggio della sinistra più oltranzista.

Non me ne voglia il signor Englaro, se mi permetto di biasimare chi sfrutta ogni occasione per strumentalizzare il dolore e la fede altrui a proprio vantaggio. Si guardi bene da chi oggi lo esalta e lo sbandiera come un’icona per le sue battaglie politiche, perché domani, in una città dove spesso il sentimento sciovinista fa a gara con l’interesse particolare, potrebbe rivoltarglisi contro. “Una regione in cui ha avuto tanto successo l'indottrinare i propri ‘sudditi’ all'egemonia della sinistra postcomunista come facciata di democrazia” (Baget Bozzo). Di questo gli abitanti ne sono coscienti, ma la nostalgia per “baffone” in certi strati sociali è ancora viva, palpabile nelle numerosissime ex Case del Fascio, oggi Case del Popolo.

Con Beppino Englaro si è svolto un rituale che non ha precedenti, dal momento che le 22 cittadinanze conferite dal 1999 ad oggi sono state pressoché approvate con il consenso delle opposizioni. I consiglieri del PdL, per nulla consultati precedentemente, hanno bollato questa commemorazione come un “gesto di arroganza politica” dal quale “la cittadinanza onoraria ne uscirà moralmente dimezzata perchè non condivisa dall’intera città”. Mentre nel Salone de' Dugento la gente gridava «Bravo Beppino , c'è bisogno di persone così», si è sfiorato il corpo a corpo con due vigilesse contuse, fuori dal Palazzo, in Piazza della Signoria, i contestatori della Lega suonavano la grancassa a suon di slogan. Senza mai aver messo piede in questa città, senza aver mai partecipato ad una promozione culturale o a qualunque attività benemerita, il signor Beppe Englaro si trova insignito del “Giglio d’Oro” per meriti inesistenti, peraltro in assenza del primo cittadino il quale, forse prevedendo uno spettacolo poco edificante, ha preferito starne lontano, lasciando le contrapposte fazioni in balìa di loro stesse, dimostrando ancora una volta di essere “schifato della politica” (affermazione di Leonardo Domenici, intervista sul Corriere della Sera, 6 dicembre 2008).

L’esasperazione di questa città, precipitata a rango di provincia, ha radici sessantottine e la sua immagine è l’Isolotto, il quartiere ad ovest di Firenze cresciuto col “Piano Fanfani” per far posto agli immigrati assunti nelle industrie allora fiorenti come la Galileo e la Pignone. Nella piazza del quartiere sin dai primi anni ’60 il prete-operaio, don Enzo Mazzi, predicava la teologia della liberazione, una sorta di anacronistico sincretismo fra marxismo e cristianesimo. Ebbene, lo scomunicato continua a dir messa nella stessa piazza per un pugno di fedeli, lanciando strali contro la Curia fiorentina.

E’ dei giorni scorsi un altro episodio con uno dei novelli “teologi” di turno, don Alessandro Santoro, parroco del quartiere delle Piagge ( periferia a nord-ovest della città) il quale in una “casa del Popolo” gestita da Rifondazione Comunista, ha preso le distanze dalla “sua” Chiesa rappresentata dall’ex segretario della Cei Giuseppe Betori, nuovo arcivescovo di Firenze. Don Alessandro Santoro, in un impeto di livore, invece di scagliarsi contro l’incuria del Comune nei confronti del quartiere, prendendo a pretesto l’operazione Englaro, ha sferrato inopinatamente un pesante attacco ai vertici della Curia ed ai suoi correligionari, rei di aver criticato questa “premiazione”, giudicando “un baccanale osceno chi ha ostentato preghiere, rosari e parole senza senso per Eluana Englaro”.

Parole pesantissime, che potrebbero innescare ripercussioni altrettanto pesanti nel tessuto sociale di questa periferia e non solo, resa invivibile per l’alto numero di clandestini e, purtroppo, di disoccupati. Al momento la Curia non risponde alle provocazioni. Però immagino la reazione, considerando il peso della frase “io in questa Chiesa non mi riconosco…”.

Al richiamo delle sirene postcomuniste, la solidarietà di Beppino Englaro non si è fatta attendere. Dopo aver incontrato la comunità di Enzo Mazzi all’Isolotto e il giorno precedente il sindaco Leonardo Domenici, il padre di Eluana si è precipitato ad abbracciare il parroco delle Piagge: “Finalmente ti conosco!”, sono state le prime parole, poi, rivolto alla folla ha gridato: “Grazie per essermi accanto, mi date la carica per affrontare questa battaglia di vita”. Non vorrei esagerare, ma pensando alle “tenebre”, di cui parla nell’ultima enciclica Benedetto XVI (e in quelle dei suoi predecessori), si ha la sensazione che questa città sia diventata l’epicentro in cui aleggiano fantasmi che si presentano sotto le spoglie di “benefattori”, nel tentativo di ricacciare la Chiesa nelle catacombe e vederla ridotta al silenzio: quel “silenzio” che di recente ha censurato il film di Andrzej Wajda, “Il massacro di Katyn”.

Non molto tempo addietro, in un articolo apparso su un diffusissimo sito web d’ispirazione salafita, l’autore invitava a “denunciare” il cardinale Giacomo Biffi per aver inviato una raccomandazione al Governo, intesa ad “adottare maggiori controlli sugli immigrati e a far rispettare il giusto principio della reciprocità”. Tollerare accuse di intrusioni Vaticane nella vita politica del nostro Paese, da chi di commistione tra fede e politica ne ha fatto una bandiera per la propria conquista, peraltro sostenuti da certi settori politici orfani del socialismo reale, non è più tollerabile. Non reagire alle provocazioni di chi propone dialogo mentre nega la sacralità della vita, è semplicemente nichilista.

Oltre ad alimentare antiche faziosità, il ghetto che questi signori stanno ri-creando, politicizzando spudoratamente il ricordo di una creatura sfortunata come Eluana, è la riprova di una pericolosa deriva fondamentalista in cui sta precipitando questa gloriosa città. Saranno pure le prove propedeutiche di campagna elettorale, ma pochi si accorgono che dando in pasto ideologie agli indigenti, ai negletti che Cristo amava, finiscono per alimentare in loro sentimenti di disperazione. Essi non capiscono che, come diceva don Lorenzo Milani, gli “ultimi” hanno bisogno di cultura e di azioni concrete.

Presi dal furore ideologico dimenticano che verso gli indigenti la Chiesa si è sempre assunta l’onere della sussidiarietà quando le autorità locali non ottemperano al loro mandato istituzionale. Staremo a vedere quali altre alchimie politiche saranno capaci di inventarsi ora che i Vescovi scendono in campo contro la pesante crisi economica, istituendo, in accordo con l'Abi, un fondo di garanzia di trenta milioni di euro per le famiglie più bisognose: cinquecento euro di sussidio al mese per pagare l'affitto o il mutuo, con il denaro erogato dalle banche sotto forma di un prestito garantito da un fondo alimentato dalla Cei.

http://www.loccidentale.it/articolo/la+deriva+morale+di+firenze%2C+eternamente+divisa+tra+guelfi+

Firenze, CRONACA DI UNA DISFATTA ANNUNCIATA

Quel vizietto di vedere nell’avversario un nemico da annientare.

Brutto vizio, duro a morire, quello di demonizzare l’avversario che non la pensa come te. Per la sinistra nostrana l’avversario politico è un nemico da abbattere. E’ la cultura del sospetto che pervade il nostro Paese e qui, a Firenze, è dominante al punto che se il tuo migliore amico ti vede dialogare con chi non la pensa come te, allora vieni additato come colui che sta tramando per farti del male. Questo malcostume è stato bene interpretato da Curzio Malaparte quando in “Maledetti toscani” descriveva il carattere tipico della fiera toscanità, secondo cui “C’è più gusto pugnalare un amico che un nemico”. Il “Non ti curar di loro ma guarda e passa” di dantesca memoria si è trasformato in questa nuova elaborazione culturale che da almeno un trentennio imperversa nella città del giglio con le note conseguenze della paralisi amministrativa.

Bene ha descritto questo sentimento Michele Brambilla ne “Il paese dei nemici” apparso ieri sul Giornale. Trattando dell’arroganza di Santoro nelle puntate di “Annozero” sul terremoto in Abruzzo, Brambilla evidenzia come molti a sinistra tartufescamante hanno taciuto il loro dissenso“per scarsa onestà intellettuale sulla volgarità e sulla inusitata violenza di quelle trasmissioni”. Forse è di questo che certi sinistri godono? Come ne godono quando denigrano il Capo del Governo e lo additano a loro nemico? Anni di cattocomunismo hanno prodotto nel tessuto mentale di molti fiorentini un pensiero unico che va nel segno che tutto ciò che proviene da Berlusconi e il suo mondo è sbagliato; tutto ciò che è contro Berlusconi e il suo mondo è giusto.

Eppure c’è chi come Franceschini si cimenta a fare il suo biografo. Non passa giorno in cui viene rimbrottato per certe sue giovanili esuberanze; lo stimola nella famosa frase “Berlusconi pensi a lavorare”, si preoccupa, “Berlusconi è al tramonto della sua esperienza”. Sono segnali di grande confusione che regna nelle pieghe della sinistra nostrana, rasentando la schizofrenia. Gli studi sul condizionamento prodotti da Ivan Pavlov alla fine dell’800, sono stati bene assimilati. Essi stanno ad indicare la capacità di provocare in un animale, fornendogli stimoli sensoriali che normalmente non ne sarebbero capaci, secrezioni ghiandolari e reazioni riflesse. Un “riflesso pavloviano” appunto quello che spinge certi “attaché” della sinistra italiana a vivere l’esperienza emotiva che essi considerano passione politica, ma che di passione altro non c’è che la brama del potere e del denaro.

La disfatta della giunta Domenici, avvenuta l’altro giorno in Palazzo Vecchio a poco meno di cinquanta giorni dalle elezioni amministrative, è appunto il frutto di un riflesso pavloviano. Anche questa volta, come per il Governo Prodi, per motivi tutti interni alla coalizione di sinistra che aveva evidenziato un pressappochismo gestionale che non ha pari in nessuna città italiana, forse quello di Roma, quando era governata da Rutelli: la bocciatura del famigerato piano strutturale che doveva disegnare il futuro di Firenze, inviso al Pdl. Una diatriba politica che si trascinava stancamente da almeno dieci anni e che vide le prime crepe nei sequestri del centro polifunzionale del quartiere direzionale di Novoli e della “cittadella viola” con annesso il nuovo stadio di Castello contro il progetto Della Valle. In quell’occasione (marzo 2008) vide implicati in affari tutt’altro che trasparenti assessori storici come Graziano Cioni, lo “sceriffo”, ed altri esponenti della Giunta fiorentina a seguito della pubblicazione di intercettazioni telefoniche poco edificanti.

Il “riflesso condizionato” contro il nemico Berlusconi dal quale il candidato Matteo Renzi ha fatto suo quasi integralmente il progetto di grande metropoli, ha sortito il suo effetto condannando l’asse Renzi-Domenici a soccombere sotto i macigni del diniego degli alleati della sinistra (Socialisti e Arcobaleno) nelle votazioni più rilevanti prima di chiudere il mandato amministrativo, come appunto lo strumento urbanistico e la gestione dei servizi pubblici schiacciati da un pauroso deficit di bilancio. In altre parole a quaranta giorni dalle elezioni comunali, la coalizione che sostiene il candidato sindaco Pd Matteo Renzi si è dissolta come si dissolse nel 2006 l’Ulivo prodiano. Dopo che Cioni, il decano degli assessori Pd, constata che “con questa sinistra è difficile governare”, il giovane Renzi, in attesa che gli animi bellicosi si rasserenino, si da alla fuga dall’ “inferno fiorentino” verso i lager di Auschwitz dove spera di trovare ispirazioni per rinverdire nuove forme di antifascismo, cui pochi ormai credono più. Sapranno capaci questa volta i fiorentini di capire la lezione?

Francesco Pugliarello

venerdì 17 aprile 2009

L' ETERNA LOTTA TRA GUELFI E GHIBELLINI, LA DERIVA DI FIRENZE

La crociata pro-Englaro e il j'accuse dei preti "militanti"
di Francesco Pugliarello
da L'Occidentale .it

L’occasione della cittadinanza onoraria conferita al padre di Eluana Englaro ha riacceso nel capoluogo della rossa Toscana gli animi battaglieri di memoria medievale che si pensava fossero sopiti. D’improvviso è riapparsa una città ribelle e sempre più arroccata su sé stessa. In Palazzo Vecchio, secondo gran parte dei fiorentini si è consumata un’ennesima forzatura contraria al volere dei cittadini, dal sapore provocatorio, vetero-comunista che dal dopoguerra ha reso questa città ostaggio della sinistra più oltranzista.

Non me ne voglia il signor Englaro, se mi permetto di biasimare chi sfrutta ogni occasione per strumentalizzare il dolore e la fede altrui a proprio vantaggio. Si guardi bene da chi oggi lo esalta e lo sbandiera come un’icona per le sue battaglie politiche, perché domani, in una città dove spesso il sentimento sciovinista fa a gara con l’interesse particolare, potrebbe rivoltarglisi contro. “Una regione in cui ha avuto tanto successo l'indottrinare i propri ‘sudditi’ all'egemonia della sinistra postcomunista come facciata di democrazia” (Baget Bozzo). Di questo gli abitanti ne sono coscienti, ma la nostalgia per “baffone” in certi strati sociali è ancora viva, palpabile nelle numerosissime ex Case del Fascio, oggi Case del Popolo.

Con Beppino Englaro si è svolto un rituale che non ha precedenti, dal momento che le 22 cittadinanze conferite dal 1999 ad oggi sono state pressoché approvate con il consenso delle opposizioni. I consiglieri del PdL, per nulla consultati precedentemente, hanno bollato questa commemorazione come un “gesto di arroganza politica” dal quale “la cittadinanza onoraria ne uscirà moralmente dimezzata perchè non condivisa dall’intera città”.
Mentre nel Salone de' Dugento la gente gridava «Bravo Beppino, c'è bisogno di persone così», si è sfiorato il corpo a corpo con due vigilesse contuse, fuori dal Palazzo, in Piazza della Signoria, i contestatori della Lega suonavano la grancassa a suon di slogan. Senza mai aver messo piede in questa città, senza aver mai partecipato ad una promozione culturale o a qualunque attività benemerita, il signor Beppe Englaro si trova insignito del “Giglio d’Oro” per meriti inesistenti, peraltro in assenza del primo cittadino il quale, forse prevedendo uno spettacolo poco edificante, ha preferito starne lontano, lasciando le contrapposte fazioni in balìa di loro stesse, dimostrando ancora una volta di essere "schifato della politica" (affermazione di Leonardo Domenici, intervista sul Corriere della Sera, 6 dicembre 2008).

L’esasperazione di questa città, precipitata a rango di provincia, ha radici sessantottine e la sua immagine è l’Isolotto, il quartiere ad ovest di Firenze cresciuto col “Piano Fanfani” per far posto agli immigrati assunti nelle industrie allora fiorenti come la Galileo e la Pignone. Nella piazza del quartiere sin dai primi anni ’60 il prete-operaio, don Enzo Mazzi, predicava la teologia della liberazione, una sorta di anacronistico sincretismo fra marxismo e cristianesimo. Ebbene, lo scomunicato continua a dir messa nella stessa piazza per un pugno di fedeli, lanciando strali contro la Curia fiorentina.

E’ dei giorni scorsi un altro episodio con uno dei novelli “teologi” di turno, don Alessandro Santoro, parroco del quartiere delle Piagge (periferia a nord-ovest della città) il quale in una “casa del Popolo” gestita da Rifondazione Comunista, ha preso le distanze dalla “sua” Chiesa rappresentata dall’ex segretario della Cei Giuseppe Betori, nuovo arcivescovo di Firenze.
Don Alessandro Santoro, in un impeto di livore, invece di scagliarsi contro l’incuria del Comune nei confronti del quartiere, prendendo a pretesto l’operazione Englaro, ha sferrato inopinatamente un pesante attacco ai vertici della Curia ed ai suoi correligionari, rei di aver criticato questa “premiazione”, giudicando “un baccanale osceno chi ha ostentato preghiere, rosari e parole senza senso per Eluana Englaro”.

Parole pesantissime, che potrebbero innescare ripercussioni altrettanto pesanti nel tessuto sociale di questa periferia e non solo, resa invivibile per l’alto numero di clandestini e, purtroppo, di disoccupati. Al momento la Curia non risponde alle provocazioni. Però immagino la reazione, considerando il peso della frase “io in questa Chiesa non mi riconosco…”.

Al richiamo delle sirene postcomuniste, la solidarietà di Beppino Englaro non si è fatta attendere. Dopo aver incontrato la comunità di Enzo Mazzi all’Isolotto e il giorno precedente il sindaco Leonardo Domenici, il padre di Eluana si è precipitato ad abbracciare il parroco delle Piagge: “Finalmente ti conosco!”, sono state le prime parole, poi, rivolto alla folla ha gridato: “Grazie per essermi accanto, mi date la carica per affrontare questa battaglia di vita”. Non vorrei esagerare, ma pensando alle “tenebre”, di cui parla nell’ultima enciclica Benedetto XVI (e in quelle dei suoi predecessori), si ha la sensazione che questa città sia diventata l’epicentro in cui aleggiano fantasmi che si presentano sotto le spoglie di “benefattori”, nel tentativo di ricacciare la Chiesa nelle catacombe e vederla ridotta al silenzio: quel “silenzio” che di recente ha censurato il film di Andrzej Wajda, “Il massacro di Katyn”.

Non molto tempo addietro, in un articolo apparso su un diffusissimo sito web d’ispirazione salafita, l’autore invitava a “denunciare” il cardinale Giacomo Biffi per aver inviato una raccomandazione al Governo, intesa ad “adottare maggiori controlli sugli immigrati e a far rispettare il giusto principio della reciprocità”.

Tollerare accuse di intrusioni Vaticane nella vita politica del nostro Paese, da chi di commistione tra fede e politica ne ha fatto una bandiera per la propria conquista, peraltro sostenuti da certi settori politici orfani del socialismo reale, non è più tollerabile. Non reagire alle provocazioni di chi propone dialogo mentre nega la sacralità della vita, è semplicemente nichilista.

Oltre ad alimentare antiche faziosità, il ghetto che questi signori stanno ricreando, politicizzando spudoratamente il ricordo di una creatura sfortunata come Eluana, è la riprova di una pericolosa deriva fondamentalista in cui sta precipitando questa gloriosa città. Saranno pure le prove propedeutiche di campagna elettorale, ma pochi si accorgono che dando in pasto ideologie agli indigenti, ai negletti che Cristo amava, finiscono per alimentare in loro sentimenti di disperazione. Essi non capiscono che, come diceva don Lorenzo Milani, gli “ultimi” hanno bisogno di cultura e di azioni concrete.

Presi dal furore ideologico dimenticano che verso gli indigenti la Chiesa si è sempre assunta l’onere della sussidiarietà quando le autorità locali non ottemperano al loro mandato istituzionale. Staremo a vedere quali altre alchimie politiche saranno capaci di inventarsi ora che i Vescovi scendono in campo contro la pesante crisi economica, istituendo, in accordo con l'Abi, un fondo di garanzia di trenta milioni di euro per le famiglie più bisognose: cinquecento euro di sussidio al mese per pagare l'affitto o il mutuo, con il denaro erogato dalle banche sotto forma di un prestito garantito da un fondo alimentato dalla Cei.

domenica 5 aprile 2009

La deriva di Firenze tra la crociata pro-Englaro e il j'accuse dei preti "militanti"

L'eterna lotta tra Guelfi e Ghibellini

L’occasione della cittadinanza onoraria conferita al padre di Eluana Englaro ha riacceso nel capoluogo della rossa Toscana gli animi battaglieri di memoria medievale che si pensava fossero sopiti. D’improvviso è riapparsa una città ribelle e sempre più arroccata su sé stessa. In Palazzo Vecchio, secondo gran parte dei fiorentini si è consumata un’ennesima forzatura contraria al volere dei cittadini, dal sapore provocatorio, vetero-comunista che dal dopoguerra ha reso questa città ostaggio della sinistra più oltranzista.

Non me ne voglia il signor Englaro se mi permetto di biasimare chi sfrutta ogni occasione per strumentalizzare il dolore e la fede altrui a proprio vantaggio. Si guardi bene da chi oggi lo esalta e lo sbandiera come un’icona per le sue battaglie politiche, perché domani, in una città dove spesso il sentimento sciovinista fa a gara con l’interesse particolare, potrebbe rivoltarglisi contro. “Una regione in cui ha avuto tanto successo l'indottrinare i propri ‘sudditi’ all'egemonia della sinistra postcomunista come facciata di democrazia” (Baget Bozzo). Di questo gli abitanti ne sono coscienti, ma la nostalgia per “baffone” in certi strati sociali è ancora viva, palpabile nelle numerosissime ex Case del Fascio, oggi Case del Popolo.
Con Beppino Englaro si è svolto un rituale che non ha precedenti, dal momento che le 22 cittadinanze conferite dal 1999 ad oggi sono state pressoché approvate con il consenso delle opposizioni. I consiglieri del PdL, per nulla consultati precedentemente, hanno bollato questa commemorazione come un “gesto di arroganza politica” dal quale “la cittadinanza onoraria ne uscirà moralmente dimezzata perchè non condivisa dall’intera città”.

Mentre nel Salone de' Dugento la gente gridava «Bravo Beppino , c'è bisogno di persone così», si è sfiorato il corpo a corpo con due vigilesse contuse, fuori dal Palazzo, in Piazza della Signoria, i contestatori della Lega suonavano la grancassa a suon di slogan. Senza mai aver messo piede in questa città, senza aver mai partecipato ad una promozione culturale o a qualunque attività benemerita, il signor Beppe Englaro si trova insignito del “Giglio d’Oro” per meriti inesistenti, peraltro in assenza del primo cittadino il quale, forse prevedendo uno spettacolo poco edificante, ha preferito starne lontano, lasciando le contrapposte fazioni in balìa di loro stesse, dimostrando ancora una volta di essere “schifato della politica” (affermazione di Leonardo Domenici, intervista sul Corriere della Sera, 6 dicembre 2008).

L’esasperazione di questa città, precipitata a rango di provincia, ha radici sessantottine e la sua immagine è l’Isolotto, il quartiere ad ovest di Firenze cresciuto col “Piano Fanfani” per far posto agli immigrati assunti nelle industrie allora fiorenti come la Galileo e la Pignone. Nella piazza del quartiere sin dai primi anni ’60 il prete-operaio, don Enzo Mazzi, predicava la teologia della liberazione, una sorta di anacronistico sincretismo fra marxismo e cristianesimo. Ebbene, lo scomunicato continua a dir messa nella stessa piazza per un pugno di fedeli, lanciando strali contro la Curia fiorentina.
E’ dei giorni scorsi un altro episodio con uno dei novelli “teologi” di turno, don Alessandro Santoro, parroco del quartiere delle Piagge ( periferia a nord-ovest della città) il quale in una “casa del Popolo” gestita da Rifondazione Comunista, ha preso le distanze dalla “sua” Chiesa rappresentata dall’ex segretario della Cei Giuseppe Betori, nuovo arcivescovo di Firenze. Don Alessandro Santoro, in un impeto di livore, invece di scagliarsi contro l’incuria del Comune nei confronti del quartiere, prendendo a pretesto l’operazione Englaro, ha sferrato inopinatamente un pesante attacco ai vertici della Curia ed ai suoi correligionari, rei di aver criticato questa “premiazione”, giudicando “un baccanale osceno chi ha ostentato preghiere, rosari e parole senza senso per Eluana Englaro”.

Parole pesantissime, che potrebbero innescare ripercussioni altrettanto pesanti nel tessuto sociale di questa periferia e non solo, resa invivibile per l’alto numero di clandestini e, purtroppo, di disoccupati. Al momento la Curia non risponde alle provocazioni. Però immagino la reazione, considerando il peso della frase “io in questa Chiesa non mi riconosco…”.
Al richiamo delle sirene postcomuniste, la solidarietà di Beppino Englaro non si è fatta attendere. Dopo aver incontrato la comunità di Enzo Mazzi all’Isolotto e il giorno precedente il sindaco Leonardo Domenici, il padre di Eluana si è precipitato ad abbracciare il parroco delle Piagge: “Finalmente ti conosco!”, sono state le prime parole, poi, rivolto alla folla ha gridato: “Grazie per essermi accanto, mi date la carica per affrontare questa battaglia di vita”. Non vorrei esagerare, ma pensando alle “tenebre”, di cui parla nell’ultima enciclica Benedetto XVI (e in quelle dei suoi predecessori), si ha la sensazione che questa città sia diventata l’epicentro in cui aleggiano fantasmi che si presentano sotto le spoglie di “benefattori”, nel tentativo di ricacciare la Chiesa nelle catacombe e vederla ridotta al silenzio: quel “silenzio” che di recente ha censurato il film di Andrzej Wajda, “Il massacro di Katyn”.

Non molto tempo addietro, in un articolo apparso su un diffusissimo sito web d’ispirazione salafita, l’autore invitava a “denunciare” il cardinale Giacomo Biffi per aver inviato una raccomandazione al Governo, intesa ad “adottare maggiori controlli sugli immigrati e a far rispettare il giusto principio della reciprocità”. Tollerare accuse di intrusioni Vaticane nella vita politica del nostro Paese, da chi di commistione tra fede e politica ne ha fatto una bandiera per la propria conquista, peraltro sostenuti da certi settori politici orfani del socialismo reale, non è più tollerabile. Non reagire alle provocazioni di chi propone dialogo mentre nega la sacralità della vita, è semplicemente nichilista.
Oltre ad alimentare antiche faziosità, il ghetto che questi signori stanno ri-creando, politicizzando spudoratamente il ricordo di una creatura sfortunata come Eluana, è la riprova di una pericolosa deriva fondamentalista in cui sta precipitando questa gloriosa città. Saranno pure le prove propedeutiche di campagna elettorale, ma pochi si accorgono che dando in pasto ideologie agli indigenti, ai negletti che Cristo amava, finiscono per alimentare in loro sentimenti di disperazione. Essi non capiscono che, come diceva don Lorenzo Milani, gli “ultimi” hanno bisogno di cultura e di azioni concrete.

Presi dal furore ideologico questi professionisti della politica dimenticano che verso gli indigenti la Chiesa si è sempre assunta l’onere della sussidiarietà quando le autorità locali non ottemperano al loro mandato istituzionale. Quali altre "alchimie" saranno capaci di inventarsi questi giullari della politica ora che i Vescovi scendono in campo contro la pesante crisi economica, istituendo, in accordo con l'A.b.i., un fondo di garanzia di trenta milioni di euro per le famiglie più bisognose? Trattasi di cinquecento euro di sussidio al mese per pagare l'affitto o il mutuo, con il denaro erogato dalle banche sotto forma di un prestito garantito da un fondo alimentato dalla Cei.

di Francesco Pugliarello
from: www.loccidentale.it

http://www.loccidentale.it/articolo/la+deriva+morale+di+firenze%2C+eternamente+divisa+tra+guelfi+e+ghibellini.0069025

mercoledì 1 aprile 2009

SCALFARI ALLE CORDE

SCALFARI ALLE CORDE

di Gianni Baget Bozzo
bagetbozzo@ragionpolitica.it


«Meno male che c'è Fini», scrive Eugenio Scalfari. Non avevo mai immaginato di leggere una simile affermazione nella prosa del fondatore di Repubblica. Il presidente della Camera non è mai stato un allievo di Scalfari, non ha mai beneficiato della sua attenzione. Ora basta che Fini prenda qualche distanza da Berlusconi sul testamento biologico e sul referendum per pensare che egli rappresenti l'alternativa democratica a chi viene rappresentato a volte sotto il segno del nulla, a volte sotto il segno del male. Ma, ridotto ad elogiare Gianfranco Fini, il fondatore di Repubblica mostra il fallimento della sua opera, che aveva avuto tanto successo nell'indottrinare il pubblico italiano all'egemonia della sinistra postcomunista come chiave della democrazia. Non è solo una sconfitta politica, ma è una sconfitta culturale, perché vuol dire che è fuori della cultura di Repubblica e della politica di sinistra l'unica alternativa a Berlusconi oggi esistente. Ed è Scalfari a crearla, quando essa nella realtà non esiste: Gianfranco Fini può pensare di essere il successore di Berlusconi, non la sua alternativa.

Ma vi è di più in questa scelta di Scalfari di continuare, in queste condizioni, a delegittimare Berlusconi. Ciò significa delegittimare la democrazia italiana, indicare che essa è già vicino al para-fascismo in forme demitizzate. Insomma, significa che il popolo non è democratico. La democrazia non ha più seguito elettorale. Ma Scalfari non sceglie l'Aventino e Repubblica continua ad avere successo. La democrazia non conosce ostacoli. Berlusconi governa con il consenso e il Popolo della Libertà contiene molte voci ma nessuna alternativa. Scalfari, che ha concentrato su di sé la direzione della politica italiana in chiave culturale, non deve meravigliarsi che un popolo da lui sempre disprezzato si raccolga attorno a un volto in cui ha scelto di ritrovarsi. Perché Repubblica giunge a delegittimare la democrazia italiana nel suo elettorato e nelle sue scelte? Il laicismo italiano ha sempre considerato il nostro popolo come alienato dalla cultura cattolica e quindi alieno all'Occidente e redento soltanto da élites culturali non cattoliche che si sottraevano, con la loro opposizione alla Chiesa, al peccato originale del popolo italiano: il suo cattolicesimo popolare.

Ora la democrazia italiana si raccoglie attorno all'identità di un partito che potremmo chiamare nazionale e popolare, anche se nazionale e popolare, nella cultura laicista, è tradotto come populismo, cioè in chiave di disprezzo del popolo e di chi esso esprime. Può la sinistra sottrarsi al fascino di questa scomunica della democrazia italiana, che significa la sconfitta storica della politica di sinistra, la dichiarazione che essa non è più un'alternativa? Può la sinistra essere organica alla cultura laicista che condanna nella vittoria di Berlusconi la dimensione popolare della politica italiana? Ciò non toglie il fatto che il nuovo partito appaia come una forza nazionale e popolare e che abbia già una classe dirigente di governo capace di affrontare la crisi del sistema economico mondiale. E la sinistra non fa parte di essa. È ridotta a manifestare con la Cgil e con l'Onda studentesca. Ciò significa chiamarsi fuori dalla società e dalla storia. È lecito sperare che la sinistra italiana possa giungere a pensare diversamente del fondatore di Repubblica e a comprendere che egli è stato un cattivo maestro.

(da Il Giornale del 31 marzo 2009)