venerdì 29 gennaio 2010

Chi è contro Berlusconi e perché

Chi impedisce le riforme berlusconiane?

Tra le colonne dei quotidiani di queste ultime settimane trapela un inusitato cauto ottimismo per il nuovo clima che si sarebbe instaurato fra le opposte coalizioni, pd-pdl. Sembra che il tempo dell’aggressione subìta a Milano da Berlusconi sia ormai un ricordo da far pensare che la bufera sia definitivamente passata. Molti commentatori si sono cimentati nell’analizzare le ragioni di questo repentino cambiamento attribuendolo probabilmente a un fatto umanitario, altri ancora hanno voluto ricordare il tempo dell’acredine della stampa nazionale e internazionale. Ricordiamo quando, nell’estate del 2009 il premio nobel per la letteratura Josè Saramago sulle pagine del Paìs - ripreso immediatamente dalla rivista di Flores de Arcais (detto “il marchese sanculotto”), dipingeva il nostro premier come un “un saltimbanco organizzatore di orge”, o quando Barbara Spinelli su La Stampa arrivava a definire noi italiani “clintes e sudditi di un boss mafioso”: forse memore del presidente del gruppo della sinistra europea, Martin Schulz, definito “kapò” da Berlusconi.
Mai i media erano scesi così in basso come in quel tempo!

Non illudiamoci però che quest’idillio possa durare. Prima o poi ci sarà un ingrato peone giustizialista che non esiterà a pugnalare il detestato “nemico”, ancorché si apprestasse a varare un decreto volto a salvaguardare anche il suo “particulare”. Nelle cosiddette società dell’opulenza come la nostra, i peones sono gli utili idioti, funzionali all’intelligencija e da essa prodotti in quanto buoni a creare confusione nell’elettorato al fine di mantenere lo status quo.
Giova ricordare a tal proposito di quale cultura si abbevera il “nemico” del potere legittimo.

Massimo Borghesi in un articolo su Il Giornale del 10 gennaio u.s., mutuando il termine da Alfredo Oriani – “La lotta politica in Italia” e “La rivolta ideale”- definisce “Ideologia italica” quella che si richiama alle filosofie nicciana e stirneriana, perfettamente assimilate dalle élites della vecchia borghesia che, millantando una supposta “superiorità morale”, si riconoscono in una certa sinistra nostrana. Esse, tenendo in scacco il potere legittimo nei periodi di grandi svolte democratiche, si auto attribuiscono la funzione di tutela degli interessi popolari. Questa mentalità, progressista a parole, conservatrice nei fatti, secondo il Borghesi affonderebbe le sue radici nella “mancata riforma religiosa” che avrebbe fatto maturare nell’italiano piccolo borghese una predisposizione “ideologico-emotiva” destinata a fare proseliti tra gli intellettuali dei “salotti buoni”, sì da creare un grumo di interessi particolari che nel tempo si sono saldati nel ribellismo militante fascista e comunista. Sostanzialmente è quella che Gianni Baget Bozzo attribuiva come “cultura politica nell’Italia repubblicana” un illuminismo impregnato di catto-comunismo e che Craxi perse la vita nel tentativo di metterla in crisi. Lo storico di sinistra Silvio Lanaro in un pregevole lavoro pubblicato per Einaudi nel 1988 conferma questa analisi aggiungendo che “l’attitudine all’innovazione non sembra costituire il tratto dominante della mentalità imprenditoriale italiana” (L’Italia Nuova, pagina 7).

Pertanto, quando nel panorama politico si è presentato un grande riformatore come Silvio Berlusconi che proveniva dalla società civile, sarebbe scattata quella “conventio ad excludendum” che sicuramente durerà fino alla sua scomparsa dalla scena politica, come a suo tempo si augurava D’Alema. L’acrimonia verso “l’outsider senza storia”, che il sociologo delle religioni Pietro De Marco definisce ontologica, col passare del tempo si è andata sempre più acuendo chiamando a supporto un giustizialista come Di Pietro. Per convincersi di quanto esaminato, basta osservare l’ostilità che Barak Obama sta riscuotendo da parte dei cosiddetti “progressisti americani” per le riforme annunciate. Certo è che queste lobby operando senza alcun vincolo, sono irresponsabili giacché non devono dar conto all’elettorato: avendo il privilegio di esprimersi attraverso i media (asserviti alle élites padronali), possono permettersi di giocare impunemente al tiro al piccione contro chi non sia loro funzionale. Ciò che turba maggiormente è l’irresponsabile clima di tensione di cui tutti siamo vittime che si vorrebbe impunemente scaricare su chi mette la faccia nel tentativo di recuperare il senso “alto” della politica e modernizzare un vecchio Stato burocratico-napoleonico.
Ma l’elettore contemporaneo, più attento di certa classe politica, ha capito che trappole calunniose e caricaturali, volte a destabilizzare del potere legittimo impediscono il corretto funzionamento statuale e quindi l’evoluzione democratica. Lo capì fin dal secolo scorso il primo riformatore della storia moderna, Giovanni Giolitti quando, trattandosi di votare il primo intervento in Libia, tra minacce, agitazioni di piazza e campagne di stampa, bollava la sinistra di codardia e di incapacità, rilasciando ai posteri una frase quanto mai profetica: “La sinistra non sa governare e non fa governare!”.
Sic stantibus rebus non si può che sollecitare il premier di continuare a non lasciarsi irretire da quei lobbisti che tendono ad inquinare il processo democratico e proseguire speditamente sulla strada delle riforme istituzionali così come annunciato all’indomani dell’attentato subìto in piazza del Duomo.

Francesco Pugliarello