venerdì 7 maggio 2010

PERCHE’ GORDON BROWN HA PERSO LE ELEZIONI

L’analisi del saggista e storico britannico RICHARD NEWBURY all’indomani delle elezioni 2010 in Gran Bretagna


Cos’è successo al New Labour, che con Tony Blair nel 1997 aveva vinto con una maggioranza di 179 seggi, infliggendo ai Tory la loro peggior sconfitta dal 1832?

Come mai il New Labour è finito così? Perché i Conservatori, guidati da un privilegiato come David Cameron, e i Libdem, guidati da un altro privilegiato come Nick Clegg, hanno avuto risultati così buoni? Una risposta è che il Labour di Gordon Brown è parso abbandonare quella zona sfuggente chiamata centro per quella più confortevole dell’organizzazione tribale socialista e della guerra di classe. Questo ha certamente puntellato il voto dello zoccolo duro e consentirà al partito di vivere per nuove battaglie, ma significa anche che il Labour di Gordon Brown non sta pescando là dove potrebbe intercettare quei voti fluttuanti indispensabili a una strategia vincente. Nel 2005, all’inizio delle tre settimane di campagna elettorale, i sondaggi davano Blair sconfitto con 60 seggi. Invece vinse con 65. Cos’era successo? Con il suo istinto politico, aveva intuito dove fossero le zone erogene economiche del voto fluttuante e quanto fossero progredite socialmente. L’aveva capito anche perché lui, a differenza di Brown che era nato nella «tribù» laburista scozzese, aveva «scelto» di entrare nel partito e ne era diventato il leader scalandolo dall’esterno. Per lui era stata una scelta da consumatore, come lo è quella dell’elettore fluttuante, pronto a cambiare partito come a cambiare chiesa. Nelle società pluraliste, c’è un mercato degli adepti che va conquistato.

Lo zoccolo duro degli elettori sostiene il suo partito come fosse una squadra di calcio - che vinca o che perda. L’elettore fluttuante invece sceglie secondo il suo tornaconto personale e segue il successo. E’ impossibile vincere un’elezione senza attrarre questi elettori spesso volubili, e ai partiti tocca sedurli. Tuttavia, come il centro, anche loro sono in continuo movimento. Dove vadano, è la storia della Gran Bretagna post-bellica.

Furono i reduci della Seconda Guerra Mondiale a votare massicciamente per il Labour, portando la pianificazione centralizzata del tempo di guerra nella previdenza sociale e nell’economia. I conservatori, accettando la nuova distribuzione della ricchezza, ma promettendo di regolarla meglio, nel 1951 vinsero e governarono per 13 anni. Quello che nel 1964 li fece perdere fu il fatto che venivano visti come estranei al Paese, degli aristocratici ex allievi delle grandi scuole private. Così in effetti erano Eden, MacMillan e Home. Vinse la meritocrazia nella persona del laburista Harold Wilson.

Margaret Thatcher «rubò» al Labour «Syd», l’operaio specializzato, e lo sedusse con il miraggio della proprietà. Ispirati dalla sua mossa leninista contro il Partito conservatore del «noblesse oblige», nel 1983 Tony Blair, Gordon Brown, Peter Mandelson e Alistair Campbell progettarono il New Labour per riconquistare «Syd» che però nel 1992, come ben capì Blair, era diventato un po’ più ricco e si era trasformato nel «Mondeo Man»: artigiano autonomo, con villetta bifamiliare gravata da mutuo e Ford Mondeo. Anche lui era diventato un conservatore e Blair capì che, tassando i ricchi, tassava le sue aspirazioni. Così il socialismo si trasformò nella Terza Via e nel 1997, con una maggioranza travolgente di 170 voti - un’autentica sorpresa -, il New Labour scoprì che i Mondeo Man erano milioni.

Nel 2001 l’uomo qualunque era diventato una donna, la Worcester Woman: casa più grande nei sobborghi, auto 4x4, due bambini. Voleva più soldi per scuole e ospedali e meno tasse. «Rubando» ai Tory lo schema del partenariato pubblico-privato (Private Finance Initiative) - il privato costruisce scuole, ospedali e carceri e li affitta al governo - Blair riuscì di nuovo a comperare gli elettori fluttuanti.

In questa elezione 2010 l’elettore fluttuante è stato identificato in una nuova entità socio-economica: Motorway Man, l’uomo dell’autostrada. Lui/lei vive in una delle aree residenziali costruite negli ultimi cinque anni lungo le autostrade, perché è un tecnico o un junior manager che viaggia per ore, mangia e naviga in rete nei caffè delle aree di servizio e sogna di possedere una casa più grande - e magari mandare i figli a una scuola privata diventando senior manager. L’ultima volta ha votato per Blair, ma ora non pensa più che i conservatori, e soprattutto Dave Cameron, siano estranei rispetto alla sua realtà e alle sue aspirazioni, mentre è preoccupato che la sua casa ora valga meno del mutuo.

Così la stazione di servizio dell’autostrada è diventata il campo di battaglia di questa elezione: lì, a parte gli addetti alle pompe di benzina, ci sono ben pochi elettori dello zoccolo duro Labour. Il Motorway Man ha lo stesso Dna dell’elettore fluttuante che è stato la doppia elica nel corpo Labour come in quello Tory almeno dal 1945. Tony Blair l’avrebbe identificato e inglobato in un nuovo Centro: quello dove la battaglia si vince spingendo l’avversario alle ali estreme, perché essere visti come «moderati» fa vincere le elezioni ed essere visti come «estremisti» le fa perdere.

sabato 1 maggio 2010

Il comportamento di Fini è perdente e politicamente immorale

Dalla rilettura di questi giorni degli analisti di “Farefuturo” ne ricavo le segfuenti riflessioni. Credo che la questione Fini-Berlusconi, al di là degli ‘infiocchettamenti’ dei media, sia molto più semplice di quanto si pensi.
Fini, da fine dicitore qual’è, formato alla scuola almirantiana, da quando si è autocandidato alla Presidenza della Camera, non cerca che visibilità. Oggi, chi lo ha presentato ad Almirante si dice pentito di averlo fatto: mira alla conquista del potere personale inerpicandosi tra gli specchi. “Uno psicoanalista direbbe che voglia uccidere il padre, però Almirante ha tolto l’incomodo. Ora il padre è Berlusconi” (Giovanni Salvi).
Non dimentichiamo ch'egli viene da quella scuola. Una scuola le cui radici prendono linfa dalla violenta contestazione anticomunista, ma non antiautoritaria. Non dimentichiamo quando con la kippà sul capo cosparso di cenere allo 'yad vascem' ha annunciato al mondo che "il fascismo fu il male assoluto". Non dimentichiamo quando si presenta alle fosse ardeatine proferisce questa frase: “E' stato grazie agli uomini della Resistenza che la Patria non solo sopravvisse, ma si rigenerò''. Ad essere malizioso, in quell’occasione erano presenti i rappresentanti dell’AMPI, e Napolitano... E ancora non dimentichiamo quando appena l'atro giorno nel direttivo nazionale del PDL Berlusconi gli faceva notare di essersi sempre defilato alle riunioni di presidenza. Non possiamo dimenticare quando all'indomani della designazione a presidente del Parlamento criticava l'impostazione che Berlusconi aveva dato al Partito che lui stesso aveva contribuito a fondare. Non possiamo infine dimenticare l’aspra reazione per non essere stato consultato anzitempo allorché Silvio, dal famigerato "predellino" annunciava di voler completare il disegno di un partito liberale moderno contrapposto alla cultura post comunista e postmarxista ancora dominante nei gangli dello Stato, etichettando il premier come uomo della “deriva plebiscitaria”.
Non è questo un comportamento sussiegoso a tratti tratufesco che non si attaglia ad un alta carica dello Stato? Voglia di rimettersi in gioco? Voglia di revanche? Desiderio di potere per il potere o voglia di saccheggiare l’idea federalista mai sopita in Italia? Certo col se e col ma non si può fare il processo ad alcuno, tuttavia se questi sono i fatti, laddove, come si dice dalle nostre parti, “si lisca e si loda per poi tirargliele in tasca”, allora l’atteggiamento in questi due anni di legislatura di Gianfranco verso il suo amico Silvio viene chiaramente alla luce, e diviene ancor più chiaro allorché si consideri l’affermazione risentita del presidente dell’altro ramo del Parlamento: a queste condizioni “è meglio tornare alle urne!”.
In questa ottica non si può non biasimare chi, beneficiando una posizione di potere, oggi reclama il diritto al dissenso o addirittura come inizialmente paventato, una sua corrente partitica, verso chi lo aveva "sdoganato".
Le recentissime aperture di dialogo con Berlusconi che Fini ha espresso pubblicamente nella “Terza Camera”, apparirebbero credibili se non vi fosse stato da un quindicennio uno stillicidio di critiche al Governo e al premier in ogni sua esternazione, dalle quisquilie ai temi di vitale importanza, come i problemi bioetici, la reiterata decretazione d’urgenza e il reato di immigrazione clandestina.
Ingrato, fedifrago, giuda? Vogliamo accettare questo modo di far politica? Certo, due uomini forti di temperamento e di valore etico, prima o poi vengono in conflitto. Ma quando trattasi di conflitto tra un vertice dello Stato e il capo dell’esecutivo, appaiono incomprensibili e deleterie per il Paese, tanto più se appartengono allo stesso Partito.
In ogni caso criticare pubblicamente il progetto che lo stesso onorevole Gianfranco Fini aveva contribuito a elaborare non è certo un bello spettacolo all’estero: è da sconsiderati, e come tale proseguendo su questa strada la storia e gli elettori finiranno per condannarlo.
Un’ultima riflessione. Davvero un presidente della Camera deve astenersi dal far politica? A giudicare dal modo in cui finora è stato interpretato il ruolo, non si direbbe. Iotti, Ingrao, Gronchi, Scalfaro docent. Ci provi anche lui…!
Per quanto riguarda il suo massimo “pretoriano”, Italo Bocchino, la dice lunga sulla partita che ancora sarà da giocarsi all’interno del partito. I commentatori politici più vicini al Palazzo ci fanno sapere che probabilmente le sue dimissioni “irrevocabili” presentate a ridosso della riunione dell’assemblea dei deputati chiamata a pronunciarsi, gli sarebbero state suggerite per “nascondere le divisioni tra i finiani”.

Francesco Pugliarello