giovedì 22 marzo 2007

Una rapida disamina dell'Islam e l'urgenza di compattezza in Occidente

Dopo l’”insurrezione islamica” provocata dalla lezione del Pontefice tenuta a Ratisbona, che colpendo la suscettibilità di quel coacervo di Comunità sparse nel mondo, per qualche tempo ha fatto temere il peggio e le successive orgogliose prese di posizione chiarificatrici dello stesso Pontefice nei successivi incontri con le delegazioni di quei Paesi accreditati presso la Santa Sede, va stemperandosi, è il momento di rifare un rapido punto della situazione.
Cosa mai di tanto grave avrebbe detto il Papa per risvegliare la permalosità di quei governi?
Va chiarito subito che il suo pensiero fu manipolato da alcuni media occidentali, primi fra tutti l’inglese Gardian e lo statunitense N.Y.Times i quali, estrapolando una frettolosa e fantasiosa interpretazione di alcune frasi ad effetto come ad esempio:“una ragione non allargata alla dimensione della spiritualità è una ragione che diventa irrazionale, (ancora non si sa se in buona o in mala fede), hanno eccitato le cattive coscienze di altri che immediatamente sono ricorsi a ridimensionare l’autorità di un Pontefice troppo spinto verso posizioni temporali. Rileggendo con più cura il Suo discorso, ed i successivi chiarimenti, ci si accorge che il messaggio era ecumenico e letterario, diretto cioè ai credenti nel logos (intelligenza divina) laddove denuncia un indebolimento della ragione nel mondo. L’uomo contemporaneo, secondo Ratzinger, ha l’impellente necessità di usare in ogni azione una delle prime virtù insite nell'essere umano: la Ratio, specialmente quando si tratta di comprendere le altre religioni. Ribadendo che “soltanto Ragione e Fede, se unite in un modo nuovo.., possono farci superare le minacce che emergono nella civiltà contemporanea” riconosce che senza la libertà di ricerca della verità, c’è solo menzogna. E la menzogna porta alla violenza: “… per cui la diffusione della fede mediante la violenza è cosa irragionevole… la fede è frutto dell’anima, non del corpo”. Per convincere della bontà del suo discorso, il Papa cita alcune sure del Corano (2:256) dove si legge: “Non c'è costrizione nella religione; la retta via va ben distinta dall’errore” ed ancora in (XVIII, 29) e ancora: "La verità viene dal vostro Signore: chi vuole creda, chi non vuole non creda". Andando a rileggere il Corano vi troviamo ribaditi i precedenti concetti secondo cui "Se qualcuno degli idolatri ti chiede asilo, concediglielo affinché possa udire la parola di Dio e conducilo in un luogo per lui sicuro" (IX, 6). Dunque addirittura il musulmano è tenuto a proteggere chi professa altre religioni.
Chiarito quindi che l’Islam non solo non prescrive, ma condanna la conversione con la forza, con la guerra, andiamo a vedere qual è lo statuto della guerra nell’Islâm. L’Islâm è una religione dell’equilibrio, della moderazione, direi del “giusto mezzo”. È una religione che non ama gli eccessi, le esagerazioni. Dunque se la guerra esiste, deve essere condotta all’interno di limiti ben precisi. Dice infatti il Corano: "Combattete coloro che vi combattono, ma non superate i limiti, perché Dio non ama quelli che eccedono. Uccideteli quindi ovunque li troviate […] perché l’ingiustizia è peggio dell’uccisione. […] Ma se desistono, sappiate che Dio è indulgente e misericordioso. […] Se desistono non ci siano più ostilità." (II, 190-193). E ancora: "Perché non combattete per la causa di Dio, per i più deboli tra gli uomini, le donne e i bambini che dicono: ’Signore, facci uscire da questa città di gente iniqua. Dacci per tua grazia un patrono. Dacci per tua grazia un difensore" (Corano IV, 75). Dunque la guerra è consentita solo se si è aggrediti o se si tratta di difendere un soggetto debole, incapace di difendersi ad solo. In ogni caso è assolutamente vietata la guerra di aggressione. Il musulmano non deve mai essere colui che inizia una guerra, una violenza. Pertanto per i musulmani di mentalità moderna, i versetti citati sono la prova che l’Islam è una religione tollerante!
Per alcuni commentatori le frasi citate sono alcune delle sure in cui Maometto era alla Mecca, dove ancora non era minacciato e tuttavia sperava di conquistare il popolo, inclusi cristiani ed ebrei, alla sua rivelazione mediante la predicazione e l’attività religiosa. Però nella sura 9:29 dichiara il contrario: “Combattete coloro che non credono in Allah…e quelli tra la gente del Libro che non scelgono la religione della verità, finchè non versino umilmente il tributo e siano soggiogati”. Questa sura e le successive si riferiscono al periodo in cui si era trasferito Medina ove, secondo alcuni, stringendo alleanze con alcune tribù yemenite, avrebbe abrogato i precedenti dettati irenistici. Già nel IX secolo c’era chi, come Ibn al-Rawandi, e sulla sua scia tanti altri fino ai giorni nostri, sosteneva che “il Corano è zeppo di contraddizioni, errori e assurdità”. Così a spregio degli interpreti fondamentalisti come Sa’id Hawwa e Sayyid Qutb-(“uomo perfetto?)”, maestri e ispiratori di Bin Laden, per contra insigni studiosi e critici come il libanese Muhammad Gawad Maghniyya e Abu Zayad (seconda metà del ‘900), coevi ai precedenti, dichiarano che tutti i versetti vanno contestualizzati perché riguardano ” un tempo in cui gli infedeli della penisola araba costituivano una pericolosa “quinta colonna” antimusulmana. Abu Zayad nel 1996 ha perso la cattedra per aver dimostrato che il Corano “è un prodotto culturale” scritto per arabi di quell’epoca. In quest’ultima corrente critica s’inquadra anche l’iraniana Musrat Amin (m. 1983), una delle poche donne ad aver scritto un commentario del Corano.
Va sottolineato che la seconda interpretazione è stata ripresa e teorizzata nel wahabismo proveniente dalla penisola arabica nata dall’impatto con la modernità prima e la sconfitta del califfato ottomano poi, e si è estesa lungo quasi in tutta la fascia mediterranea. Mentre la prima, quella più tollerante si è sviluppata nel sufismo a partire dall’11° secolo penetrando verso Oriente. Tuttavia sia in Oriente che in Occidente coesistono e si combattono aspramente a seconda delle circostanze storiche. Oggi la nascita dello stato di Israele (1948) ha segnato una maggiore recrudescenza da scuotere profondamente il sentimento musulmano, determinando il successo delle versioni arabe della propaganda antisemita a seguito della massiccia immigrazione anche in Europa. Siamo alla globalizzazione del terrorismo della parola (attraverso le fatwa, tipiche quelle del “Fratello” al-Qaradawi) e del terrorismo jahdista attraverso le armi asimmetriche con cui oggi i popoli di qualunque religione devono fare i conti. La qual cosa porta alla schizofrenia facendo sì che si viva “avvolti dall’ideologia e dalla mancanza di lucidità nell’analisi dei fatti” .
E’ plausibile che una possibile soluzione potrebbe essere quella di incrementare il dialogo, come in molte parti del mondo è praticata da oltre un trentennio, (a Roma fin dal 1975 presso il Pontificio Istituto di Studi Arabi). Tenendo presente le enormi difficoltà da superare, per la latente suscettibilità del mondo musulmano, la prima direttrice potrebbe essere quella promossa a Ratisbona dal Papa con l’apertura ed il potenziamento di un dialogo col mondo della cristianità, scaduta nel relativismo e nel materialismo per cui i musulmani ci condannano di irreligiosità. Ad essa va associata una presa di coscienza di alcuni valori presenti nel credo musulmano purificati ed universalizzati, anch’essi minacciati da un processo di secolarizzazione, partendo dal riconoscere l’evoluzione della donna e della famiglia. E’ recente la costituzione a Roma di un Circolo di musulmani modernisti che si richiama al grande Ibn Rushd/Averroè che sicuramente si riconoscono personalità intelligenti e libere. Può tuttavia ancora ravvisarsi qualche motivo di ottimismo che potrebbe ricavarsi dalla stessa natura totalitaria dell’ideologia, dalla brutalità e dal rigore del regime islamico, di cui è esempio l’Afghanistan sotto i talebani. Difatti “Proprio come il totalitarismo laicistico del secolo XX — nazionalsocialismo e comunismo — si è rivelato in ultima analisi insostenibile a causa dell’enorme dazio che esso imponeva sulla vita e sulla creatività dell’uomo, così avverrà per il totalitarismo religioso dell’islam radicale” (George Pell, arcivescovo di Sidney). “Se [viceversa] accettassimo il principio della legge islamica secondo cui è impedito di pronunciarci sulla sharia, “allora saremo davvero sulla strada che ci condurrà verso la loro sottomissione” (Daniel Pipes). Ma questo potrà avvenire fintanto che in Occidente continueremo a non mostrare compattezza politica.
Francesco Pugliarello

Nessun commento: