mercoledì 22 aprile 2009

Firenze, CRONACA DI UNA DISFATTA ANNUNCIATA

Quel vizietto di vedere nell’avversario un nemico da annientare.

Brutto vizio, duro a morire, quello di demonizzare l’avversario che non la pensa come te. Per la sinistra nostrana l’avversario politico è un nemico da abbattere. E’ la cultura del sospetto che pervade il nostro Paese e qui, a Firenze, è dominante al punto che se il tuo migliore amico ti vede dialogare con chi non la pensa come te, allora vieni additato come colui che sta tramando per farti del male. Questo malcostume è stato bene interpretato da Curzio Malaparte quando in “Maledetti toscani” descriveva il carattere tipico della fiera toscanità, secondo cui “C’è più gusto pugnalare un amico che un nemico”. Il “Non ti curar di loro ma guarda e passa” di dantesca memoria si è trasformato in questa nuova elaborazione culturale che da almeno un trentennio imperversa nella città del giglio con le note conseguenze della paralisi amministrativa.

Bene ha descritto questo sentimento Michele Brambilla ne “Il paese dei nemici” apparso ieri sul Giornale. Trattando dell’arroganza di Santoro nelle puntate di “Annozero” sul terremoto in Abruzzo, Brambilla evidenzia come molti a sinistra tartufescamante hanno taciuto il loro dissenso“per scarsa onestà intellettuale sulla volgarità e sulla inusitata violenza di quelle trasmissioni”. Forse è di questo che certi sinistri godono? Come ne godono quando denigrano il Capo del Governo e lo additano a loro nemico? Anni di cattocomunismo hanno prodotto nel tessuto mentale di molti fiorentini un pensiero unico che va nel segno che tutto ciò che proviene da Berlusconi e il suo mondo è sbagliato; tutto ciò che è contro Berlusconi e il suo mondo è giusto.

Eppure c’è chi come Franceschini si cimenta a fare il suo biografo. Non passa giorno in cui viene rimbrottato per certe sue giovanili esuberanze; lo stimola nella famosa frase “Berlusconi pensi a lavorare”, si preoccupa, “Berlusconi è al tramonto della sua esperienza”. Sono segnali di grande confusione che regna nelle pieghe della sinistra nostrana, rasentando la schizofrenia. Gli studi sul condizionamento prodotti da Ivan Pavlov alla fine dell’800, sono stati bene assimilati. Essi stanno ad indicare la capacità di provocare in un animale, fornendogli stimoli sensoriali che normalmente non ne sarebbero capaci, secrezioni ghiandolari e reazioni riflesse. Un “riflesso pavloviano” appunto quello che spinge certi “attaché” della sinistra italiana a vivere l’esperienza emotiva che essi considerano passione politica, ma che di passione altro non c’è che la brama del potere e del denaro.

La disfatta della giunta Domenici, avvenuta l’altro giorno in Palazzo Vecchio a poco meno di cinquanta giorni dalle elezioni amministrative, è appunto il frutto di un riflesso pavloviano. Anche questa volta, come per il Governo Prodi, per motivi tutti interni alla coalizione di sinistra che aveva evidenziato un pressappochismo gestionale che non ha pari in nessuna città italiana, forse quello di Roma, quando era governata da Rutelli: la bocciatura del famigerato piano strutturale che doveva disegnare il futuro di Firenze, inviso al Pdl. Una diatriba politica che si trascinava stancamente da almeno dieci anni e che vide le prime crepe nei sequestri del centro polifunzionale del quartiere direzionale di Novoli e della “cittadella viola” con annesso il nuovo stadio di Castello contro il progetto Della Valle. In quell’occasione (marzo 2008) vide implicati in affari tutt’altro che trasparenti assessori storici come Graziano Cioni, lo “sceriffo”, ed altri esponenti della Giunta fiorentina a seguito della pubblicazione di intercettazioni telefoniche poco edificanti.

Il “riflesso condizionato” contro il nemico Berlusconi dal quale il candidato Matteo Renzi ha fatto suo quasi integralmente il progetto di grande metropoli, ha sortito il suo effetto condannando l’asse Renzi-Domenici a soccombere sotto i macigni del diniego degli alleati della sinistra (Socialisti e Arcobaleno) nelle votazioni più rilevanti prima di chiudere il mandato amministrativo, come appunto lo strumento urbanistico e la gestione dei servizi pubblici schiacciati da un pauroso deficit di bilancio. In altre parole a quaranta giorni dalle elezioni comunali, la coalizione che sostiene il candidato sindaco Pd Matteo Renzi si è dissolta come si dissolse nel 2006 l’Ulivo prodiano. Dopo che Cioni, il decano degli assessori Pd, constata che “con questa sinistra è difficile governare”, il giovane Renzi, in attesa che gli animi bellicosi si rasserenino, si da alla fuga dall’ “inferno fiorentino” verso i lager di Auschwitz dove spera di trovare ispirazioni per rinverdire nuove forme di antifascismo, cui pochi ormai credono più. Sapranno capaci questa volta i fiorentini di capire la lezione?

Francesco Pugliarello

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