lunedì 10 marzo 2008

Impulsi ed emozioni relativi alla problematica sessuale nel ragazzo Down

Si guardò intorno e non vide che se stesso. Dapprima gridò: “Io sono”,
e poi si spaventò; poiché ognuno è atterrito quando è solo”.

da le UPANISHAD


“La sessualità è una occasione di crescita personale”, è la libertà di prendere decisioni per la propria vita. E ancora, “ la sessualità è una grande organizzatrice della vita umana; è il motore di tutte le autonomie, di tutte le abilità latenti”. Quindi “privare un essere dell’amore, vuol dire privarlo del senso della vita” (Fabio Veglia e Jole Baldaro Verde).
Senza dubbio in tema di sesso i nostri figli vivono un dramma esistenziale. Nel mondo contemporaneo, in cui la libertà sta travalicando i limiti elaborati dal buon senso comune, scivolando inesorabilmente verso il libertinaggio, non sempre ci si rende conto che il rapporto d’amore non è solo fare sesso, ma principalmente un progetto di vita con l’altro da sé, incardinato in un rapporto di mutuo scambio, di conforto, di aiuto.
Spesso la gente è scettica o incredula quando vede una coppia di ragazzi trisomici passeggiare per le strade. Ma più sconcertante è sapere che siamo noi stessi genitori a porre dei limiti a questi giovani che manifestano il loro amore per qualcuno. Il motivo sicuramente risiede nella ignoranza diffusa circa questi casi. I problemi affettivo-sessuali dei disabili sono venuti alla luce molto tardi e pertanto ci trovano tutti impreparati.
Solo verso la fine degli anni settanta una forte presa di coscienza dei diretti interessati permise che si organizzassero una serie di convegni, dove veniva denunciata la condizione d’emarginazione in cui versavano queste persone. Gli incontri, promossi dall’equipe di Rosanna Benzi e da alcuni operatori, erano però incentrati sul settore dell’handicap motorio.
Perché si possa trovare qualcosa di specifico sul versante della disabilità intellettiva, dobbiamo aspettare ancora per più di un decennio.
Solo negli anni novanta cominciano a circolare nelle sale cinematografiche dei filmati perché si possa cominciare a parlare di un certo riconoscimento alla sessualità del disabile intellettivo; tuttavia, nonostante nel 1996 un trisomico otterrà la palma d’oro a Cannes per la miglior recitazione nel cortometraggio “A proposito di sentimenti”, ancora non si può dire che la sessualità del trisomico 21 sia legittimata nel corpo sociale. La tematica resta ancora relegata nel chiuso delle associazioni o in alcune tesi di laurea di qualche giovane volenteroso.
Da più parti si sottolinea che la scarsa informazione in merito al delicato problematica, andrebbe imputata ad una resistenza da parte degli stessi genitori a causa di un elevato pudore che coinvolgerebbe emotivamente la loro stessa esistenza che, di converso, influenzerebbe il disinteresse del mondo scientifico dovuto anche alla mancanza di matrimoni fra persone affette da trisomia 21.
Il timore di un distacco e la vergogna nell’ammettere che il proprio figlio possa avere delle pulsioni sessuali giocano sicuramente un ruolo fondamentale. Difatti siamo proprio noi, con i nostri comportamenti e le nostre reticenze, a condannarli al ruolo grottesco dell’eterno bambino. Le più recenti osservazioni “sul campo”, ci dicono che gran parte dei soggetti trisomici avvertono l’esigenza di avere una vita sentimentale autonoma ed oggi come non mai, essi rivendicano il diritto a crescere “a scrollarsi di dosso lo stereotipo che lo vuole eterno Peter Pan, per raggiungere la massima autonomia possibile e diventare finalmente” “persona”, tanto che “…qualche volta essi hanno dimostrato anche la capacità di portare avanti un rapporto amoroso con un partner” (A.Mannucci, “Anch’io voglio crescere”, Pisa 1995). Tuttavia alla prova dei fatti, quest’ultima affermazione è stata smentita, restando nel limbo dei puri desideri.
Quanto osservato trova conferma in mio figlio Fabio in un passo rinvenuto tra le carte che avevo conservato. Leggo tra l’altro: “…ho impazienza a crescere perché, una volta diventato maggiorenne potrei andarmene da casa, perché così mi potrei costruire una vita da solo… una volta trovato il lavoro io mi vorrei sposare…”.

Dato che la gestione della sessualità è certamente una conquista importante che coinvolge tutta la sfera emotiva del singolo, c’è da domandarsi innanzitutto come possa una famiglia promuovere, agevolare e gestire questa integrazione e come potrebbe aiutarlo ad appropriarsi degli strumenti per acquisire una strada verso l’autonomia affettiva?
Quasi sempre il ragazzo trisomico deve elaborare tutto da sé, con un dispendio d’energie che gli procurano un accumulo di tensioni che nel tempo incidono sul suo equilibrio emotivo, sulla sua serenità, sulla sua felicità, sul suo connaturato altruismo. Ne sono pertanto inibite la disinvoltura e la capacità di approccio con l’altro sesso e quindi resta una persona dimezzata, insicura, avulsa dalla realtà, rigida, inflessibile.
Ne “L’arte di amare”, Erich Fromm sostiene che il bisogno di amare sorge dalla sensazione di solitudine o di separazione da qualche cosa o da qualcuno che ci attrae. Poiché questi ragazzi, in genere, non sono avari nel concedere il loro affetto, d’animo nobile, capaci di emozioni profonde, diventa centrale la necessità di procedere ad elidere la dipendenza psichica e fisica dalla famiglia e dal mondo degli anziani per lanciarli nel mondo dei coetanei. E quando?
Sono domande che hanno un ruolo importante sull’equilibrio finale del ragazzo e della famiglia, alle quali la letteratura in materia non ha ancora dato una risposta.
I nostri figli di abilità diversa hanno la fortuna di vivere in un Paese tra i più avanzati al mondo sul versante dell’integrazione sociale a partire da quella scolastica per finire al mondo del lavoro, con una legislazione che fa invidia a tutti i Paesi del mondo occidentale, ma, ribadisco, ancora poco o nulla sul versante affettivo-sessuale.
Ciononostante possiamo affermare che nel modo di affrontare la sessualità è possibile notare un maggior progresso di quello dei tempi dei nostri nonni, perché specialisti ed operatori ai quali compete la diffusione del sapere, ci hanno liberati dall’ignoranza presentando l’amore, l’innamoramento, il rapporto e la funzione sessuale come qualcosa tutt’altro che disonorevole o di osceno appurando che il sesso, oltre ad un fatto salutare ed igienico in sé, è una forza ispiratrice e liberatrice che porta ad un maggior senso di sicurezza personale e di equilibrio tanto che “…vige una liberazione ed un progresso come negli altri campi dell’esistenza individuale” (W.S.Kroger). Allora perché di queste conoscenze vengono ancora privati i nostri ragazzi?
Il sesso, secondo William S. Kroger, uno dei massimi ginecologi statunitensi e affermato medico psicosomatico, è un mezzo che ci offre la gioia in luogo della confusione, la speranza in luogo della disperazione della solitudine; questo avviene di solito col giusto partner e nel momento giusto. Affermazioni bellissime, ma che non si attagliano ai nostri figli e non ci offrono alcun indirizzo pratico.
Chiarito cosa si intendere per sessualità ed i suoi effetti, cerchiamo di vedere come può essere affrontato il tema in un portatore di trisomia21.
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Molte, troppe sono molte domande che attendono delle risposte di ordine neurologico e psichico prima di poter decidere se, come e quando affrontare la problematica con i nostri ragazzi.
Prima di procedere ad una rapida disamina del fenomeno, bisognerebbe fare un’ulteriore distinzione tra “fare sesso” e “amare qualcuno”. Nel primo caso la risposta si risolve in un semplice accoppiamento per il soddisfacimento di un bisogno meramente fisiologico. In questo caso non sorge alcun problema come per qualunque essere vivente, se non quello del rischio di una malattia con una prostituta. Si potrà ottenere un puro e semplice rilassamento fisico che dura poco ed il più delle volte non è gratificante.
Nell’altro caso, trattandosi di unione sessuale desiderata tra due esseri umani che si amano realmente, le cose si complicano.
Poiché l’amore verso una ragazza o un ragazzo comprende capacità complesse che coinvolgono due personalità, sé stesso e l’altro, in tal caso occorre senso di responsabilità, dedizione, comprensione, rispetto dell’emotività dell’altro, percezione della disponibilità e quant’altro possa soddisfare un bisogno di protezione, di sacrificio o magari capacità di coinvolgimento. Pertanto, la domanda da porsi è questa: è in grado una persona Down di saper controllare tutte queste emozioni? In altre parole, qual è la sessualità sostenibile?
Come sappiamo, questo soggetto non manca di sensibilità e di compenetrazione nell’altro; ma fino a che punto è in grado di controllare tutti i fattori elencati contemporaneamente? E inoltre, è in grado di affrontare con senso di responsabilità, la progettualità di un futuro insieme, per il quale, l’essere stato tenuto sotto tutela per essere considerato un “eterno bambino”, non è abituato? Quali garanzie di equilibrio può offrire una persona affetta da trisomaia21? Anche consentendogli una convivenza protetta non si sentirà, ancora una volta, una persona di serie B? Se accettasse in questo caso di essere “controllato”, sarà in grado a sua volta di gestire i “moti dell’anima” della persona amata? Come reagirà il momento che si accorgerà di non essere più riamato come immaginava? Sarà sicuramente preso dalla disperazione più di un qualunque normodotato a causa della difficoltà di elaborazione del sentimento del dolore.
Poiché nella nostra società l’amore può manifestarsi anche sotto forma di amore distorto, distruttivo, di mera conquista, di possesso, e ciò non a causa del sesso in sé, ma per un falso atteggiamento rispetto al fatto sessuale, ed essendo, come accennavo, il rapporto amoroso-sessuale un rapporto emozionale e molto soggettivo, per quel che se ne sa, essendo il trisomico un essere emotivamente fragile, potrà assorbire i colpi delle delusioni?
In tal caso bisognerebbe mostrare al proprio figlio una notevole capacità di coinvolgimento, mostrando di essere vicino ai suoi problemi. Bisognerebbe fortificarlo in modo da poter affrontare il “dolore” facendogli capire che l’amore è anche causa di molta sofferenza per chiunque, anche per i più dotati. Quando infine si riscontra che, nonostante gli sforzi, il ragazzo (o la ragazza) non riesce a realizzare il suo desiderio, bisognerebbe dirgli chiaramente che vi sono altre cose che possono dare la felicità, non necessariamente unendosi ad una donna o ad un uomo. Ciò potrà avvenire solo quando si sia prefigurato un sistema di compensazione. Questi ed altri quesiti ci deve ancora spiegare la ricerca scientifica.
Nel frattempo non resta che illuderci che questi giovani Peter Pan, possano vivere una vita che si avvicini alla normalità. Al momento, oltre ad “amoreggiare” o magari a far sesso genitalmente, in giro non vedo altro. Se però crediamo che sia gratificante mandarli “a letto” solo per offrirgli il gusto di uno sfogo, allora non stiamo trattando di sentimenti e men che meno di relazione duratura. In tal caso quale evoluzione, quale rispetto di sé, quale autostima può emergere? Solo quella di aver posseduto per un certo periodo qualcuno: cosicché la ricerca di “equilibrio” con l’altro resta un fatto squisitamente illusorio.
E allora, se un trisomico non fosse realmente in grado di affrontare l’altro da sé pena uno sconvolgimento del suo già precario equilibrio emotivo, sarà bene augurarsi che mai provi cosa significhi fare all’amore? Il fatto stesso che il corpo fisico, è un recettore di emozioni sin dal grembo materno, l’atto sessuale in sé rappresenta un “ritorno” al piacere, come può essere quello del mangiare, che a mio avviso va comunque soddisfatto. Ciò vale ancor più quando trattasi di un essere emotivamente fragile come può essere un handicappato grave.

In attesa di risposte esaurienti da parte della ricerca e degli educatori e di una forte presa di coscienza della famiglia, credo che al momento, come sostiene l’Albertini e tanti altri, sia meglio tollerare la masturbazione, magari col supporto di riviste porno, prima che imploda e irrimediabilmente ripieghi su se stesso, così come avveniva nei secoli scorsi per le vergini di famiglie nobili che, prima di essere “contaminate”, venivano spedite in convento a farsi suora.
In ultima analisi, come si vede il problema è ancora una volta rinviato al grado di percezione di noi genitori. Se non saremo in grado di offrire loro delle opportunità, i nostri figli lotteranno ancora per la ricerca dell’affetto fuori dell’ambito familiare, in quanto sentono istintivamente che da esso dipenderà la possibilità di arrivare ad un più completo sviluppo della loro personalità, come la sola realtà che conti.

Francesco Pugliarello

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