sabato 1 maggio 2010

Il comportamento di Fini è perdente e politicamente immorale

Dalla rilettura di questi giorni degli analisti di “Farefuturo” ne ricavo le segfuenti riflessioni. Credo che la questione Fini-Berlusconi, al di là degli ‘infiocchettamenti’ dei media, sia molto più semplice di quanto si pensi.
Fini, da fine dicitore qual’è, formato alla scuola almirantiana, da quando si è autocandidato alla Presidenza della Camera, non cerca che visibilità. Oggi, chi lo ha presentato ad Almirante si dice pentito di averlo fatto: mira alla conquista del potere personale inerpicandosi tra gli specchi. “Uno psicoanalista direbbe che voglia uccidere il padre, però Almirante ha tolto l’incomodo. Ora il padre è Berlusconi” (Giovanni Salvi).
Non dimentichiamo ch'egli viene da quella scuola. Una scuola le cui radici prendono linfa dalla violenta contestazione anticomunista, ma non antiautoritaria. Non dimentichiamo quando con la kippà sul capo cosparso di cenere allo 'yad vascem' ha annunciato al mondo che "il fascismo fu il male assoluto". Non dimentichiamo quando si presenta alle fosse ardeatine proferisce questa frase: “E' stato grazie agli uomini della Resistenza che la Patria non solo sopravvisse, ma si rigenerò''. Ad essere malizioso, in quell’occasione erano presenti i rappresentanti dell’AMPI, e Napolitano... E ancora non dimentichiamo quando appena l'atro giorno nel direttivo nazionale del PDL Berlusconi gli faceva notare di essersi sempre defilato alle riunioni di presidenza. Non possiamo dimenticare quando all'indomani della designazione a presidente del Parlamento criticava l'impostazione che Berlusconi aveva dato al Partito che lui stesso aveva contribuito a fondare. Non possiamo infine dimenticare l’aspra reazione per non essere stato consultato anzitempo allorché Silvio, dal famigerato "predellino" annunciava di voler completare il disegno di un partito liberale moderno contrapposto alla cultura post comunista e postmarxista ancora dominante nei gangli dello Stato, etichettando il premier come uomo della “deriva plebiscitaria”.
Non è questo un comportamento sussiegoso a tratti tratufesco che non si attaglia ad un alta carica dello Stato? Voglia di rimettersi in gioco? Voglia di revanche? Desiderio di potere per il potere o voglia di saccheggiare l’idea federalista mai sopita in Italia? Certo col se e col ma non si può fare il processo ad alcuno, tuttavia se questi sono i fatti, laddove, come si dice dalle nostre parti, “si lisca e si loda per poi tirargliele in tasca”, allora l’atteggiamento in questi due anni di legislatura di Gianfranco verso il suo amico Silvio viene chiaramente alla luce, e diviene ancor più chiaro allorché si consideri l’affermazione risentita del presidente dell’altro ramo del Parlamento: a queste condizioni “è meglio tornare alle urne!”.
In questa ottica non si può non biasimare chi, beneficiando una posizione di potere, oggi reclama il diritto al dissenso o addirittura come inizialmente paventato, una sua corrente partitica, verso chi lo aveva "sdoganato".
Le recentissime aperture di dialogo con Berlusconi che Fini ha espresso pubblicamente nella “Terza Camera”, apparirebbero credibili se non vi fosse stato da un quindicennio uno stillicidio di critiche al Governo e al premier in ogni sua esternazione, dalle quisquilie ai temi di vitale importanza, come i problemi bioetici, la reiterata decretazione d’urgenza e il reato di immigrazione clandestina.
Ingrato, fedifrago, giuda? Vogliamo accettare questo modo di far politica? Certo, due uomini forti di temperamento e di valore etico, prima o poi vengono in conflitto. Ma quando trattasi di conflitto tra un vertice dello Stato e il capo dell’esecutivo, appaiono incomprensibili e deleterie per il Paese, tanto più se appartengono allo stesso Partito.
In ogni caso criticare pubblicamente il progetto che lo stesso onorevole Gianfranco Fini aveva contribuito a elaborare non è certo un bello spettacolo all’estero: è da sconsiderati, e come tale proseguendo su questa strada la storia e gli elettori finiranno per condannarlo.
Un’ultima riflessione. Davvero un presidente della Camera deve astenersi dal far politica? A giudicare dal modo in cui finora è stato interpretato il ruolo, non si direbbe. Iotti, Ingrao, Gronchi, Scalfaro docent. Ci provi anche lui…!
Per quanto riguarda il suo massimo “pretoriano”, Italo Bocchino, la dice lunga sulla partita che ancora sarà da giocarsi all’interno del partito. I commentatori politici più vicini al Palazzo ci fanno sapere che probabilmente le sue dimissioni “irrevocabili” presentate a ridosso della riunione dell’assemblea dei deputati chiamata a pronunciarsi, gli sarebbero state suggerite per “nascondere le divisioni tra i finiani”.

Francesco Pugliarello

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