domenica 15 aprile 2007

La battaglia di Lepanto e il nemico alle frontiere

Mentre sulle nostre televisioni si baloccano sul come e sul quando distribuire il famigerato “tesoretto”, indugiando voluttuosamente sulle starlette di vallettopoli, nel mondo dei media d’oltralpe e sui quotidiani nostrani più attenti al fenomeno terrorismo, rimbalzano notizie inquietanti di un magreb in rivolta lungo la fascia meridionale del mediterraneo per le violente incursioni perpetrate da jihadisti musulmani.
L’ emiro di al Qaeda nel Magreb, Abu Musab al Wadud, (nominato di recente da Al Zarkawi) ritornato in quelle zone agli inizi di questo mese si è già messo al “lavoro”, cercando di stringere alleanze con quei fanatici già presenti in Marocco ed in Algeria con l’intento di creare una articolazione di gruppi armati con forte radicamento locale in una vasta rete transnazionale per raggiungere l’ambizioso obiettivo di “lottare fino a quando i nostri piedi cammineranno sulla nostra Andalusia rubata e su Gerusalemme profanata”. E questo avverrà, secondo l’emiro, allorché “i combattenti (qaedisti) ritorneranno dall’Irak con le loro terribili competenze”. C’è da scommetterci che al Wadud manterrà la parola, visto che appena due mesi prima, ripiegando dalla Somalia, aveva minacciato di arrivare in Algeria con intenti minacciosi. Finora il Maghreb era rimasto piuttosto al riparo da questa tendenza globale ma, con l'adesione ufficiale del Gruppo salafista per la predicazione e il combattimento (Gspc) ad al Qaeda, la situazione è cambiata. Va precisato che, pur indebolita sul piano operativo, al Qaeda svolge la funzione di referente simbolico. Stranamente gli attentati di Algeri coincidono con la notizia che le nostre forze dell’ordine hanno sorpreso e catturato cellule sospette in terra di Sardegna mentre gruppi di qaedisti collusi con i fratelli musulmani si spingevano su quelle coste prossime allo stretto di Gibilterra.
E’ il caso, a questo proposito, ricordare che i musulmani iniziarono ad effettuare incursioni sul territorio spagnolo fin dai primi dell'VIII secolo d. C., partendo proprio da quelle basi nordafricane. Secondo le cronache del tempo, i primi ad organizzare spedizioni, mirate alla pura e semplice razzia, sarebbero state le truppe islamiche del berbero Tāriq ibn Ziyād che, usufruendo delle imbarcazioni concessegli dall'esarca bizantino Giuliano, governatore di quelle coste, sarebbe sbarcato nel 711 sotto l'altura che da allora porta il suo nome: il jabal Tāriq, (la montagna di Tarik), Gibilterra appunto. Certamente erano altri tempi, si parlava di razzie tribali e di conquiste facili dovute a defezioni per lotte intestine nell’ambito del regno dei visigoti che in breve tempo crolla, quasi senza opporre resistenza.
E noi italiani, siamo pronti a fronteggiare un’eventuale offensiva destabilizzatrice come quelle subite a Parigi nel 1995, a Madrid nel 2004 o a Londra nel 2005? Come gli struzzi, ci apprestiamo a trattare con costoro, snaturando o occultando le nostre gloriose tradizioni nella speranza di non urtare la suscettibilità di quei “signori” che proclamano apertamente la riconquista dell’Occidente con l’inganno e con le intimidazioni. Come abbiamo fatto con il crocifisso, rimosso da alcune scuole e dalle Case comunali della sinistra, così facciamo con la famosa tela che evoca la Battaglia di Lepanto: è stata rimossa per ordine dell’ineffabile presidente Bertinotti dalla sala di Montecitorio, dove vengono accolte le delegazioni straniere e riposta in un luogo ad essi inaccessibile. Ma di questi gesti scellerati pochi si sono ribellati. Il quadro rappresenta la sconfitta dell'Impero Ottomano ad opera delle forze navali della cosiddetta "Lega Santa", che in quell’occasione (7 ottobre 1571) ci salvò dall’invasione dell’impero ottomano. L’importanza di questo evento merita un cenno retrospettivo, che riprendiamo dalle cronache dell’epoca.
Il terrore musulmano, allora come oggi, regnava nel Mediterraneo: l'antico Mare nostrum. La sorte dei cristiani di Cipro era simile a quella che i novelli imam, con le loro prediche, nel chiuso delle madrasse (scuole craniche), vorrebbero riservarci a noi “infedeli”; quando cioè l'Islam si stava preparando ad una “revance” su tutta l’Europa. Sulla cattedra di Pietro sedeva un teologo domenicano, con il nome di Pio V, il quale, valutando la gravità del momento, comprese che solo una guerra preventiva avrebbe salvato l'Occidente. Con parole gravi e commosse esortò le potenze cristiane ad unirsi contro gli aggressori in difesa della cristianità. La gravità era dovuta al fatto che l'espansione dei turchi si andava sviluppando anche grazie alla complicità di alcuni Paesi cristiani, come la Francia che, in nome dei suoi interessi geopolitici, incoraggiava e finanziava i turchi per indebolire il suo tradizionale nemico: la casa imperiale d'Austria. Tuttavia grazie alle insistenze del pontefice, il 25 luglio del 1570, Venezia e la Spagna si strinsero attorno al Papa concludendo l'alleanza contro i turchi. Subito dopo vi aderirono il duca di Savoia, la Repubblica di Genova e quella di Lucca, il granduca di Toscana, i duchi di Mantova, Parma, Urbino, Ferrara e l'Ordine sovrano di Malta. Si trattava di una prefigurazione dell'unità italiana su basi cristiane, vale a dire la prima coalizione politica e militare italiana che la storia ricordi.
Quei clandestini fermati a Cagliari si giustificavano dicendo di essere fuggiti dal terrore algerino, ma ad una più accurata indagine dell’intelligence nostrana sono risultate delle cellule qaediste, probabilmente in cerca di possibili basi operative. Perché rischiare la clandestinità quando sul vecchio Continente vi sono giovani provvisti di passaporto comunitario liberi di circolare indisturbati e pronti a tutto? Sono i figli degli immigrati di seconda generazione, provvisti di una nuova identità, di rientro dalla penisola arabica istruiti alla dissimulazione sotto stretto controllo delle scuole craniche degli imam più estremisti. I servizi segreti francesi (Dcse) ci precisano che provengono dalle madrasse di Damaj, un sobborgo posto a Nordovest dello Yemen in una vallata prossima al confine con l’Arabia Saudita, frequentate da migliaia di aspiranti terroristi di tutto il mondo provenienti anche dall’Europa, principalmente dalla Francia e dalla Gran Bretagna dove vengono preparati dalle “più intransigenti reti jahdiste armate”. Al momento si contano sulle dita della mano, ma quanto prima, secondo queste informazioni, saranno centinaia, pronti a scorazzare in lungo e in largo sul nostro Continente. Se questo è il quadro dello spostamento progressivo del fronte del terrorismo internazionalista islamico dall’Asia all’Africa del Nord puntando a destabilizzare i legittimi governi delle ex colonie francesi, occorre che l’Unione Europea ne prenda atto apprestandosi a varare nuove politiche migratorie e aiuti concreti ai governi dei Paesi magrebini.
Francesco Pugliarello

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