domenica 2 settembre 2007

LA TRADIZIONE ISLAMICA , reagire per non soccombere

Spesso mi sono sentito affibbiare, erroneamente, l’etichetta di “cattolico integralista”. Osservazione legittima. Ma non me ne ero mai accorto… Mi rendo conto che lo sforzo di riaffermazione identitaria, che molti in Italia ed in Europa si vergognano di manifestare, lo faccio con una certa veemenza da apparire tale. Dai sacramenti, purtroppo sto lontano da tempo e, da tempo cerco di avvicinarmi, proprio da quando Benedetto XVI, a Ratisbona, ha “lanciato” al mondo la sua “lectio magistralis”, sulla quale chiunque crede in sé stesso e nelle proprie tradizioni debba col cuore e con la mente ragionarci sopra.
Mi riferisco principalmente ad un articolato ed estenuante “incontro” che ho avuto con un arabo-musulmano, piombato (per caso?) su questo web-blog e su quello di amici, con il fine di tentare di capire la mentalità di questo illustre personaggio e della complessa realtà in cui siamo immersi. Per comprendere quel mondo così diverso dal nostro ipotizzo delle possibili chiavi di lettura che non sempre ritroviamo compendiate sui media. Il dibattito puramente letterario e la frequentazione di qualche Paese del Magreb mi sono serviti per abbozzare alcune di queste realtà maledettamente complesse che stiamo vivendo in questo inizio di millennio.
Secondo alcuni osservatori, noi europei siamo assaliti da un rimorso collettivo ereditato da un passato che ci ha profondamente segnati. Secondo altri, affascinati dalla frenesia consumistica, abbiamo abbandonato le coordinate reali dell’esistenza. Ciononostante abbiamo bisogno anche degli islamici e, per favorire la loro integrazione, urge capirli, conoscerli. Non si è ben capito però se essi non possono o non vogliono accettarci. Si ha il sospetto che alle loro spalle ci sarebbe chi, armato di una cieca fede tribale, sostenuto da certe formazioni neo-naziste convergenti al nichilismo postcomunista, soffino sul fuoco dello scontro impartendo pillole di odio che ha dell’incomprensibile. Da qui i mille sofismi che contrassegna la loro dialettica dissimulatoria (taqiyya) a guidare le loro scelte.

Il loro progetto prevede la "modernizzazione dell'islam" quando parlano ai laici occidentali, ma si trasforma nell'islamizzazione della modernità quando si rivolgono a un pubblico di musulmani. Le loro proposte di "riforma" dell'islam non mettono peraltro mai in discussione il ruolo della shari’a, il potere dei giuristi musulmani, l'inferiorità della donna, e quant’altro. La posizione del sofisticato intellettuale Tariq Ramadan con il quale la sinistra nostrana sostiene la necessità di "dialogare" anche con una parte dell'islam fondamentalista, il cui rappresentante più noto è proprio Ramadan, per il quale Israele è un pericoloso orpello da debellare, dovrebbe indurre a seri dubbi sulla possibilità di considerarlo un interlocutore. Il rifiuto dell'esistenza di Israele, la "comprensione" per il terrorismo suicida, l'attacco antisemita agli intellettuali ebrei francesi che sostengono Israele dovrebbero averlo da tempo squalificato come possibile esponente di un "islam moderato" lontano dalle tentazioni della violenza e del totalitarismo. Ma tant’è.
Chi assume una posizione determinata contro la violenza fondamentalista fa la fine di Magdi Allam o della Santanchè, di Dounia Ettaib e di tanti altri ancora sotto scorta. Essendo ignoto potrei ancora farla franca…!
Parrà folle tutto questo, ma è la tradizione dell'Islam. Fatta di faide e di delazioni, tutte interne alle centinaia di fazioni e tribù, che da secoli serpeggiano nel loro variegato universo.

Essi vivono di Corano, di Hadit, di Sunna e, alla bisogna, di fathua. Come nel nostro Mezzogiorno preunitario, il loro mondo pullula di giureconsulti e di azzeccagarbugli, di “suore” e di religiosi che rendono illiberale e penosa la vita del comune cittadino, ancorchè in certe regioni persiste una parvenza di pacifica convivenza con le altre religioni. Ma nel mezzogiorno non esistevano sgozzamenti. Ciò non significa però che l'Islam non sia un grande pensiero o una grande religione come lo è stato in tempi passati, ma indica che essa blocca l'uomo in una monocultura, in cui la “forza ideologica” è un elemento determinante della struttura della religione.
Anche il Cristianesimo ha conosciuto l'uso della forza e ciò gli è rimproverato dal mondo contemporaneo. Ma questa non è la sua essenza. “L'essenza del Cristianesimo è nella scelta della persona, nella libera adesione dell'uomo a una verità che lo trascende”. “E’ la debolezza” e al tempo stesso la forza del Cristianesimo: “quella di essere affidato alla scelta della persona e non alla potenza del costume della comunità” (G.Baget Bozzo).

La tesi su cui “l’intellighentia” occidentale, europea in particolare, fonda il suo assunto filoislamico e multiculturale, sta nel ribaltare le aggressioni dell'Islam sulla Cristianità. "When other groups (muslims) want to make trouble, then we should not response to any provocation and just let the police do there job...". (Cfr. http://www.brusselsjournal.com/node/2389). Sono le parole del presidente della Commissione Europea che avalla il diniego del sindaco di Bruxelles a tenere una pacifica manifestazione internazionale del SIOE "No islamizzazione dell'Europa" organizzata a Bruxelles per l'11 settempre 2007!

Le decristianizzazioni dell'Oriente e dell'Africa sono degli effetti accidentali e non intenzionali della conquista islamica, non dell'oppressione culturale civile militare sulle terre cristiane. La guerra islamica contro le terre cristiane è stata sempre concepita come guerra coranica, mentre non è accaduto il contrario se non per il periodo che va da Urbano II alla caduta di San Giovanni d'Acri (sec. XI-XIII, Regno di Gerusalemme). Riferirsi insistentemente alle Crociate al cospetto dei massacri secolari è cosa a dir poco risibile; così come riferirsi al crollo dell’impero ottomano dal quale nel 1928 per una sorta di “revanche” sorsero i “fratelli musulmani”, non sono che un piccolo episodio della difesa dall'attacco che da Costantinopoli, a Poitiers, a Vienna la Cristianità ha dovuto subire, persino con il sacco di Roma che precede la vittoria definitiva nella Battaglia di Lepanto. Nel loro argomentare di cose passate dimenticano o fingono di dimenticare la maggior parte degli “sgozzamenti” è dovuta a musulmani integralisti. Nel secolo XX il Cristianesimo orientale è stato quasi annullato, soprattutto nella laica Turchia. L’invasione da parte della laica Turchia del 15 luglio del 1974 della parte nord di Cipro testimonia della baldanza con cui approfittano della debolezza e della destabilizzazione dei governi per insediarsi e distruggere le vestigia di una civiltà. Per esistere i cristiani di Siria devono piegarsi innanzi ad Assad e quelli di Iraq innanzi a Saddam. Non parliamo del Sudan, delle Filippine, di Timor est, delle Molucche, della Nigeria. L'islam che teme per la sua sopravvivenza culturale è ancora più aggressivo.

Volendo segnare convenzionalmente il momento di rottura, che prelude al riacutizzarsi delle persecuzioni dei non musulmani presenti sui loro territori, senza andare troppo a ritroso nel tempo, possiamo definire lo spartiacque con la fine delle ostilità della seconda Guerra mondiale ed il crollo dell’Impero ottomano. In quel periodo si costituisce la Società dei “Fratelli musulmani”, (che con Al-Qaeda vanta essere tra le più importanti organizzazioni) fondata nel 1928 in Egitto dal nonno del noto eccellente predicatore Triq Ramadan, Hassan Al-Banna. Successivamente, nel 1941 Abul Ala Maududi, nel subcontinente indiano, fonda la “Jamaat a-t-i Islami”.
Questi movimenti all’inizio sembrano finalizzati a salvare l’islam dalla subalternità che aveva con l’Occidente, e assumono un ruolo guida di apparente progressismo, di modernizzazione, pur con forti componenti conservatrici. Il principio però è un’idea fondamentalista, l’idea cioè di ritornare alla shari'a, (la legge islamica) vale a dire all'unità politico-religiosa del mondo musulmano nel Califfato, che viene a concretizzarsi con un progetto di espansione internazionale dell'islam, nessuna parte del mondo esclusa, compresa Al-Andalus per la quale sappiamo di un susseguirsi di moti destabilizzatori ai nostri confini sud del mediterraneo.
Da quel momento si sviluppano due correnti di pensiero antitetiche, riprese da antichi pensatori e rielaborate in chiave politica col supporto della religione.

a) “…Finchè non vi sarà una re-interpretazione radicale del Corano in senso moderno”, come ha fatto la Chiesa cattolica da oltre mezzo secolo, “l’islam non si potrà modernizzare”. Il teologo musulmano liberale, Fazlur Rahman ed il collega Al-Fariqi, negli anni ‘60 erano convinti che se questa organizzazione avesse adottato il metodo “storicistico-etico” (vale a dire, estrarre dall’esperienza secolare verità basi da riformulare), essi avrebbero prosperato ed avrebbero potuto vivere in armonia e in "gran benessere anche con i non-musulmani". Personalmente lo confermo, in considerazione del buon senso e della sottile percezione di cui sono portatori.
b) L’altra tesi, maggioritaria, ritiene che nella visione islamica, la parola di Maometto è PAROLA ETERNA, IMMUTABILE, perché "dettata da Dio che porta ad autoeleggersi depositari dell'unico Vero Islam, o si deve essere sterminati nel nome di un Dio implacabile, crudele e vendicativo" (Magdi Allam). Se questa “parola” fosse sottoposta alla contestualizzazione, tutta la religione musulmana ne verrebbe snaturata. D’onde il precipitare nel ristagno intellettuale più profondo che coincide con l’avvento del Khomeinismo shiita e del parallelo rafforzamento del sunnismo arabo-saudita.
c) Tutto l’opposto che per i cristiani e per gli ebrei in quanto è lasciata libertà di prendere quanto c’è di buono nella tradizione e plasmarla. In altre parole, nella visione greco-giudaico-cristiana è la parola di Dio-logos che penetra nel cuore e nello spirito del singolo e della comunità unita in nome dell’amore universale in Cristo. La lamentata inconciliabilità e la insormontabile difficoltà dialogica tra di loro e con gli altri diversi da loro, scaturirebbero da questi presupposti.

Volendo approfondire i pilastri di questa civiltà dovremmo necessariamente conoscere il Corano in lingua originale. Dall’analisi delle Sure si scoprono linguaggi diversi da quando Maometto era alla Mecca, rispetto alla sua permanenza alla Medina col potere di vita e di morte sui pochi sudditi di quelle oasi-villaggi. Nella prima c’è l’essenza, i principi generali dell’islamismo, di un Dio misericordioso, pacifista, ecc., nella seconda i commentatori ci confermano che, i dettami coranici applicati a Medina, escludevano gli altri luoghi geografici. Subito dopo la sua morte, 632, le lotte di potere sconvolsero ogni piano maomettano. Tuttavia ci accorgiamo che tutti contesteranno questa interpretazione, laddove neanche loro sono concordi, sempre infarcite da infiniti distinguo.

Altra osservazione fondamentale che rientra nella loro tradizione, elaborata nei primi secoli da studiosi e giuristi musulmani, accettata dai “Fratelli”, è la famosa nozione di divisione politica e religiosa del mondo. Secondo costoro il Mondo sarebbe diviso in tre parti:
1^ - il “territorio dell'Islam” vero e proprio (Dār al-Islām) dove vivono i musulmani e i “dhimmi”(popoli sottomessi e costretti a pagare un tributo per essere protetti;
2^ - il “territorio della tregua” (Dār al-Hudna) dove vivono i popoli non ancora sottomessi con i quali è stata conclusa una tregua temporanea nell'attesa di riprendere le ostilità per l'affermazione universale dell'Islamismo;
3^ - il "territorio di guerra agli infedeli” (Dār al-Harb), dove vivono tutti i popoli non ancora sottomessi e deve essere conquistato con la guerra santa (il jihad). E' questo un obbligo imposto a tutti i Musulmani finchè il mondo intero non sia sottomesso ad Allah.
E' la concezione del mondo elaborata nei primi cinque secoli dai loro pensatori. Molti ritengono che questa concezione è tutt'oggi presente in Europa nel movimento “salafita”.
In definitiva, nessuna pace permanente tra musulmani e infedeli era possibile finché tutti gli infedeli non fossero stati assoggettati alla regola musulmana e il Dar al-Islam non avesse incluso il mondo intero. Jihad, sia nella forma della "jihad maggiore" (la lotta che tutti i musulmani devono combattere contro il peccato) che della "jihad minore" (la lotta armata contro gli infedeli), serviva a portare interezza e unità ad un mondo diviso.

Francesco Pugliarello

NOTA: Per quanto espresso, mi pongo sotto la protezione dell'articolo 19 della Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo, il quale stabilisce: “Oguno ha diritto alla libertà di opinione e di espressione, il che implica il diritto di non essere
molestati per le proprie opinioni e quello di cercare, di ricevere e di diffondere, senza considerazione di frontiera, le informazioni e le idee con qualsiasi mezzo di espressione li si faccia” (Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, adottata dall'Assemblea generale dell'ONU a Parigi il 10 dicembre 1948).

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Caschi male amico mio....
nel consiglio dell'Onu per i diritti umani siedono ben glorificati Cuba e Cina.
ciao

francoazzurro ha detto...

Come tu ben sai, la speranza è l'ultima a morire. Dopotutto non credo che la Cina abbia troppe simpatie per gli "islamisti".